GIUSTIZIA

Processo a Davigo per i verbali segreti di Amara. Parla David Ermini

Processo a Davigo per i verbali segreti di Amara. Parla David Ermini

David Ermini parla, Piercamillo Davigo chiede la parola e spiega. L’udienza di ieri, 7 luglio 2022, del processo di Brescia sul caso dei verbali segreti usciti dalla Procura di Milano è stata dedicata alla testimonianza del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm): Ermini ha confermato in aula la sua versione dei fatti già raccontata ai pm bresciani durante le indagini. “Davigo mi consegnò quei verbali, li presi per fargli una cortesia ma li cestinai perché erano irricevibili”. “Parlai al presidente della Repubblica. Gli riferii tutto quello che mi disse Davigo e lui non fece commenti”.

I verbali sono quelli di Piero Amara, ex avvocato esterno dell’Eni, che tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 rivela ai magistrati di Milano l’esistenza di una segretissima “loggia Ungheria” che a suo dire raccoglierebbe un gran numero di magistrati, uomini politici, imprenditori, generali, cardinali. Uno dei pm che raccolgono le sue dichiarazioni, Paolo Storari, si convince nelle settimane successive che i suoi capi non le vogliono approfondire con indagini tempestive e chiede consiglio a Davigo, allora membro del Csm.

Questi si fa consegnare una copia di lavoro dei verbali e s’incarica di segnalare la vicenda ai vertici del Csm. Ne parla con alcuni consiglieri, con il vicepresidente Ermini, con il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. “Dopo un primo colloquio al rientro dal lockdown il 4 maggio 2020”, racconta Ermini in aula, “il consigliere Davigo si presentò da me senza appuntamento con una cartellina e mi disse che mi aveva fatto stampare queste dichiarazioni. In quell’occasione l’allora consigliere Davigo ripete tutto quello che mi aveva detto nel primo incontro, ma sfogliando questa cartellina. Erano tutti fogli non firmati, alcuni con intestazione, altri senza, che contenevano le dichiarazioni di questo Amara”.

“Sulle prime ero un po’ perplesso del fatto che mi fossero mostrati degli atti informali”. Davigo “non mi chiese di formalizzare, non mi chiese di veicolare quei verbali al comitato di presidenza del Csm, sennò gli avrei detto che erano irricevibili. Me li ha consegnati perché li leggessi. Mi ha detto che della vicenda se ne occupava il pg della cassazione Salvi, e per me la questione era chiusa”. “Mi lasciò i verbali. Ma io li presi e li cestinai, perché noi al Consiglio non possiamo avere atti che non arrivano in modo formale”.

“Secondo me fu una confidenza che il consigliere Davigo volle farmi. Mi consegnò quei verbali, li presi per fargli una cortesia ma li cestinai perché erano irricevibili”. Davigo aveva già fatto notare che, se davvero fosse un reato quello da lui compiuto portando i verbali segreti al Csm, allora Ermini, distruggendoli, avrebbe distrutto la prova del reato. Ma erano solo “confidenze”? “Davigo mi chiese”, ammette Ermini, “di avvisare il presidente Mattarella. Io concordai”: durante una visita al Quirinale già programmata “parlai al presidente della Repubblica. Gli riferii tutto quello che mi disse Davigo e lui non fece commenti”. O forse li fece, ma i colloqui con il presidente, ricorda Ermini, “devono restare riservati”.

Davigo, imputato di rivelazione di segreto, ha poi chiesto di fare dichiarazioni spontanee, per spiegare che formalizzare la consegna dei verbali li avrebbe fatti conoscere anche a due consiglieri del Csm citati nei verbali di Amara come legati alla loggia Ungheria. “Una delle ragioni per cui non ho formalizzato immediatamente”, ha spiegato Davigo, “è perché, una volta protocollato, il plico viene visto da quella struttura”, ossia i componenti delle varie commissioni del Csm e i funzionari.

Troppo rischioso: dopo la fuga di notizia sull’ex consigliere Luca Palamara, c’erano dubbi sulla “tenuta della struttura”. “Quando il pm Storari viene da me”, ha proseguito Davigo, “io ricevo una notizia di reato. Io sono un pubblico ufficiale e ho l’obbligo di denunciare, cosa che feci al pg Salvi”. Ma “dovevo segnalarlo senza però recare danno alle indagini”. Ecco perché scelse una via informale. “La mia finalità principale era che quel processo”, quello sulla loggia Ungheria, “tornasse sui binari della legalità”.

Il Fatto quotidiano, 8 luglio 2022
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