L’uomo che si è fatto banchiere

» Fabrizio Palenzona

Autotrasportatore e politico, si è autonominato al vertice di Unicredit. Intercettato, chiama «maiali» gli investigatori. Ora è indagato per la Popolare di Lodi.
Ma il suo capolavoro sono le autostrade. E i derivati…

Cinquantatré anni a settembre, Vergine, Fabrizio Palenzona nella vita ha già fatto tutto. È stato a destra, al centro, a sinistra, con la finanza laica e con quella cattolica, amico di Vincenzo Maranghi e di quelli che hanno cacciato Maranghi da Mediobanca. Ha studiato legge a Pavia quando Giulio Tremonti era assistente universitario ed è amico del ministro dell’Economia. Ma è stato anche un fedelissimo di Antonio Fazio, che con Tremonti si è preso a pesci in faccia. Palenzona, del resto, ha anche criticato severamente l’ex governatore della Banca d’Italia per le vicende Cirio e Parmalat facendo fronte unico con l’altro amico ex dc, Bruno Tabacci, che però oggi gioca con il Polo mentre l’imponente Fabrizio (1,90 di altezza per 1,5 quintali e spicci) è schierato a sinistra con la Margherita.

Nonostante i suoi incarichi politici e pur essendo azionista di un’impresa di autotrasporto, nelle didascalie sui quotidiani è definito banchiere, un banchiere che da anni ricopre cariche in Confcommercio e che sul certificato numero 2.504 di Cavaliere del lavoro ricevuto il 31 maggio 2004 è inquadrato sotto la categoria industria.
È cresciuto sotto la benigna protezione dei re di Castelnuovo Scrivia, i fratelli Marcellino e Pietro Gavio, di cui è socio, ma ha saputo entrare nelle grazie dei Benetton, primi concessionari autostradali italiani e dunque concorrenti dei Gavio, per quanto si può essere concorrenti fra oligarchi in Italia (si litiga, si fa un affare, si rilitiga, si fa un altro affare…).

Fino alla dissoluzione dell’armata fazista, è andato d’amore e d’accordo con la pupilla degli occhi dell’ex governatore di Bankitalia, Gianpiero Fiorani. Purtroppo, nella vita non è raro incontrare gente doppia e l’amicizia è presumibilmente terminata quando l’ex boss della Popolare di Lodi, agli arresti, ha detto di avere girato un paio di milioni di euro a Palenzona, vuoi in contanti vuoi sotto forma di plusvalenze su titoli quotati, in cambio di qualche favore reso alla banca lodigiana.

Palenzona ha smentito in modo drastico e si è compiaciuto che la rogatoria sul conto Chopin presso la Banca del Gottardo di Montecarlo sia andata a buon fine, così che si possa dimostrare in tempi brevi la sua estraneità ai versamenti effettuati da Fiorani e da Gianfranco Boni, ex direttore generale della Lodi-Bpi.

Nato a Novi Ligure il giorno dopo la vittoria del suo concittadino Fausto Coppi nel Mondiale di ciclismo del 1953, all’inizio degli anni Sessanta Palenzona si è trasferito qualche decina di chilometri verso nord a Tortona lungo il percorso della Milano-Sanremo. Le sue prime vocazioni sono state la politica, dove raggiungerà incarichi da notabilato di provincia, e il giornalismo, dove supererà l’altro aspirante cronista Fiorani ottenendo la tessera da pubblicista. Ha incominciato a muoversi nell’ambiente dell’Acli e della corrente dc Forze nuove durante i primi anni Settanta, quando la Democrazia cristiana non era precisamente lo sbocco occupazionale preferito dei giovani, ed è rimasto a fare il politico a tempo pieno fino a metà anni Novanta, attraversando una fase in cui il Piemonte orientale esprimeva personaggi di rilievo nazionale come i novaresi Oscar Luigi Scalfaro (Dc) e Pierluigi Nicolazzi (Psdi) o Pier Luigi Romita, socialdemocratico di Tortona.

È stato sindaco democristiano della cittadina per due mandati spesi a sostegno dell’Alta velocità ferroviaria Milano-Genova insieme al vero padrone dell’alessandrino, Marcellino Gavio. Ma le inchieste giudiziarie, la latitanza a Londra di Gavio e la mancanza di fondi per il mirabolante project financing concepito da Lorenzo Necci hanno bloccato il supertreno.

