SEGRETI

Quei 30 milioni di Silvio a Marcello, amico degli amici

Quei 30 milioni di Silvio a Marcello, amico degli amici

di Giuseppe Pipitone/

All’uomo che sapeva tutto, Silvio Berlusconi ha lasciato 30 milioni. Tra i beneficiari del testamento, infatti, c’è anche Marcello Dell’Utri, che dopo aver appreso la notizia ha detto di non aver fatto altro che piangere, “non tanto per la cosa materiale ma per il gesto”. In effetti, a colpire non è solo l’entità del lascito, ma soprattutto il suo significato. Se si esclude Marta Fascina, l’ex senatore è l’unica persona citata nel testamento a non far parte della famiglia. Un segnale: il rapporto che lega B. al suo storico braccio destro è attualissimo e indissolubile.

E dire che il nome di Dell’Utri è praticamente svanito dagli entusiastici racconti mediatici dell’epopea berlusconiana su stampa e tv dopo la scomparsa dell’ex premier. A citare troppo Dell’Utri, in effetti, si corre il rischio di doverne ricordare anche la condanna definitiva per concorso esterno a Cosa Nostra: un bel problema visto che i fatti contestati risalgono al periodo tra il 1974 e il 1992, quelli dell’ascesa imprenditoriale di B.

Una scalata accompagnata anche da altri fedelissimi, come Fedele Confalonieri o Cesare Previti. Eppure nel suo testamento Berlusconi ha deciso di omaggiare soltanto l’amico Marcello. Come mai? Il Fatto avrebbe voluto chiederlo all’ex senatore, che però ha spiegato di non voler parlare con il nostro giornale. Nel frattempo, però, ha raccontato al corriere.it di essere rimasto sorpreso “perché nulla mi doveva il mio amico Silvio. Io ho dato tutto a lui, la mia vita, tutto. Da lui ho avuto in cambio affetto”. In effetti l’ex senatore ha trascorso quasi tutta la vita professionale al servizio di B.: dall’avventura imprenditoriale fino alla politica. Una storia che comincia a Milano, alla fine degli Anni 50: il giovane Marcello arriva da Palermo per studiare Giurisprudenza e a cedergli i libri è Silvio, che aveva conosciuto grazie a un amico di Palermo.

E sono di Palermo anche le persone che si presentano negli uffici Edilnord alla fine del maggio 1974: il boss Stefano Bontate e suo cognato Girolamo Teresi accompagnati da Gaetano Cinà, vecchio amico di Dell’Utri. C’è anche Francesco Di Carlo, mafioso di Altofonte, che da pentito racconterà l’incontro: “Ci vedemmo con Dell’Utri in un ufficio, dopo pochi minuti arrivò questo costruttore, Silvio Berlusconi. Ci salutò tutti con una stretta di mano”. Quel faccia a faccia con Cosa Nostra è considerato provato nella sentenza di Cassazione su Dell’Utri, in cui Berlusconi viene citato 137 volte.

Dell’Utri è condannato come “mediatore” perché ha “favorito e determinato” la “conclusione di un accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi e l’imprenditore amico”. Da quel momento a Cosa Nostra arrivano centinaia di milioni di lire come prezzo di un “accordo di protezione”, che la mafia garantisce all’inquilino di villa San Martino, dove viene inviato Vittorio Mangano. “Eravamo negli anni 70, la faccia di Mangano poteva tenere lontani i malintenzionati in un periodo violentissimo”, ammetterà Dell’Utri nel 2021, in un’intervista al Foglio in cui è loquace come non mai.

“Un giorno scoppiò un piccolo incendio in un campo di tiro al piattello che confina con il giardino della villa di Arcore. Siccome Berlusconi qualche settimana prima si era lamentato con Mangano dei rumori che gli impedivano di riposare, ecco che dopo l’incendio lo chiama. E gli chiede: Vittorio, ma che è successo al tiro al piattello? E quello, in palermitano, che sembrava uscito da un film su Cosa Nostra: cortocircuito fu”.

Dell’Utri, però, si era ben guardato dal raccontare la scena durante il suo tortuoso iter giudiziario. Che si conclude nel 2014: l’ex senatore viene riconosciuto colpevole per fatti commessi fino al 1992.“I giudici mi fanno passare per mafioso fino al ’92, ma cadono in contraddizione: se fosse vero, la mafia non mi avrebbe mollato proprio nel ’92, quando poteva sperare nei veri vantaggi del potere, della politica”, commenta dopo la condanna. L’ex senatore prende 7 anni, ne passa 4 in carcere e uno ai domiciliari, poi, nel dicembre 2019, torna libero.

Da quel momento, secondo l’inchiesta di Firenze sulle stragi del 1993, ha ricominciato a bussare alla porta dell’amico Silvio. Le richieste sono le stesse da anni: soldi, tanti. Secondo gli investigatori l’ex senatore arriva a ricordare ad Alfredo Messina, il tesoriere di FI, che “pagare i suoi difensori” equivale a “pagare anche la difesa di Berlusconi e di Forza Italia”. Alla fine ottiene un vitalizio da 30 mila euro al mese. Soldi che si aggiungono a quelli ottenuti in passato. Come i 40 milioni che dal 2003 al 2012 partono dai conti di B. e arrivano sui suoi.

A sua moglie, Miranda Ratti, l’uomo di Arcore dona tre milioni nel 2016, quando Dell’Utri era ancora in carcere.
Poi c’è villa Comalcione, la residenza sul lago di Como che nel 2012 fu comprata da B. Il costo? 21 milioni di euro. All’epoca i pm sostennero che si trattava di un prezzo esagerato. Quattro dopo, però, la villa venne rivenduta a un americano per 28 milioni, 7 in più. Racconta Dell’Utri che “metà della differenza” Berlusconi la diede a lui.

di Giuseppe Pipitonei, Il Fatto quotidiano, 7 luglio 2023
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