«Non chiamatemi Berluschino»

» Paolo Berlusconi

Affari, reati e debiti di Paolo, l’eterno fratello minore. Utile però al Grande Fratello

“Non chiamatemi più Berluschino”, implorava tanti anni fa in un’intervista sul settimanale Il Mondo. Niente da fare: Paolo Berlusconi, nato 13 anni dopo Silvio, resta il fratello minore. Anche nei business, perfino nella percezione delle imprese erotiche. Per non parlare della politica: il fratello maggiore è a Palazzo Chigi, lui ha solo l’ex moglie, Mariella Bocciardo, a Montecitorio. Utile, però, al Grande Fratello. È Paolo che si carica del Giornale quando la legge Mammì, nel 1990, impedisce a Silvio di possedere tre reti tv e anche un quotidiano. E quando viene arrestato nel 1994, con l’accusa di aver pagato tangenti alla Guardia di finanza, non riesce a convincere fino in fondo di essere, neppure in quella occasione, il protagonista assoluto: ai magistrati resta il dubbio che il fratellino si fosse prestato a coprire qualcuno più grande di lui.

Se poi Silvio è Gastone, il papero Disney fortunato a cui vanno tutte bene, Paolo è Paolino Paperino: non gliene va dritta una. Investe nelle discariche e, anche grazie all’emergenza rifiuti decretata nel 1995 dall’amico presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, la sua Simec accumula tonnellate di rifiuti nella maxipattumiera di Cerro, ricavandoci ben 243 miliardi di lire. Ma poi, nel 2002, arrivano i magistrati e scoprono il trucco: falsi in bilancio, false fatturazioni, truffa e corruzione. Seguono patteggiamento parziale, condanna a 2 anni e 1 mese, indulto, pagamento di multa record: 49 milioni di euro.

Poi Paolino si butta sulla tecnologia, acquisendo il gruppo Solari. Con una buona carta in mano: la commercializzazione dei decoder per il digitale terrestre e per Mediaset Premium. Ma incappa in cattive compagnie: socio di minoranza della sua Solari.com è Giovanni Cottone, sospettato di essere uomo vicino alle cosche. Non basta: gli affari vanno male e l’azienda salta. Un amico di Paolo e suo socio di minoranza, Fabrizio Favata, racconta di operazioni poco chiare, di gestione dissennata e di un fratello maggiore costretto, alla fine, a metterci di tasca sua 100 milioni di euro per impedire un crac duro, ma soprattutto pericoloso. Chissà: Favata è stato poi arrestato con l’accusa di essere un ricattatore, dopo essere andato in giro a spifferare di aver portato ai fratelli Berlusconi la famosa intercettazione segreta di Fassino (“Siamo padroni di una banca?”) comparsa a fine 2005 sulla prima pagina del Giornale. Paolo è invece indagato per ricettazione, nell’ipotesi che abbia ricevuto quella intercettazione, e per millantato credito, per avere incassato 560 mila euro portati da Favata a rate mensili nel suo ufficio al Giornale.

Il quotidiano oggi non riesce ad aggiustare i conti. Perde soldi da tre anni: 17,7 milioni di euro nel 2009, 22,7 nel 2008, 23,2 nel 2007. Perdita complessiva nel triennio: 63,6 milioni. I ricavi sono scesi da 70,2 a 69 milioni. Non sono bastati i tagli: i dipendenti sono passati dai 260 del 2005 ai 195 di oggi. La società editrice del Giornale ha inoltre appena rescisso il contratto con la Sies, che ha mandato a casa una decina di persone impegnate nella preparazione tipografica del quotidiano. E ha chiuso dal 1 agosto le pagine della cronaca romana, tentando (inutilmente) di mettere in ferie forzate i giornalisti che ci lavoravano. Non vanno bene le vendite: meno 4 per cento i ricavi in edicola nel primo trimestre 2010, malgrado la direzione di Vittorio Feltri abbia accresciuto le copie vendute, rispetto al 2009 di Maurizio Belpietro.

Ancor peggio la raccolta pubblicitaria. Ha tentato di fare miracoli la nuova concessionaria, Visibilia 2: cioè Daniela Santanchè, protagonista di scoppiettanti cene con gli imprenditori grandi investitori pubblicitari, presente il condirettore Alessandro Sallusti. Nessun imbarazzo per il doppio (o triplo) ruolo di Santanché, concessionaria di pubblicità e sottosegretario del governo Berlusconi, né per i simpatici appelli finali a investire nel giornale, facendo contento Feltri, ma soprattutto Silvio. Di Paolo non parlano mai: resta il Berluschino, il fratello condannato a restare minore.

Il Fatto quotidiano, 13 agosto 2010