GIUSTIZIA

Eni, il caso è chiuso. Sconfitta la Procura di Mani pulite

Eni, il caso è chiuso. Sconfitta la Procura di Mani pulite

Di sicuro c’è solo che 1 miliardo e 300 milioni di dollari sono stati pagati da Eni e Shell per un grande campo petrolifero in Nigeria e neppure un cent è restato nelle casse dello Stato africano. Se li sono mangiati tutti gli ex ministri, i funzionari, gli uomini politici, i generali, gli intermediari e i portaborse. Ma la più grande mazzetta mai vista al mondo (secondo l’ipotesi d’accusa della Procura di Milano) non esiste. Eni non ha stretto alcun accordo corruttivo.

Il caso è chiuso: la Procura generale di Milano ha rinunciato addirittura a celebrare l’appello e ha calato una pietra tombale sull’affare petrolifero del secolo, quello per acquisire l’immenso campo d’esplorazione Opl 245, nato nel 2010 già in maniera anomala: non da valutazioni aziendali o da scelte professionali, ma da un amichevole suggerimento di Luigi Bisignani, piduista con grande fiuto per gli affari, all’amico Paolo Scaroni, allora amministratore delegato di Eni.

La Procura generale di Francesca Nanni non ha voluto neppure iniziarlo, l’appello (“Mai vista una cosa simile in 30 anni di lavoro”, ha commentato l’avvocato Lucio Lucia, rappresentante di parte civile dello Stato della Nigeria). “Questo processo deve finire perché non ha fondamento, non c’è prova di un accordo corruttivo, né prova del pagamento di utilità corruttive”, ha sostenuto in aula il sostituto procuratore generale Celestina Gravina. “Solo chiacchiere e opinioni generiche”.

Diventa così definitiva l’assoluzione in primo grado del 17 marzo 2021, senza che una Corte d’appello abbia potuto rivalutare – ed eventualmente smentire – gli elementi di prova raccolti dalla Procura di Milano, come le email scambiate tra manager Eni e Shell durante le trattative per Opl 245, che secondo i pm e la parte civile “provano l’esistenza di accordi corruttivi e la consapevolezza delle due compagnie petrolifere”.

Celestina Gravina non si è limitata a gettare la spugna dell’accusa, ma ha rivolto i guantoni contro la Procura di Milano, accusando gli accusatori di “colonialismo della morale”: come “le potenze neocoloniali tracciavano i confini senza sapere cosa c’era sotto”, così i pm hanno “imposto” la loro linea, volendo scegliere “al posto di organi democraticamente eletti” (Gravina mostra di non sapere che le elezioni hanno cacciato i governanti presunti corrotti e che gli attuali sono presenti in aula, attraverso l’avvocato Lucio Lucia, a chiedere ai predecessori i danni subiti dallo Stato). I pm hanno “accusato due società”, Eni e Shell, che “hanno fatto la ricchezza della Nigeria”, ha aggiunto Gravina. Della Nigeria? Della sua corrottissima e ricchissima élite, semmai, nel neocolonialismo per interposta persona dell’“aiutiamoci a casa loro”.

Trent’anni dopo Mani pulite, è la disfatta della Procura di Milano, già devastata dalla lotta fratricida sui verbali sulla cosiddetta loggia Ungheria. È la vendetta finale contro il pm (Fabio De Pasquale) che è riuscito a far condannare prima Bettino Craxi e poi Silvio Berlusconi. È la sconfitta del giornalismo indipendente, che ha cercato di raccontare i fatti fin dall’articolo dell’Economist intitolato “Safe sex in Nigeria” in cui descrisse un accordo “fatto con il preservativo” per evitare a Eni e Shell “rapporti diretti con un ex ministro nigeriano del petrolio già condannato per riciclaggio” (che alla fine, comunque, incassa).

Sullo sfondo, il non-detto: così fan tutti, senza mazzette i grandi affari internazionali non si realizzano e poi, via, non si devono colpire i “campioni nazionali”. Tutti puliti, nessuna corruzione. Oggi l’ad di Eni, Claudio Descalzi, sta girando il mondo, a volte con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, per firmare accordi sul gas con Egitto, Algeria, Congo… Una Penelope petrolifera, che sta tentando di disfare la tela degli accordi stretti per decenni da Eni che ci hanno incatenato alla Russia di Putin. (Il Fatto quotidiano, 22 luglio 2022)

 

La Procura generale rifiuta di fare appello su Eni-Nigeria

Il caso è chiuso: la Procura generale di Milano ha rinunciato all’appello per il processo Eni-Nigeria, su una presunta corruzione internazionale di Eni e Shell, accusate con i loro manager di aver pagato 1,092 miliardi di dollari per ottenere il grande campo petrolifero Opl 245 in Nigeria. “Questo processo deve finire perché non ha fondamento”, ha sostenuto in aula il sostituto procuratore generale di Milano Celestina Gravina, “non c’è prova di un accordo corruttivo, né prova del pagamento di utilità corruttive”: “solo chiacchiere e opinioni generiche”. Per questo gli imputati “che per sette anni sono stati sotto procedimento hanno il diritto di vedere cessare questa situazione che è contra legem rispetto all’economia processuale e alle regole del giusto processo”.

