SEGRETI

Milano, attenta al boss della porta accanto

Milano, attenta al boss della porta accanto

La notizia non è andata oltre le pagine locali dei quotidiani lombardi. Eppure rivela plasticamente che cosa stia diventando la mafia a Milano. Il 26 gennaio, all’alba, scatta un’operazione contro la ’ndrangheta che porta in carcere due uomini, accusati di essere ai vertici del clan Iamonte-Moscato di Desio, in Brianza. Il primo, Ignazio Marrone, è un carrozziere quarantenne con precedenti di detenzione di armi e ricettazione. Dalla sua carrozzeria-fortino di Desio, presidiata e difesa da una rete di telecamere e sistemi anti-intrusione, faceva da ponte tra i calabresi della ’ndrangheta e i siciliani di Cosa nostra. L’altro, Arturo Sgrò, 42 anni, incensurato, ha un ben altro profilo e un’opposta estrazione sociale. È uno stimato chirurgo plastico che opera a Milano e lavora all’ospedale di Niguarda.

Ormai nessuno ha il coraggio di dire che a Milano la mafia non c’è. Sono finiti i tempi del “negazionismo” dei sindaci da Stefano Pillitteri a Letizia Moratti. Ma oggi l’immagine prevalente della mafia al Nord è quella di famiglie asserragliate nelle loro ville nell’hinterland, impegnate in business “a rischio” come l’edilizia e il movimento terra, oppure in affari da sempre borderline come la gestione di locali notturni, discoteche, bar. Cantieri e mondo della notte: abbiamo già dimenticato i colletti bianchi arrestati dal 2010 a oggi che trattavano voti e affari con gli assessori comunali e regionali, non ci ricordiamo più i faccendieri delle cosche che si erano infiltrati nella sanità, è sprofondato nella smemoratezza il nome di Carlo Chiriaco, direttore sanitario a Pavia e grande amico del “Faraone” della sanità lombarda, l’appena scomparso deputato Gian Carlo Abelli, pace all’anima sua.

Questa volta, però, Milano dimostra di non essere più indietro di Palermo, dove Cosa nostra ha boss “rispettabili” come Giuseppe Guttadauro, medico chirurgo nonché capo del mandamento di Brancaccio. L’appena arrestato Arturo Sgrò è un professionista noto, laurea all’università di Messina, borsa di ricerca in Chirurgia maxillo-facciale e malformativa del viso, esperienze all’estero. Arriva a Milano dalla Calabria nel 2009, ha un posto di dirigente medico all’ospedale di Niguarda. La sua è una famiglia di medici (suo fratello, Edoardo, lavora agli Ospedali riuniti di Reggio Calabria) e di mafiosi (i suoi parenti Giuseppe e Salvatore Sgrò sono stati arrestati nel 2010 nell’operazione Infinito condotta da Ilda Boccassini).

La sua attività si svolgeva a Niguarda e nel suo studio privato. Certo, Arturo Sgrò mica poteva dimenticarsi degli “amici”. Così visitava anche esponenti mafiosi o s’interessava delle loro condizioni sanitarie. Non senza prudenza: “In casa, in macchina o al telefono, il mio nome non voglio che sia fatto”, diceva intercettato. Riposto il bisturi, non disdegnava di fare anche il recupero crediti, presentandosi con “modi bruschi e tipici del metodo mafioso” a imprenditori della Brianza – che pagavano zitti e si guardavano bene dal denunciare, a proposito di omertà.

Il medico-boss si dava da fare anche per il welfare della mafia, cioè il sostentamento delle famiglie dei detenuti. Insomma, aveva assunto un ruolo di rilievo, dopo gli arresti dei capi della “locale” di Desio, prima Annunziato Moscato e poi Pino Pensabene. Medico e mafioso. Sgrò è il boss della porta accanto con cui sarà bene che anche a Milano impariamo ad avere a che fare.

Il Fatto quotidiano, 29 gennaio 2016
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