POLITICA

Perché Giuseppe Sala è inadatto a guidare Milano

Perché Giuseppe Sala è inadatto a guidare Milano

Un articolo su Giuseppe Sala scritto nel gennaio 2016, al momento della sua candidatura a sindaco di Milano.

Una testata-simbolo del giornalismo anglosassone, The Economist, non ebbe paura di pubblicare, prima delle elezioni del 2001, un lungo articolo sull’allora presidente del Consiglio italiano, titolandolo: “Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy”, perché S.B. è inadatto a guidare l’Italia. Allineando fatti, non ideologia. Più in piccolo, a Milano si sta preparando una prova elettorale importante. Certo, imparagonabile allo scontro del 2001 e con in campo un personaggio molto più modesto, nel bene e nel male, dell’allora leader del centrodestra italiano. Ma sarà un passaggio comunque importante per la politica italiana, che segnerà una svolta. Ecco perché il Fatto quotidiano prova ad allineare i fatti che rendono Giuseppe Sala, il candidato sindaco di Milano indicato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, “unfit”, inadatto a guidare la città.

1. Trasparenza zero

1.1. Gli ingressi. Giuseppe Sala ha gestito un evento pubblico, Expo Milano 2015, in assoluta mancanza di trasparenza. Nei primi tre mesi, da maggio a luglio 2015, quando i visitatori erano molto al di sotto delle attese, ha nascosto i numeri degli ingressi e ha fatto filtrare alla stampa cifre gonfiate. Ha addirittura preteso che non fossero diffusi i numeri dei viaggiatori Atm sul metrò e della raccolta rifiuti Amsa, perché non fosse ricavabile il numero degli ingressi all’esposizione. La mancanza di trasparenza è stata poi coperta con una serie di giustificazioni contraddittorie e non credibili, visto che gli ingressi erano esattamente rilevati dai tornelli: a luglio, dopo aver dato una cifra, Sala spiega (attraverso un comunicato fatto diffondere dal prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca) che “tale valutazione, pur basandosi sul controllo digitale ai tornelli, è caratterizzata da significativi livelli di incertezza e indeterminatezza”. Come mai? “A ciascuno dei varchi si manifestano situazioni operative differenziate, ricorrenti ma non riconducibili a un processo di verifica automatizzato degli accessi, che rendono difficile – se non impossibile – effettuare una rilevazione degli accessi effettivamente corrispondente al numero di persone presenti all’interno del sito espositivo”.

Ecco le “situazioni operative differenziate”: “La società Expo, quando si verificano picchi di afflusso, a volte permette l’accesso ai visitatori senza passaggio del biglietto sul lettore ottico, ma solamente ritirandolo; ciò è avvenuto, in modo particolare a maggio e giugno con l’ingresso mattutino delle scuole e sta avvenendo, a volte, in luglio per velocizzare gli ingressi ed evitare code sotto la calura anomala”. Ancora: “Sempre in funzione delle altissime temperature, viene riferito che si sono verificati problemi di lettura, in quanto gli apparati digitali nelle teste dei tornelli hanno subito malfunzionamenti mentre, in generale, si sono spesso registrati problemi tecnici di lettura dei biglietti su smartphone (codice a barre non rilevabile, luminosità insufficiente etc); infine, nei primi dieci giorni di maggio i sistemi di rilevazione hanno funzionato male e la società Expo ha riferito di avere conseguentemente perso i files di lettura degli ingressi”. La società che ha fornito le apparecchiature ha seccamente smentito i malfunzionamenti, ma il commissario se la cava dicendo che ha addirittura perso i files.

1.2. I bandi e le gare. La scarsa trasparenza sulla (obbligatoria) pubblicizzazione di dati, bandi e contratti Expo è stata puntualmente rilevata dall’Anac di Raffaele Cantone, in un’incredibile e interminabile elenco di rilievi mossi alla gestione Sala. Eccone alcuni (il documento completo, del 19 dicembre 2014, è scaricabile qui: http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/Expo2015/_expo?id=76bdaea90a7780424e52e4d2cbbbde64):

– “Non è presente un elenco dei bandi espletati nel corso dell’ultimo triennio, accompagnato dall’indicazione del numero dei dipendenti assunti e delle spese effettuate”.

– “La Corte raccomandava la definizione di criteri predeterminati di valutazione al momento dell’avviso di ricerca del personale, aperto all’esterno e con il relativo punteggio, nonché con possibilità di accesso informativo, da parte dei candidati, alle graduatorie finali. Questa tipologia di informazioni non è rintracciabile nella sezione amministrazione trasparente”.

