MILANO

Storia (immaginaria) di S. il manager che volle farsi sindaco

Storia (immaginaria) di S. il manager che volle farsi sindaco

Facciamo un gioco. Immaginiamo un sindaco, primo cittadino di una grande città. Chiamiamolo S.: esperienze manageriali, ottimi contatti con la gente che conta, in politica e nell’impresa; preciso, a suo modo affabile; non un grande oratore, ma concreto. Ecco come S. gestisce la città.

Non comunica ai consiglieri comunali e ai cittadini i dati della sua amministrazione. Non dice, per esempio, quanti sono i visitatori di una grande mostra costata cara al Comune: il caldo, sostiene, ha fatto saltare i computer che controllano i biglietti. Non comunica quali sono le spese dell’amministrazione, né i dati di bilancio. Si limita a rilasciare comunicati stampa, con dati incompleti e difficilmente interpretabili. I suoi più stretti collaboratori a Palazzo Marino sono coinvolti in brutte vicende giudiziarie, alcuni sono indagati, altri addirittura arrestati. Ma lui resta al suo posto, non si era accorto, non sapeva. “Chi poteva immaginare?”, dice.

Per poter affidare grandi incarichi senza gara, li fraziona in piccoli incarichi concessi alla stessa persona. Assegna senza gara anche un grande appalto per scegliere 120 trattorie, sostenendo che solo la persona a cui lo ha affidato è in grado, per la sua “unicità”, di sceglierle bene. Viene indagato per questo, su segnalazione dell’Autorità nazionale anticorruzione, dalla Procura della Repubblica. Molto riservatamente: senza alcun avviso di garanzia, per non dare nell’occhio, e con magistrati che agiscono con grande “sensibilità istituzionale”. Alla fine, arriva una silenziosa archiviazione, firmata non da un giudice normale, ma dal capo dei giudici in persona, che aveva riservato per sé il fascicolo.

È molto generoso, S., con il denaro pubblico: lo distribuisce a imprese, professionisti, gruppi, associazioni, artisti. Discrezionalmente, ma accontentando un po’ tutti. Così crea attorno a sé un grande consenso. Per i conti pubblici, si vedrà. Trova il modo di finanziare anche i giornali e le tv della città, così si fa molti amici anche nel mondo dell’informazione.

Ha un autonomo potere di spesa fino a una certa cifra, ma aggira l’ostacolo affidando sette piccoli incarichi alla stessa persona, nell’arco di due mesi, fino ad arrivare al triplo della cifra che avrebbe potuto spendere. Per rendere la città più verde, affida a un’impresa l’incarico di piantare 6 mila alberi, al costo di 4,3 milioni: spende 716 euro a pianta. Il triplo del loro costo, perché l’impresa compra gli alberi in un vivaio che li vende a 1,6 milioni: 266 euro a pianta. Malgrado gli allarmi antimafia, si guarda bene dal far scattare controlli severi e a sorpresa nei cantieri cittadini e nei mercati, con gran gioia delle cosche e ulteriore lavoro per la Procura, che apre un’indagine segreta.

Affida un incarico a un noto architetto. Per non fare una gara, usa il solito trucco, divide il lavoro in tre piccole parti. Totale: 110 mila euro. A lavoro finito, l’architetto incassa 800 mila euro: ma pagati, con soldi del Comune, non dal Comune, ma da una società privata che ha un accordo con il Comune. Lo stesso architetto, già che c’è, viene chiamato da S. che gli fa realizzare (a pagamento, per carità) una parte della sua villa al mare, in un guazzabuglio tra lavori privati e lavori pubblici che non è proprio il massimo dell’eleganza. Poiché, prima di diventare sindaco, S. era il responsabile di una grossa operazione realizzata anche con i soldi del Comune, S. si trova nell’imbarazzante situazione di dover giudicare se stesso.

Ecco. Questa è la situazione immaginaria di S., che potrebbe diventare realtà. Piena di oscurità, opacità, ambiguità, imbarazzi, conflitti d’interesse, ferite allo spirito pubblico, offese alla cultura istituzionale. Reati? No. Ma come ha scritto Nando dalla Chiesa, “la cultura istituzionale non è il codice penale”.

Il Fatto quotidiano, 5 febbraio 2016
To Top