GIUSTIZIA

Il giudice non piace? Lo mando in pensione

Il giudice non piace? Lo mando in pensione

Il cambiamento dell’età per andare in pensione è, di solito, una leva economica che ha a che fare con i conti dell’Inps e dello Stato. Per una categoria di lavoratori molto particolare, i magistrati, è invece una mossa politica. Andavano in pensione a 72 anni. Silvio Berlusconi alzò la soglia a 75, per compiacere, da presidente del Consiglio, alcune cariatidi della Cassazione. Matteo Renzi cambiò verso e nel giugno 2014 l’abbassò a 70. Un disastro: in un colpo solo, sono rimasti vuoti 400 posti di dirigenti, capi e vicecapi, in delicati uffici giudiziari in tutta Italia; aggiungendo i buchi in organico, ci sono mille posti vacanti. Per evitare la paralisi del sistema, è scattato il rito della proroga estiva. La prima nell’estate del 2014, poi in quella del 2015 e ora è attesa a ore quella del 2016.

Risultato: una magistratura che da tre anni va in vacanza aspettando dalla politica la decisione che può cambiare i profili degli uffici giudiziari; e tanti alti magistrati la cui sorte e la cui fine carriera è legata alla decisione del governo. Quest’anno tocca soprattutto a Giovanni Canzio, primo presidente della Corte di Cassazione, che godrebbe della proroga e resterebbe in carica fino al dicembre 2017. Una misura, di fatto, ad personam. Perché intanto l’Associazione nazionale magistrati chiede invece un cambiamento strutturale, una normativa generale: portare a 72 anni l’età della pensione per tutti i magistrati. Sarebbero risolti molti buchi, ma soprattutto sarebbe tolta alla politica la discrezionalità di fare oppure no la proroga d’agosto. Con l’elevamento a 72 anni per tutti, però, Canzio non sarebbe salvato. Cosa deciderà il governo?

In passato, l’esempio più clamoroso di cambiamento dell’età pensionabile per favorire un magistrato e silurarne un’altro riguardò Piero Grasso (il favorito) e Gian Carlo Caselli (il silurato). Era il 2005 e Caselli avrebbe potuto diventare procuratore nazionale antimafia. Per impedirglielo, un decreto legge governativo concesse una proroga di sei mesi al procuratore nazionale allora in carica, Piero Luigi Vigna, che avrebbe dovuto lasciare proprio nel gennaio 2005. Così saltò il concorso per scegliere il successore, già avviato dal Consiglio superiore della magistratura.

Nel frattempo, la maggioranza di governo berlusconiana inserì nella riforma dell’ordinamento giudiziario una norma che impediva di assumere incarichi direttivi ai magistrati che avessero già compiuto 66 anni (proprio l’età di Caselli nel 2005): perché non avrebbero garantito almeno quattro anni d’attività prima di raggiungere i 70 anni. Curioso, perché allora le toghe andavano in pensione non a 70, ma a 75 anni. Poi il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi non promulgò la legge del nuovo ordinamento giudiziario e la rinviò alle Camere: saltò tutto e Caselli – colui che aveva avuto il coraggio di portare a processo per mafia, a Palermo, Giulio Andreotti e Marcello Dell’Utri – rischiò di poter diventare procuratore nazionale antimafia.

Allora si mise in moto un parlamentare-magistrato, Luigi Bobbio di Alleanza nazionale, che fece approvare dal Parlamento un suo emendamento che stabiliva che la bislacca regola dei 66 anni – e solo questa – diventava immediatamente operativa, anche senza i decreti delegati che le Camere non avrebbero mai fatto in tempo a varare prima dello scioglimento e delle nuove elezioni del 2006. Con questa legge contra personam Caselli non riuscì a entrare nella Procura nazionale antimafia, che fu invece affidata a Piero Grasso, oggi presidente del Senato.

Dalla norma contra personam di ieri a quella ad personam di oggi. Quando Giovanni Canzio fu scelto dal Csm per la Cassazione, a non votarlo, preferendo l’astensione, furono tre consiglieri: Lucio Aschettino, Piergiorgio Morosini e Alessio Zaccaria. “La nomina di Canzio”, spiegò Aschettino, “non è in linea con il testo unico sulla dirigenza e con la disposizione che vuole che le funzioni direttive siano ricoperte per almeno due anni”. Ma ecco che ora dovrebbe arrivare la proroga riparatrice.

Il Fatto quotidiano, 30 agosto 2016
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