– “La pubblicazione dei dati relativi a autorizzazioni e concessioni è prevista dalla legge (…). Nessun riferimento a questa tipologia di informazioni è rintracciabile”.

– “Nelle tabelle contenute in ‘Amministrazione trasparente’ mancano: struttura proponente, importo di aggiudicazione (…) e i contratti sotto i 40 mila euro”.

– “I contratti nell’elenco non riguardano solo il 2014 ma alcuni si riferiscono agli anni 2012 e 2013. Questo produce confusione (…). Non sono presenti: elenco degli operatori inviatati a presentare le offerte; tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura; importo delle somme liquidate. Spesso sono assenti i dati sulla data di stipula e sulla data di fine del contratto”.

– “Non sono pubblicati dati relativi ad anni precedenti al 2012 di cui dovrebbero, almeno, essere pubblicati gli avvisi e i bandi (…). Complessivamente, la sottosezione ‘bandi di gara e contratti’ non contiene tutti i dati previsti dalla norma”.

– “La sottosezione ‘sovvenzioni e contributi’ risulta costituita ma non contiene i criteri e le modalità con cui Expo 2015 spa concede sovvenzioni (…). I dati non sono pubblicati. (…) Complessivamente, la sottosezione ‘sovvenzioni e contributi’ non sembra contenere tutti i dati previsti dalla norma”.

– “Non risultano pubblicati i bilanci come approvati dall’assemblea dei soci”.

1.3. Il bilancio. A esposizione terminata, l’opacità si trasferisce su dati ancor più cruciali: quelli di bilancio. Quanti sono stati i biglietti effettivamente venduti, ma, soprattutto, a quale prezzo? Con quale incasso? Quanto hanno portato le sponsorizzazioni e le royalties? Quanto sono le spese? Quale il guadagno o la perdita finale? Quanto pesano sui conti le bonifiche non fatte, gli extracosti, i contenziosi, le penali? Quasi tre mesi dopo la chiusura dei cancelli, non sappiamo nulla di chiaro su un evento pubblico realizzato con denaro pubblico. E la Corte dei conti ha già censurato alcune manovre di bilancio, come l’aver iscritto come investimenti, cioè in conto capitale, alcune spese che invece sono andate alla gestione. Con il risultato che il vero costo della gestione Expo è di 960 milioni di euro e non 800 come si ostina a ripetere Sala.

Se questo è lo stile di lavoro di Sala alle prese con un piccolo bilancio da 800 milioni, che cosa succederà se mai dovesse occuparsi del bilancio del Comune di Milano, da 5 miliardi?

Può un manager che ha gestito senza trasparenza un’impresa pubblica andare a gestire una grande metropoli come Milano?

2. Non vede e non sente

La narrazione di Expo come icona dell’Italia che riparte cerca di far dimenticare non soltanto la mancanza di trasparenza, ma anche i guai giudiziari dell’impresa. Il commissario e amministratore delegato si è visto portar via uno dopo l’altro tutti i suoi più stretti collaboratori, senza mai accorgersi di nulla.

– Il primo fu Antonio Rognoni, gran capo di Infrastrutture Lombarde, arrestato il 20 marzo 2014. Il giudice delle indagini preliminari Fabio Antezza scrive che Sala “aveva di fatto delegato il vero ruolo all’ingegner Rognoni, dal quale riceveva costanti suggerimenti (…) e con il quale prendeva le decisioni”.

– Poi è stata la volta del vero braccio destro di Sala, Angelo Paris, finito in cella l’8 maggio 2014 con l’accusa di essersi “messo a disposizione” della “cupola degli appalti” di Expo.

– Dopo tocca ad Antonio Acerbo, subcommissario di Sala, responsabile del Padiglione Italia e delle vie d’acqua: arrestato il 14 ottobre, insieme ad Andrea Castellotti, facility manager di Palazzo Italia.

– Non va liscia neppure all’uomo di Sala che gestisce i sei mesi di esposizione: Pietro Galli, direttore generale vendite e marketing, viene segnalato dal presidente dell’Anac Cantone perché è stato in passato condannato per bancarotta. Sala non si scompone: domanda chiarimenti a Galli e poi decide di riconfermargli la fiducia.

– Infine tocca a Christian Malangone, il manager più operativo della sua squadra, il direttore generale di Expo 2015. Condannato a 4 mesi di reclusione, in rito abbreviato.