Nel 1995 il sindaco Palenzona è stato sul punto di uscire di scena. Non poteva ripresentarsi per il Comune e per le provinciali l’Ulivo voleva candidare un certo Massimo Bianchi. Il Bianchi, però, ha avuto una provvidenziale crisi di identità politica ed è passato al Polo poco prima del voto. L’ex primo cittadino è stato candidato ed eletto alla guida della giunta provinciale di Alessandria.

Capirai, hanno pensato i pochi dissidenti del feudo di Gavio. Invece Palenzona ha dimostrato che non esistono opportunità minori per una robusta ambizione. In pochi anni, l’ex seguace di Carlo Donat Cattin ha completato la sua metamorfosi. Ha prima ricevuto l’onore di diventare socio dei Gavio nel consorzio di trasportatori Unitra. Ma soprattutto, dopo un’accesa riunione in cui il presidente di giunta Fabrizio Palenzona ha discusso con se stesso la candidatura unica di Palenzona Fabrizio, si è lanciato nei favolosi salotti della grande finanza e nominandosi rappresentante della Provincia di Alessandria nella Fondazione Crt (Cassa di risparmio di Torino). Da qui è scattata la diffusione capillare di Palenzona.

Banche e autostrade. La Fondazione Crt è azionista di Unicredit e dunque Palenzona è diventato vicepresidente di Unicredit (gennaio 1999). Ma Unicredit è azionista di Mediobanca. Dunque, Palenzona è diventato consigliere del prestigioso istituto nel marzo del 2001. Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza la benevolenza dei padroni di Mediobanca. A Enrico Cuccia e a Vincenzo Maranghi, Palenzona deve quasi tutto. Poteva rimanere uno dei politici infilati nei consigli delle fondazioni bancarie che il tandem di Mediobanca disprezzava quasi quanto i giornalisti. Invece, l’Obelix di Novi Ligure era piaciuto. Si presentava nella sede della banca in via Filodrammatici, dietro la Scala, in compagnia di Marcellino Gavio che per ristrutturare il gruppo si era messo sotto l’ala di Cuccia. Due provinciali sbarcati nella capitale della finanza, ma umili e rispettosi, usi a obbedir tacendo e con una caratteristica che li rendeva simpatici a ogni banchiere: il contante.

L’unica impresa che raccoglie i soldi meglio di una banca è una concessionaria autostradale. Li raccoglie ogni giorno, come un supermercato, e non ha i fornitori da pagare. Ci sarebbe la manutenzione, le buche per terra, qualche altro lavoretto, ma l’Anas non mette fretta ai pezzi grossi, dunque né a Gavio né ad Autostrade. Cuccia aveva bisogno di liquidità per rafforzare il suo potere e Gavio è stato premiato con il privilegio di diventare azionista di Mediobanca. E dato che Marcellino doveva mandare avanti le aziende, il suo amico Palenzona ha potuto levarsi la soddisfazione di diventare banchiere.

Morto Cuccia, defenestrato Maranghi, Palenzona doveva scegliere. Poteva seguire Maranghi e andarsene, invece se ne è fatto una ragione. Unicredit lo ha confermato e il nuovo management di Mediobanca non ha obiettato alla scelta dell’azionista confermando a sua volta la carica in consiglio. A quel punto, Palenzona ha potuto incominciare a costruirsi la sua rete personale, sempre più larga come prova l’elenco delle sue cariche. Qui si citano le principali. Oltre ai posti in consiglio di Unicredit e Mediobanca, Palenzona presiede la Fai, la federazione italiana di padroni e padroncini di tir, a marzo è stato confermato vicepresidente di Confcommercio guidata dal forzista Carlo Sangalli dopo l’uscita di Sergio Billè. È consigliere anche della multiutility Amga, la muncipalizzata del gas di Genova, e di Schemaventotto, la cassaforte usata dai Benetton per prendersi Autostrade.

