GIUSTIZIA

Davigo a processo. “So di aver fatto il mio dovere nelle forme in cui era possibile farlo”

Sarà un processo in cui si confronteranno, finalmente in pubblico, davanti ai giudici e con l’obbligo di dire la verità, i protagonisti delle diverse versioni dei fatti già raccontate negli interrogatori davanti al pubblico ministero. Oggi, 20 aprile 2022, al Tribunale di Brescia inizia il dibattimento con imputato Piercamillo Davigo, accusato di rivelazione di segreto. Per aver diffuso presso il Consiglio superiore della magistratura, in modo “informale e senza alcuna ragione ufficiale” – dice il capo d’imputazione – alcuni verbali di interrogatori segreti, “violando i doveri” legati alle sue funzioni e “abusando delle sue qualità”.

I verbali sono quelli dell’ex avvocato esterno di Eni Piero Amara, che tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 aveva raccontato ai magistrati di Milano Laura Pedio e Paolo Storari di una fantomatica e potentissima associazione segreta, chiamata loggia Ungheria, a cui apparterrebbero magistrati, politici, avvocati, generali, banchieri, funzionari dello Stato, imprenditori, alti prelati vaticani.

Nei mesi seguenti, Storari si era convinto che il suo capo, Pedio, e l’allora procuratore di Milano, Francesco Greco, volessero frenare le indagini (Greco è stato già prosciolto dalle accuse, per Pedio la Procura di Brescia ha chiesto l’archiviazione). Allora, nell’aprile 2020, Storari (già assolto in primo grado, in rito abbreviato, dalle accuse di rivelazione di segreto) aveva chiesto consiglio a Davigo, magistrato e in quel momento consigliere del Csm.

Questi riceveva una copia non ufficiale dei verbali di Amara e informava della situazione il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, il presidente della Suprema corte Pietro Curzio, il vicepresidente del Csm David Ermini, alcuni consiglieri (Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini, Ilaria Pepe, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna), le sue due segretarie al Consiglio (Marcella Contrafatto e Giulia Befera) e il presidente della Commissione parlamentare antimafia (il senatore Nicola Morra).

Davigo sostiene di aver avuto quelle carte in modo legittimo, in quando membro del Csm (“Ho legittimamente ricevuto i verbali, perché il segreto non è opponibile a un consigliere del Csm”). E di non aver violato alcun segreto, ma di averne poi informato persone tutte tenute al segreto, nessuna delle quali ha sollevato obiezioni o gli ha chiesto di presentare una denuncia ufficiale. Lo ha fatto in maniera informale – ha spiegato ai pm durante le indagini – perché una denuncia formale avrebbe fatto conoscere i contenuti dei verbali segreti anche a due componenti del Consiglio indicati da Amara come appartenenti alla loggia Ungheria (“Ho agito dunque nelle uniche forme consentite dalla particolarità della situazione”).

Oggi i giudici del Tribunale di Brescia decideranno chi ammettere dei testimoni richiesti dai pm, dall’imputato Davigo (difeso dall’avvocato Francesco Borasi) e da Sebastiano Ardita, consigliere del Csm che, ritenendosi danneggiato da Davigo (Amara nei suoi interrogatori lo descriveva come interno alla loggia Ungheria), si è costituito parte civile, assistito dall’avvocato Fabio Repici. Tra la trentina di testimoni richiesti, David Ermini, Nino Di Matteo, Marcella Contrafatto, Salvi, Greco, Storari, Pedio. Se saranno accettati dai giudici, si confronteranno in pubblico le versioni che hanno raccontato ai pm in fase d’indagine.

Le contraddizioni più clamorose sono quelle tra Davigo ed Ermini. Il vicepresidente del Csm ha sostenuto di aver incontrato Davigo nel suo ufficio e di aver ricevuto una copia dei verbali segreti riposti in una “cartellina arancione”: “Non avevo alcuna voglia di leggere quelle carte perché consegnate in modo irricevibile e totalmente inutilizzabile”, ha raccontato ai pm. “Appena uscito Davigo, presi la cartellina che mi aveva lasciato sul tavolo e, per i motivi sopra indicati (irritualità ed irricevibilità degli atti), la cestinai. Voglio sottolineare che io quei verbali non li ho mai voluti leggere e li buttai nel cestino senza aver preso conoscenza del loro contenuto”.

Ermini ha raccontato anche di essersi presentato al Quirinale, davanti a Sergio Mattarella, capo dello Stato e presidente del Csm, per riferirgli della superloggia di cui lo aveva informato Davigo: “Il presidente mi ascoltò senza fare commenti”. Altra la scena raccontata invece ai pm da Davigo. “Non è vero quello che dice Ermini… I verbali dovevano venire in un secondo momento, però siccome continuava a chiedermi i nomi e io non li ricordavo… a un certo punto gli ho detto: ‘Senti, se vuoi ti do questi file stampati’”.