Può un manager che non si è accorto di che cosa combinavano i suoi più stretti collaboratori andare a gestire una grande metropoli come Milano?

3. Quanti soldi distribuiti

3.1. Gli appalti. Expo è stata la fiera della deroga, la sagra della discrezionalità. A dirlo è il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, nella sua audizione del 18 febbraio 2015 davanti alla commissione Lavori pubblici del Senato: il codice degli appalti, così farraginoso, secondo il presidente dell’Anticorruzione, “ha giustificato, nella pratica, il ricorso frequente a normative speciali con la previsione di deroghe soprattutto per alcune grandi opere pubbliche; emblematico è il caso delle opere necessarie al grande evento Expo Milano 2015, per la realizzazione del quale le ordinanze del presidente del Consiglio e successivamente una legge ad hoc hanno introdotto la possibilità di derogare a ben 85 articoli del codice!”.

La gran parte degli appalti Expo è stata dunque affidata senza gara.

3.2. La stampa. In comunicazione, per esempio, sono stati spesi da Expo oltre 50 milioni di soldi pubblici. Una parte di questi è andata direttamente a giornali e tv, per garantire sostegno e “massima visibilità” a Expo. Solo qualche esempio: 500 mila euro al Corriere della sera; altrettanti a Repubblica; 310 mila euro all’Ansa; 64 mila euro al gruppo Sole 24 Ore; 85 mila euro al Foglio di Giuliano Ferrara; alla Rai è arrivata la cifra record di 5 milioni.

3.3. La ristorazione a Farinetti. Sala ha affidato senza gara anche il più importante appalto nel settore ristorazione: alla Eataly di Oscar Farinetti, grande amico e finanziatore del presidente del Consiglio Matteo Renzi, è stata concessa la gestione “del più grande ristorante del mondo”, uno spazio di 8 mila metri quadrati in cui hanno funzionato per i sei mesi dell’esposizione 20 ristoranti in cui si sono dati il cambio 120 ristoratori scelti da Farinetti. Un business milionario che l’imprenditore ha gestito con il solo impegno di girare a Expo una royalty del 5 per cento sugli incassi. Quanto? Non si sa. Anche in questo caso, trasparenza zero.

Dopo gli articoli del Fatto quotidiano che raccontano la vicenda, Cantone aveva contestato a Sala quell’affidamento diretto, aveva “ritenuto non del tutto soddisfacenti le spiegazioni ricevute” e aveva segnalato l’operazione alla Procura di Milano. L’inchiesta si chiude nel gennaio 2015 con un’archiviazione, perché il gip Claudio Castelli (uno dei gestori dei fondi Expo assegnati dal ministero della Giustizia per il palazzo di giustizia di Milano) non ravvisa profili penali nell’operato di Sala. Che però “ha assicurato” a Farinetti “condizioni economiche particolarmente vantaggiose” e “di maggior favore” se “paragonate a quelle più rigorose” per gli altri operatori della ristorazione: a questi viene chiesto il 12% sugli incassi, a Farinetti solo il 5%, con Expo che si accolla anche le spese per elettricità, acqua, “allaccio dei servizi” e perfino i “costi sostenuti da Eataly per le celle frigorifere (50 mila euro)”.

3.4. Oltre i suoi poteri. Sala è andato oltre le regole, pur così lasche, superando i poteri di spesa (fino a 10 milioni di euro) che aveva come amministratore delegato. In un guazzabuglio di “inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”, il commissario, nell’arco di due mesi, ha firmato sette determine, tutte sotto i 10 milioni, con le quali ha però affidato a una società, la Mantovani, lavori per ben 34 milioni, più del triplo di quello che poteva fare (Fonte: Audit sulla “piastra”).

Può un manager che ha gestito in questo modo un’impresa pubblica andare a gestire una grande metropoli come Milano?

4. Capacità manageriali?

Al di là di ogni disattenzione e oltre ogni responsabilità penale, c’è un documento riservato che delinea un ritratto impietoso delle ora tanto declamate capacità manageriali del commissario: è l’Audit (l’obbligatorio controllo interno) del giugno 2014 sul più grande degli appalti dell’esposizione universale, quello sulla “piastra” (l’infrastruttura di base dell’area), realizzato da due società di consulenza, Adfor e Fernet.

Il documento allinea 15 osservazioni pesantemente critiche sulla gestione dell’appalto.