Il suo nome appare nella rosa dei candidati alla presidenza di Aeroporti di Roma, la società che gestisce il Leonardo da Vinci e l’aerostazione di Ciampino. Per completare il quadro trasporti e grandi infrastrutture, Palenzona è presidente di Aiscat, la Confindustria delle concessionarie autostradali. Non si tratta di una posizione puramente onorifica. Aiscat è la stanza di compensazione fra concessionari grandi e piccoli, pubblici e privati. Oltre ad Autostrade (Benetton) e alle società del gruppo Gavio, Aiscat raccoglie tutti gli enti locali che hanno investito il pubblico denaro in asfalto a tre corsie. Per fare un esempio, è socia Aiscat la Milano-Serravalle che la Provincia di Milano del diesse Filippo Penati ha appena comprato a peso d’oro da Marcellino Gavio. Non solo. In Aiscat figurano tutte le compagnie petrolifere operanti in Italia, dall’Eni alla Tamoil, più alcune imprese vicine al settore come Autogrill (gruppo Benetton).

Così come è accaduto con l’operazione Unicredit-Mediobanca, a pilotare Palenzona in Aiscat è stato un uomo d’influenza, vale a dire il professor Giancarlo Elia Valori, al tempo presidente uscente della stessa Aiscat e soprattutto presidente della Società autostrade, numero uno dei caselli in Italia. Il Professore ha avuto poi modo di farsi mandare via dal gruppo Benetton per contrasti con l’amministratore delegato Vito Gamberale. Noto per essere estremamente permaloso, Valori se l’è legata al dito non solo con Gamberale, ma anche con Palenzona che ha osato ricambiare la benevolenza del Professore rimpiazzandolo come ufficiale di collegamento fra i due (allora) litiganti Benetton e Gavio. Valori, che ha costruito una carriera sull’arte di diventare potenti creando relazioni fra potenti, non ha gradito il sorpasso del gregario al quale ha tirato la volata.

Ed è proprio il vecchio maestro, anche in senso massonico, che sta muovendo le sue truppe contro il giovanottone di Novi Ligure. Sotto traccia, come sempre. Il fronte più delicato è quello Autostrade-Unicredit perché consente di attaccare Palenzona su vicende vecchie e nuove, con le nuove che servono da pretesto per riportare a galla le vecchie. Secondo le accuse dell’ex amico Fiorani, Palenzona avrebbe ricevuto denaro per avere, da vicepresidente di Unicredit, operato per cedere la banca Iccri alla Popolare di Lodi a prezzo agevolato. Messa in questi termini è un’accusa assurda e Palenzona ha avuto gioco facile a smontarla: neppure nella Cassa rurale di Roccacannuccia il vicepresidente decide il prezzo di una cessione. Men che meno nella prima banca italiana per attivo, margine, redditività e risultato netto.

Questo non significa che Palenzona non abbia preso i soldi da Fiorani e che il prezzo di Iccri non sia stato oggetto di valutazioni contrastanti, magari con un po’ di moral suasion al ribasso da parte di Bankitalia. Ma la vicenda Iccri sembra piuttosto un segnale forte mandato da Fiorani per fare capire che, sullo sfondo, ci sono vicende ancora più grosse. Il punto è che i pagamenti sarebbero avvenuti parte in contanti per mezzo della classica busta e parte attraverso un meccanismo più sofisticato, ossia attraverso operazioni in derivati legati al titolo Autostrade.

Valori e grembiulini. Il segnale di Fiorani è stato raccolto in grande stile dalle truppe di Valori per rivitalizzare un’accusa che circola da un paio di anni. In sostanza, secondo questa tesi, Unicredit avrebbe sostenuto il titolo Autostrade nella corsa al rialzo di questi ultimi tre anni. Alla base di questa scelta ci sarebbe l’operazione sul capitale della concessionaria varata alla fine del 2002 dall’azionista di riferimento Schemaventotto. Questa società è per il 60 per cento dei Benetton e ha tre partner finanziari con cui Palenzona ha rapporti privilegiati. Sono la Fondazione Crt, da dove è partita la carriera del banchiere-industriale-commerciante-politico, la stessa Unicredit e le Generali, il colosso assicurativo di cui Mediobanca è l’azionista più importante.

