La toga castiga-toghe

» Arcibaldo Miller

Vita e miracoli di Arcibaldo Miller. Pm della Tangentopoli napoletana. Poi capo degli ispettori del ministero della Giustizia. Infine frequentatore dei membri della P3

«Arcibaldo Miller è un galantuomo di altri tempi. Diventa fan». Così sta scritto sulla pagina Facebook di Arcibaldo Miller. Uomo dall’eleganza un po’ antica – sarà il taglio delle giacche, la scelta delle cravatte – e dai modi estremamente cortesi. Ma ha fama da duro, questo magistrato napoletano dalle lontane origini scozzesi. Da molti anni è a capo degli ispettori del ministero della Giustizia. È il principe dei controllori, la toga castiga-toghe, il magistrato più odiato dagli altri magistrati, o almeno quello guardato con più sospetto. Perché è lui che arriva, con la sua squadra, nelle procure e nei palazzi di giustizia dove il ministro ritiene che ci sia qualcosa che non va. È la speranza di rivincita della politica sulla magistratura. Dove arriva lui, gli accusatori si trasformano in accusati. A Trani, dove era stato mandato per fare le pulci ai pm che avevano osato aprire un’inchiesta sulle pressioni di Silvio Berlusconi per far chiudere “Annozero”. A Catanzaro, dove ha fatto pelo e contropelo a Luigi De Magistris. A Milano, dove ha passato al microscopio gli atti di Clementina Forleo, ma anche di Ilda Boccassini e Gherardo Colombo («Ledono l’onorabilità dell’ordinamento giudiziario», scrisse poi Miller nel suo rapporto).

Eppure quando era pubblico ministero, a Napoli, era considerato un investigatore rigoroso e intelligente. Braccio destro di quel mastino del procuratore capo Agostino Cordova, negli anni Novanta aveva indagato sulla ricostruzione post-terremoto, sulle imprese edili legate ai boss dei partiti, sui padroni della sanità, perfino su certe logge massoniche. Grandi inchieste, scarsi risultati processuali. Da qualche mese, è Miller a essere sulla graticola. I giornali hanno raccontato i suoi rapporti con gli uomini della “nuova P2” o, se preferite, P3. Il gruppo del faccendiere Flavio Carboni che, secondo i magistrati romani, tentava di «condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonché di apparati della pubblica amministrazione». Miller era presente alla cena del 23 settembre 2009 a palazzo Pecci Blunt, seduto a tavola nella casa romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, insieme a Carboni, al senatore Marcello Dell’Utri e ad altri quattro amici della compagnia. Argomento della serata: come condizionare i membri della Corte costituzionale che dovevano pronunciarsi sul lodo Alfano, per mettere al riparo Berlusconi dai processi in cui era imputato a Milano.

In un altro caso, i soci della “nuova P2” chiedono direttamente il suo intervento. Nel marzo 2010, la Corte d’appello di Milano ha escluso dalle elezioni regionali la lista “Per la Lombardia” del presidente Roberto Formigoni. La P3 si mette al lavoro: prima per fare pressioni sui giudici affinché riammettano la lista, poi sul ministero della Giustizia perché li “punisca” mandando un’ispezione nei loro uffici. Il 23 marzo Formigoni parla al telefono con Arcangelo Martino (l’uomo che ha presentato a Berlusconi Noemi Letizia, la ragazza che chiama “Papi” il presidente del Consiglio). «Ho ricevuto stamattina una telefonata di colui che si è impegnato a camminare velocemente», dice Formigoni. «Invece mi dice che non cammina affatto, né velocemente né lentamente. E che è stato consigliato di stare fermo: dallo stesso Arci… perché lui mi ha detto che sarebbe un boomerang pazzesco… questi qui potrebbero addirittura rivalersi su di noi». Interpretano gli investigatori: «colui che si è impegnato a camminare velocemente» è «Angelino», ossia il ministro della Giustizia Angelino Alfano. «Arci» è Arcibaldo Miller, il capo degli ispettori, che sconsiglia di «camminare», cioè di mandare un’ispezione a Milano. La P3 non si scoraggia. Il 26 marzo, Martino telefona direttamente a Miller. Gli chiede un incontro, che avviene a Napoli la domenica successiva. Poi l’ispezione non si farà.

Dopo lo scoppio dello scandalo e l’arresto di Carboni e Martino, Miller si difende: «Non ho mai esercitato pressioni sulle istituzioni. È vero, ero presente alla cena del 23 settembre a casa di Denis Verdini», ammette al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli. «Ma non sapevo che sarebbe stato presente anche Flavio Carboni. Io ero lì perché quella sera si è parlato della mia possibile candidatura alla presidenza della Regione Campania». Ma ora “Arci” resta appeso al filo dell’indagine sulla P3, sporcato da frequentazioni non troppo onorevoli. Niente, in confronto alle sue esperienze passate. Dalla procura di Napoli aveva infatti preferito andarsene per evitare un imbarazzante trasferimento per incompatibilità ambientale. Due boss di prima grandezza, Pasquale Galasso e Carmine Alfieri, una volta arrestati e diventati “pentiti”, avevano accusato il pm Miller di avere rapporti con uomini della camorra. Da quelle dichiarazioni erano nate due indagini a carico del magistrato, finite però con l’archiviazione. Ma davanti al Consiglio superiore della magistratura, Miller aveva ammesso le frequentazioni con gli imprenditori Sorrentino, legati ai boss: «È uno sbaglio che riconosco di aver fatto e ne subirò le conseguenze». Le conseguenze non ci sono state, perché Miller ha lasciato la procura napoletana per l’ufficio degli ispettori del ministero, che ha poi guidato con i governi di centrodestra e di centrosinistra. Chiamato a Roma dal leghista Roberto Castelli, è stato riconfermato da Clemente Mastella sotto il governo Prodi e poi da Angelino Alfano.

La storia più imbarazzante in cui è rimasto coinvolto è però quella della casa d’appuntamenti di via Palizzi, scoperta negli anni Novanta a Napoli. Nell’elenco dei frequentatori, molti vip e anche Miller. Nessuna conseguenza penale, ma il fastidio di dover subire battute pesanti. Quando il suo nome fu fatto come candidato sindaco del centrodestra contro Rosa Russo Iervolino, lo slogan pronto era: «Un uomo d’ordine per ripulire Napoli». «Già, questa città è un bordello», sghignazzavano i suoi avversari.

Il Venerdì di Repubblica, 20 agosto 2010