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La Consob zoppa che fa comodo a Renzi

La Consob zoppa che fa comodo a Renzi

Sono passati 18 mesi, un anno e mezzo, e la promessa di completare la composizione della Consob non è ancora stata mantenuta. La Commissione che vigila sulla Borse e i mercati finanziari è stata riformata da Renzi nel giugno 2014: dopo essere stata ridotta a tre membri dal governo Monti, è tornata per legge a essere formata da cinque commissari. Ma poi il presidente del Consiglio ne ha nominato uno solo, Anna Genovese, che si è affiancata a Paolo Troiano e al presidente Giuseppe Vegas. Quando arriveranno i due commissari mancanti? Perché Renzi non si decide a sceglierli?

Per fare le due nuove nomine, Palazzo Chigi aveva avviato una procedura via web, raccogliendo circa 160 manifestazioni d’interesse, con relativi curricula. Da questi, aveva poi selezionato una rosa di dodici nomi da cui sembrava che nel maggio 2015 stessero per arrivare i due prescelti. Erano circolati i nomi di Emilio Barucci e Marina Tavassi, poi quello di Carlotta De Franceschi. Non senza critiche: per i possibili conflitti d’interesse, per le accuse di scarsa autonomia e competenza. Comunque, alla fine, anche la procedura via web è rimasta senza risultato. Renzi però aveva fatto intendere che entro il settembre 2015 avrebbe deciso: è arrivato dicembre e la Consob rimane un’istituzione zoppa.

Per la sua composizione incompleta, certo. Ma anche perché Vegas resta indagato dalla procura di Roma nell’inchiesta che riguarda le nomine interne (quelle di Francesca Amaturo a direttore della segreteria del presidente, di Gaetano Caputi a segretario generale, di Gabriele Aulicino a condirettore, di Guido Stazi a funzionario generale) e gli spostamenti internazionali (quello del funzionario Luca Giordano inviato a Madrid). In più, la procura di Torino sta mettendo il naso anche nel ruolo giocato dalla Consob nella fusione Fonsai-Unipol, che benedetti da Mediobanca sono convolati a nozze facendo nascere Unipolsai.

E allora, perché Renzi non coglie l’occasione per completare l’Autorità, o magari addirittura rinnovarla, scegliendo un nuovo presidente? Vegas, che negli ultimi anni ha guidato la Consob come un monarca, ha perso i suoi punti di riferimento politici (Giulio Tremonti prima, il Nuovo centrodestra poi) ed è diventato malleabile e molto attento ai desideri del governo Renzi. In Consob, poi, la commissaria Genovese è stata soprannominata “Mercurio”: perché è considerata il messaggero, non degli dei, ma della ministra Maria Elena Boschi. Insomma, a guardarla con disincanto, viene il dubbio che una Autorità zoppa sia meglio di una Commissione nel pieno della sua autonomia, o per lo meno che così com’è sia più gradita alla politica, viste le delicate partite che sono in corso, da Telecom-Vivendi a Saipem-Cdp, da AnsaldoBreda a Montepaschi, per non dire del riassetto delle Popolari. Tutte faccende in cui il governo ha interessi precisi da far valere.

Le Popolari, per esempio: Consob ha avviato un’indagine conoscitiva sulle eventuali manovre di insider trading sui titoli che sarebbero avvenute dopo la decisione del governo – presa ma non ancora pubblica – di fare la riforma delle Popolari. Ancor più clamoroso il caso Ansaldo. Finmeccanica, controllata dallo Stato, agli inizi di novembre ha venduto alla giapponese Hitachi la AnsaldoBreda (produzione di treni) e il 40 per cento di Ansaldo Sts (sistemi di segnalamento del traffico). Il prezzo, 791 milioni, è la somma della cifra per la prima (30 milioni) e la seconda (761 milioni). Ma AnsaldoBreda, che negli ultimi anni ha accumulato perdite per oltre 1 miliardo di euro, ha di fatto valore negativo, mentre la Sts è un gioiellino che vale più della cifra dichiarata. Il totale potrebbe dunque nascondere una compensazione: alzo il prezzo dell’una e abbasso quello dell’altra. Con il risultato di diminuire il valore dichiarato della Ansaldo Sts, in modo che Hitachi possa lanciare ora l’opa sul restante 60 per cento della società a un prezzo molto conveniente, quello dichiarato da Finmeccanica: 9,5 euro per azione, invece dei 12 euro o più che sarebbe il valore reale. La Consob dovrà dire qualcosa sulla vicenda, dopo che le sono arrivate le istanze di alcuni fondi azionisti della società.

La Commissione ha dato il via libera anche alla vendita di una partecipazione di Saipem da Eni al Fondo Strategico Italiano (Fsi), controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti di Claudio Costamagna. Senza obbligo di opa, ha decretato. Così il 12,5 per cento di Saipem è passato a Fsi ed Eni ha incassato 463 milioni di euro, pagati da un fondo pubblico: un bell’aiutino alla società petrolifera, che ha chiuso il terzo trimestre con una perdita netta di 950 milioni, l’utile operativo crollato del 79 per cento (-290 milioni) e l’indebitamento attestato, a fine settembre, a quota 18,4 miliardi. Cassa Depositi e Prestiti, finanziata con i risparmi postali degli italiani, per statuto non può investire in aziende che non abbiano i bilanci sani. Eppure l’ingresso in Saipem assomiglia molto a un salvataggio, con annessa promessa di una ricapitalizzazione da 3,5 miliardi, che dovrà essere decisa dall’assemblea convocata proprio per oggi.

Insomma: Consob ha dossier scottanti sul tavolo. E allora: forse è meglio che a gestirli sia un presidente dimezzato e una Commissione debole, con Anna “Mercurio” Genovese a far la spola con Palazzo Chigi?

Il Fatto quotidiano, 2 novembre 2015
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