Le irregolarità iniziano fin dalla programmazione dei lavori, avviati senza i “documenti organizzativi” previsti dal codice degli appalti. Così, scrivono gli auditor, “si è dovuto procedere con affidamenti diretti alla Mantovani per recuperare il tempo perduto, sopportando maggiori costi”. Alla fine, gli errori di programmazione costano cari: ci sono “atti aggiuntivi per un importo di circa 40 milioni di euro”.

Il braccio destro di Sala, Paris, non aveva neppure i requisiti professionali per fare il responsabile unico del procedimento (rup): perché non aveva “alcuna precedente esperienza tecnica né in ambito privato né pubblico”; e perché, addirittura, non era ingegnere (“non risulta l’iscrizione all’Ordine” né il “superamento dell’esame di Stato”).

Tutta l’organizzazione dei lavori è un disastro, osservano gli auditor: “Si rileva l’assenza di specifici mansionari per le figure dell’ufficio, che faciliterebbero la chiara definizione di ruoli, compiti e responsabilità, nonché la piena tracciabilità delle attività svolte”. Non risultano controlli “sulle progettazioni svolte da soggetti esterni” (Mm, Infrastrutture Lombarde, Fiera Milano), con la conseguenza di “errati computi metrici utilizzati per l’analisi dei prezzi”. “Nessuno all’interno di Expo ha controllato il computo metrico di scavi e fondazioni, opere caratterizzate da alto rischio di azioni corruttive”. Sono state inoltre “adottate in modo illegittimo delle deroghe all’applicazione del codice appalti”.

Gravissimo il rilievo sulla “inadeguata modalità di conservazione della documentazione di gara”: “È emerso che anche Ilspa disponeva della chiave dell’armadio” dov’erano conservate le carte, così “la graduatoria delle offerte qualitative poteva essere conosciuta, oltre che dalla commissione, anche da altro personale di Ilspa”.

La vicenda più emblematica della leggerezza con cui è stato speso il denaro pubblico è quella dell’appalto per 6 mila alberi da piantare nel sito. Il contratto viene affidato nel luglio 2013, senza gara, alla Mantovani per un importo di 4,3 milioni: fatti i conti, sono 716 euro a pianta. Quattro mesi dopo, nel novembre successivo, la Mantovani stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni: 266 euro a pianta. Quindi Sala ha pagato le piante quasi tre volte il loro valore. Spiega: l’ho dovuto fare a causa dell’urgenza; ma gli alberi, alla fine, sono stati piantati solo nell’autunno del 2014, un anno e tre mesi dopo il contratto senza gara.

È sempre l’audit a contestare a Sala, come abbiamo visto, di essere andato oltre i suoi poteri di spesa. Come amministratore delegato poteva spendere fino a 10 milioni. Ma “alcune determine a contrarre opere complementari superano nell’insieme” la soglia e “sono assunte dall’ad, nell’arco temporale ristretto di circa due mesi, prima dell’informativa fornita in consiglio d’amministrazione” che “in modo cumulativo approva l’affidamento”. Il tutto condito con “inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”. È in questo guazzabuglio che Sala, con sette determine tutte sotto i 10 milioni, affida a Mantovani lavori per 34 milioni.

Può un manager che ha gestito in questo modo un’impresa pubblica andare a gestire una grande metropoli come Milano?

5. Antimafia e anticorruzione

Sala ha rifiutato, malgrado le reiterate richieste del presidente della Commissione comunale antimafia David Gentili, di dotare anche Expo del “Whistleblowing” (la possibilità per un dipendente di denunciare riservatamente corruzioni e illegalità), strumento anticorruzione suggerito da Transparency International e già adottato dal Comune di Milano.

Sala ha rifiutato la proposta del sindaco Giuliano Pisapia, sulla base del “Protocollo di legalità” firmato da Expo, di escludere la Maltauro dall’appalto che aveva vinto in modo irregolare.