Diventa così definitiva l’assoluzione in primo grado del 17 marzo 2021, “perché il fatto non sussiste”, per tutti i quindici imputati, tra cui l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni, i manager Eni Roberto Casula, Vincenzo Armanna e Ciro Antonio Pagano, l’ex ministro del petrolio della Nigeria Dan Etete, quattro ex manager di Shell, gli intermediari internazionali dell’affare, tra cui il piduista Luigi Bisignani, e le due società Eni e Shell. Gravina in aula ha duramente attaccato i pm che hanno sostenuto l’accusa in primo grado, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il sostituto Sergio Spadaro, accusandoli di “colonialismo della morale” per aver accusato i politici nigeriani di corruzione, come “le potenze neocoloniali tracciavano i confini senza sapere cosa c’era sotto”.

Stupito della scelta di rinunciare all’appello (“Mai vista in 30 anni di carriera”) l’avvocato Lucio Lucia, rappresentante di parte civile dello Stato della Nigeria: “La sentenza d’assoluzione di primo grado doveva essere riconsiderata in appello perché non ha tenuto conto di prove documentali, come le email scambiate tra manager Eni e Shell durante le trattative per ottenere Opl 245. Quelle email provano l’esistenza di accordi corruttivi e la consapevolezza delle due compagnie petrolifere”.

Ora il processo proseguirà per i soli effetti civili, con l’avvocato Lucia che, a nome della Repubblica federale della Nigeria, chiede una provvisionale di oltre un miliardo di dollari come risarcimento per il pagamento che ritiene dovesse restare nelle casse dello Stato ed è stato invece incassato da politici, ex ministri, funzionari e intermediari nigeriani e internazionali. (Il Fatto quotidiano, 20 luglio 2022) 

 

La replica di Eni

In relazione all’articolo “Eni, il caso è chiuso. Sconfitta la Procura della fu Mani Pulite” pubblicato oggi 22 luglio 2022 a firma di Gianni Barbacetto, precisiamo quanto segue.
Mentre il vostro giornale dava ripetutamente voce al pregiudicato Amara e al plurindagato Armanna nelle loro calunnie e diffamazioni contro Eni e il suo management,  si affermava anche giudizialmente la verità dei fatti. La sentenza ormai definitiva del Tribunale di Milano ha accertato  che Eni pagò direttamente e legittimamente il Governo nigeriano e nessun altro soggetto terzo, fatto accertato anche da tutte le altre istituzioni giudiziarie estere coinvolte nel caso. Il fatto corruttivo “non sussiste”, ha definito tale sentenza, ora passata in giudicato per merito della Corte d’Appello di Milano.
Dei 1,3 miliardi versati alle Casse dello Stato Nigeriano da Eni e Shell nel 2011, lo Stato ha ricevuto circa 300 milioni di dollari (e non “nemmeno un cent”). Il resto, e questo non ricadeva certo nelle possibilità di gestione e controllo di Eni e Shell, fu utilizzato dal Governo nigeriano come risarcimento verso terzi legittimi titolari della licenza Opl245.
Lo Stato nigeriano ha altresì ricevuto ulteriori utilità (riconosciute in sentenza) relative all’opzione di re-ingresso per il 50% nel campo esplorativo OPL 245 valutate in alcune centinaia di milioni, oltre ad aver evitato il contenzioso promosso da Shell che sarebbe potuto costare con ragionevole certezza allo stesso Stato nigeriano fino ad oltre due miliardi di dollari.
Queste le contropartite dell’ originaria transazione stessa di cui ai contratti (tuttora in essere), e questa la verità definitiva accertata dai Tribunali italiani, inglesi e nigeriani, dalle autorità investigative americane (Department of Justice), inglesi (Metropolitan Police) e olandesi (Prosecution Office, che giusto ieri hanno fatto cadere ogni ipotesi di indagine in quel paese), e dalle autorità di Borsa americane (SEC).
Ogni altra illazione non documentata rischia di reiterate il pregiudizio neocoloniale che la Procura Generale di Milano rimprovera ai PM che si sono occupati della vicenda.
Vi saremo grati per l’integrale pubblicazione della presente rettifica fattuale.
Ufficio Stampa Eni

Il Fatto quotidiano, 20 e 22 luglio 2022
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