Questi soci finanziari che hanno sostenuto i Benetton nella privatizzazione di Autostrade hanno anche partecipato all’opa lanciata da Schemaventotto sull’intero capitale della concessionaria. L’acquisto di tutte le azioni è stato realizzato con uno schema a debito. In altre parole, i compratori non hanno messo soldi ma si sono presi la società indebitandola per quasi 7 miliardi. Chi ha aderito all’opa ha ceduto un titolo che andava così così. Chi ha comprato nel febbraio 2003 ha più che raddoppiato il valore con una serie di conseguenze fra le quali una mostruosa e lecita stock option per Gamberale, una meno lecita, secondo Fiorani, plusvalenza per Palenzona e un carico di debito su Autostrade che dà soddisfazione alle banche creditrici. Il ruolo di Palenzona sarebbe stato di muovere le sue relazioni per ottenere sia l’assenso dell’Anas, la proprietaria delle autostrade per conto del Tesoro, sia il via libera del ministero dell’Economia, guidato dall’amico di Pavia Giulio Tremonti. Ecco il vero sfondo delle accuse di Fiorani, dietro il velo dell’operazione Iccri.

Il problema si presenta in un momento delicato per Unicredit. Proprio in questi giorni Alessandro Profumo, numero uno della banca, è alle prese con l’integrazione, piuttosto complicata, del gruppo tedesco Hypovereinsbank da poco acquistato. Delle rivelazioni di Fiorani sul suo vicepresidente farebbe volentieri a meno come farebbe a meno del vicepresidente stesso. Ma Palenzona ha già vacillato senza cadere. Gli è successo tre anni fa quando Maranghi perse la guida di Mediobanca. In teoria, l’uomo di Novi Ligure avrebbe dovuto scontare di avere difeso Maranghi fino all’ultimo e di averlo appoggiato in precedenza contro la stessa Unicredit sulla vicenda Sai-Fondiaria, un’altra storia intricata e complicata da accordi più o meno sottobanco. Ma, appunto, la rete dei rapporti nel frattempo è cresciuta al punto che l’umile Palenzona che si vestiva a festa per andare a trovare il Grande Vecchio di Mediobanca è diventato un potente in proprio.

Refuso (con due elle). Dal suo primo maestro Gavio ha imparato la capacità di trovare sponde politiche in ogni schieramento. Durante la legislatura che si chiuderà con le elezioni del 9 aprile ha potuto contare su ottimi appoggi nel Polo dove – guarda caso – alla notizia dell’avviso di garanzia nessuno ha riservato a Palenzona il trattamento applicato ai finanzieri comunisti di Unipol. Ancora più dell’amicizia con Tremonti, è stato stretto il rapporto con Luigi Grillo, il senatore forzista-fazista presidente della commissione Lavori pubblici, anch’egli indagato per le elargizioni di Fiorani. Grillo significa molto potere fra Genova e La Spezia, dove le casse di risparmio locali sono alleati importanti per controllare gli investimenti sul territorio e dove bisogna gestire con attenzione la lenta progressione verso il traguardo del nuovo aspirante concessionario Vito Bonsignore, socio di Carige. Se poi arriverà un nuovo governo, meglio ancora. Con la Margherita al potere, Palenzona è ancora più coperto.

A turbare queste serene prospettive può essere solo la melodia, molto notturna, del conto Chopin a Montecarlo. Alla fine, è la stessa musica di circa dieci anni fa, quando la sinfonia dei conti esteri era gestita da Pierfrancesco Pacini Battaglia. La struttura operativa era la stessa delle scalate bancarie recenti. Faceva capo alla Fimo, che poi si è chiamata Albis, poi Adamas Bank di Lugano, infine ribattezzata Bipielle Suisse con l’arrivo di Fiorani.

Gli amministratori, in Fimo come in Bipielle Suisse come nel fondo lussemburghese Victoria & Eagle, erano sempre Fabio Conti e Paolo Marmont du Haut Champ, il primo messo agli arresti, il secondo ricercato per la scalata Antonveneta. Che cosa c’entra questa gente con Palenzona? Bisogna fare un piccolo sforzo di memoria.

Pacini Battaglia adesso è in pensione ma dieci anni fa si occupava anche lui di infrastrutture e grandi lavori pubblici insieme all’amico Lorenzo Necci. Quando venne arrestato, nell’agenda del banchiere toscano furono trovati appunti che parlavano del consorzio Alta velocità Milano-Genova, il Cociv. Accanto all’azionista Marcellino Gavio, Pacini si era anche appuntato il nome Pallenzona. Due elle – fece notare Palenzona – dunque certamente non sono io. Il passista-scalatore-sprinter di Novi Ligure è stato anche questo, un refuso.

di Domenico Marcello