Oscurità gestionale perfino negli appalti antimafia, quelli fatti per garantire la correttezza e la legalità delle procedure. Il Comitato antimafia milanese presieduto dal professor Nando dalla Chiesa, dopo aver chiesto chiarimenti a Expo e non aver ricevuto alcuna risposta, ha trasmesso alla Procura della Corte dei conti uno stralcio della sua sesta relazione semestrale, in cui segnala due affidamenti Expo nei quali ha riscontrato anomalie. Sono due contratti senza gara per la “realizzazione della piattaforma gestionale per adempiere alle richieste delle Linee Guida Antimafia per protocollo di legalità”. La prima è aggiudicata, con procedura negoziata senza previa pubblicazione, a Bentley Systems Italia srl, per il valore di 200 mila euro (inizio contratto 12 marzo 2012, scadenza 15 giugno 2012). La seconda, sempre aggiudicata con procedura negoziata senza previa pubblicazione, va a Opera 21 spa, per il valore di 541,5 mila euro (inizio contratto 24 aprile 2012, scadenza 31 dicembre 2012).

“Il Comitato si rammarica”, scrive infine l’organismo presieduto da Dalla Chiesa, “per avere dovuto constatare come, anche davanti a richiesta formale del Delegato del Commissario Unico di Expo 2015, nonché responsabile delle Relazioni istituzionali del Comune, tali rapporti di consulenza antimafia siano risultati inaccessibili allo stesso organo nominato dal Sindaco per contrastare le organizzazioni mafiose.

“Il Comitato ha appreso degli scadenti risultati dei lavori relativi alla piattaforma informatica, oggetto degli affidamenti di cui sopra, tramite gli organi di stampa e il Presidente della Commissione Consiliare Antimafia David Gentili, che nel suo blog ha riportato sia le difficoltà riscontrate dalla Prefettura nell’utilizzo della piattaforma informatica, sia le modalità non aperte e competitive con cui è stato successivamente affidato il lavoro di messa a punto e gestione della piattaforma alla società Top network, che tempo prima aveva rilevato la società Opera 21 (http://davidgentilids.blogspot.it/2014/07/la-strana-e-intricata-storia-della.html).

“Il Comitato ritiene preoccupante che la società abbia reiterato la realizzazione di pratiche opache proprio nell’ambito di un ri-affidamento di un lavoro che era risultato scarso rispetto ai costi sostenuti e che aveva pertanto comportato un evidente spreco di denaro pubblico. Il Comitato ha ritenuto doveroso rendere pubblica la cronistoria dell’insufficiente risposta della società Expo per ribadire la necessità da parte delle società a partecipazione pubblica di sottoporsi a doverosi meccanismi di accountability”.

Può un manager che ha così sottovalutato l’illegalità andare a gestire una grande metropoli come Milano?

 6. Commistioni Expo/Sala, ruoli doppi (anzi tripli)

Giuseppe Sala, candidato sindaco, fa campagna elettorale mantenendo fino al 31 gennaio 2016 gli incarichi di membro del consiglio d’amministrazione e di amministratore delegato della società Expo spa, nonché, anche oltre quella data, di commissario straordinario delegato del governo.
Resta anche membro del cda di Cassa depositi e prestiti.

Non si capisce dove finisce Expo e dove iniziano i suoi affari personali e la sua carriera politica:

  1. Usa per lavori nella sua villa al mare di Zoagli due architetti che hanno lavorato per Expo, Michele De Lucchi (compenso: più di 600 mila euro per Padiglione Zero ed Expo Center) e Matteo Gatto (architetto Masterplan, dipendente Expo spa).
  2. Utilizza come stratega della sua campagna elettorale per le primarie la Sec di Fiorenzo Tagliabue (che riceve, insieme alla Hill & Knowlton, 1,54 milioni di euro per l’attività di media relations).

    Può fare il sindaco di Milano un uomo che ha utilizzato fornitori pubblici per i propri affari privati, ha confuso il suo ruolo di manager pubblico con quello di cittadino privato, e poi quello di manager pubblico con quello di uomo politico?

7. Le incompiute

Sala lascia comunque aperte e indeterminate alcune partite delicate che non è riuscito a portare a termine come manager di Expo. Non ha definito la partita delle bonifiche dei terreni su cui si è svolta l’esposizione universale e dei relativi costi (70 milioni invece dei 6 previsti). Non ha chiuso i contenziosi con molte aziende che chiedono extracosti, su cui sono intervenuti più volte l’Autorità nazionale anticorruzione e l’Avvocatura dello Stato, anche per sottolineare errori di comportamento della società Expo. Non ha definito la vicenda della penale che Expo potrebbe pagare sui parcheggi gestiti dalla società Ativa, gruppo Deutsche Bahn.

In definitiva, può un manager che ha gestito in questo modo un’impresa pubblica come Expo andare a gestire una grande metropoli come Milano?

Il Fatto quotidiano, 16 gennaio 2016 (versione estesa)
To Top