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Se questo è un manager. L’audit Expo che boccia Sala

Se questo è un manager. L’audit Expo che boccia Sala GIUSEPPE SALA

La glorificazione patriottica di Expo (prima di fare i conti finali che pure promettono sorprese) comporta anche la santificazione del commissario Giuseppe Sala, il quale effettivamente è riuscito a condurre in porto un vascello che rischiava il naufragio. Ma come c’è riuscito? A Milano c’è chi paragona Sala a un personaggio di Enzo Jannacci, il palo della banda dell’Ortica, che “resta solo a fissare nella notte”, mentre attorno gli arrestano tutti i compagni, perché “a vederci non vedeva un’autobotte, però a sentirci ghe sentiva on accident”. Il commissario non si accorge di ciò che combina il suo alter ego e braccio destro, il manager Angelo Paris, non si rende conto di cosa fa il subcommissario Antonio Acerbo, non vede le imprese del facility manager Andrea Castellotti. Tutti finiti agli arresti.

Ma al di là di ogni disattenzione e oltre ogni responsabilità penale, c’è un documento riservato che delinea un ritratto impietoso delle capacità manageriali del commissario: è l’audit del giugno 2014 sul più grande degli appalti dell’esposizione universale, quello sulla “piastra”, l’infrastruttura di base dell’area. Appalto da 272 milioni vinto il 3 agosto 2012, con un’offerta di 148,9 milioni più 16,2 di oneri di sicurezza, da una cordata d’imprese capitanata dalla Mantovani di Padova che, a sorpresa, batte il colosso Impregilo.

Nel novembre 2013 Expo spa affida a due società di consulenza, Adfor e Sernet, le obbligatorie analisi di controllo. Il documento finale è datato 25 giugno 2014 e allinea una quindicina di osservazioni pesantemente critiche. Dopo gli arresti di Antonio Rognoni (il capo di Ilspa-Infrastrutture Lombarde spa che faceva anche da stazione appaltante Expo) e di Angelo Paris (il direttore dei lavori), l’audit nel settembre 2014 viene consegnato da Expo spa alla Procura di Milano, insieme a un documento di controdeduzioni.

È Sala in persona a essere bacchettato dagli auditor. Come amministratore delegato, ha potere di spesa per 10 milioni. Ma “alcune determine a contrarre opere complementari superano nell’insieme” la soglia e “sono assunte dall’ad, nell’arco temporale ristretto di circa due mesi, prima dell’informativa fornita in consiglio d’amministrazione” che “in modo cumulativo approva l’affidamento”. Il tutto condito con “inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”. In questo guazzabuglio, Sala, con sette determine tutte sotto i 10 milioni, affida a Mantovani lavori per 34 milioni.

Il braccio destro di Sala, Paris, non aveva neppure i requisiti professionali per fare il responsabile unico del procedimento: perché non aveva “alcuna precedente esperienza tecnica né in ambito privato né pubblico”; e perché, addirittura, non era ingegnere (“non risulta l’iscrizione all’Ordine” né il “superamento dell’esame di Stato”).

Le irregolarità iniziano fin dalla programmazione dei lavori, avviati senza i “documenti organizzativi” previsti dal codice degli appalti. Così, scrivono gli auditor, “si è dovuto procedere con affidamenti diretti alla Mantovani per recuperare il tempo perduto, sopportando maggiori costi”. Alla fine, gli errori di programmazione costano cari: ci sono “atti aggiuntivi per un importo di circa 40 milioni di euro”.

Tutta l’organizzazione dei lavori è un disastro, osservano gli auditor: “si rileva l’assenza di specifici mansionari per le figure dell’ufficio, che faciliterebbero la chiara definizione di ruoli, compiti e responsabilità, nonché la piena tracciabilità delle attività svolte”. Non risultano controlli “sulle progettazioni svolte da soggetti esterni” (Mm, Infrastrutture Lombarde, Fiera Milano), con la conseguenza di “errati computi metrici utilizzati per l’analisi dei prezzi”. “Nessuno all’interno di Expo ha controllato il computo metrico di scavi e fondazioni, opere caratterizzate da alto rischio di azioni corruttive”. Sono state inoltre “adottate in modo illegittimo delle deroghe all’applicazione del codice appalti”.

Gravissimo il rilievo sulla “inadeguata modalità di conservazione della documentazione di gara”: “è emerso che anche Ilspa disponeva della chiave dell’armadio” dov’erano conservate le carte, così “la graduatoria delle offerte qualitative poteva essere conosciuta, oltre che dalla commissione, anche da altro personale di Ilspa”.

La vicenda più emblematica della leggerezza con cui è stato speso il denaro pubblico è quella dell’appalto per 6 mila alberi da piantare nel sito. Il contratto viene affidato nel luglio 2013, senza gara, alla Mantovani per un importo di 4,3 milioni: fatti i conti, sono 716 euro a pianta. Nel novembre successivo la Mantovani stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni: 266 euro a pianta. Quindi Sala ha pagato le piante quasi tre volte il loro valore. Spiega: a causa dell’urgenza; ma gli alberi, alla fine, sono stati piantati solo nell’autunno del 2014.

Il Fatto quotidiano, 4 novembre 2015
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