Ermini ne riferisce a Mattarella e poi porta a Davigo addirittura i ringraziamenti del capo dello Stato. Sul cestino, indicato da Ermini come approdo finale dei verbali, Davigo davanti ai pm aveva replicato: “A parte che mi sembra stravagante… Se devi farli sparire le metti nel tritacarta… Nel momento in cui Ermini distrugge la prova del mio reato, lo dovete incriminare per favoreggiamento”. Il dibattito in aula si annuncia vivace. (Il Fatto quotidiano, 20 aprile 2022)

La prima udienza. “So di avere ragioni
che possano essere apprezzate da qualunque giudice”

“La vicenda è molto più semplice di quel che sembra: io credo di aver fatto il mio dovere nelle uniche forme in cui era possibile farlo, data la situazione”. Così ieri Piercamillo Davigo ha dichiarato nell’aula del processo in cui è imputato a Brescia. “Voglio essere prosciolto per quello che emerge dalle udienze e per questo non ho chiesto il rito abbreviato. Ho chiesto l’udienza pubblica, perché ritengo che l’opinione pubblica voglia sapere che cosa è accaduto”. Lo aveva già accontentato il presidente della prima sezione penale del Tribunale di Brescia, Roberto Spanò, che aveva anche ammesso in aula anche le telecamere delle tv.

Sarà un dibattimento in cui sfileranno alcuni tra i più noti magistrati italiani e i vertici del Consiglio superiore della magistratura. L’accusa, rappresentata dai pm Donato Greco e Francesco Milanesi, aveva chiesto la citazione di 13 testimoni. Più smilza la lista testi della difesa presentata dagli avvocati Francesco Borasi e Domenico Pulitanò, composta da soli cinque nomi.

Molto ampia invece quella della parte civile, presentata dall’avvocato Fabio Repici per conto del magistrato Sebastiano Ardita, ora consigliere del Csm, che ha chiesto la citazione di ben 27 testimoni, per provare che Ardita sia stato danneggiato personalmente e professionalmente da Davigo. I pm hanno chiesto di ridurre la lista dei testimoni per non uscire dal perimetro del capo d’imputazione, ma i giudici hanno ammesso tutti i testimoni richiesti, riservandosi di sfoltirne eventualmente il numero con il procedere del dibattimento.

Nei prossimi mesi sfileranno dunque in aula a Brescia il procuratore generale e il primo presidente della Cassazione, Giovanni Salvi e Pietro Curzio, l’ex procuratore di Milano Francesco Greco e i suoi aggiunti Laura Pedio e Fabio De Pasquale, il pm milanese Paolo Storari, i consiglieri del Csm Nino Di Matteo, Giuseppe Marra, Ilaria Pepe, Giuseppe Cascini, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna, e poi il vicepresidente del Csm David Ermini, il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, le due ex segretarie di Davigo al Csm Marcella Contrafatto e Giulia Befera, il giornalista del Fatto Antonio Massari e la collega Liana Milella di Repubblica  che ricevettero plichi anonimi con le copie dei verbali segreti che sono l’oggetto del processo.

Contenevano gli interrogatori dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara sulla fantasmagorica loggia Ungheria. Erano arrivati ai giornali dopo essere stati consegnati nell’aprile 2020 a Davigo da Storari, che si era convinto che i suoi capi, Greco e Pedio, volessero frenare le indagini. Davigo li portò a Roma, denunciando in modo informale la situazione ai vertici del Csm di cui era allora consigliere. Per questo deve ora rispondere di rivelazione del segreto d’ufficio, insieme a Storari, che però è già stato assolto in primo grado in rito abbreviato. In questa vicenda, il consigliere del Csm Ardita si ritiene danneggiato, perché Amara metteva anche il suo nome tra quelli legati alla loggia Ungheria.

Quando ieri in aula Davigo ha detto: “Ho fatto il mio dovere nelle uniche forme in cui era possibile farlo, data la situazione”, si riferiva alla comunicazione al Csm della situazione alla Procura di Milano, fatta in modo informale perché una denuncia ufficiale avrebbe fatto conoscere i contenuti dei verbali segreti anche a due componenti del Consiglio indicati da Amara come appartenenti alla loggia Ungheria (uno di questi era, appunto, Ardita).

Davigo ieri non ha sollevato questioni di competenza territoriale. “Perché ritengo che non si debba scappare dal giudice quando si è innocenti”, ha spiegato. “Non mi importa di andare davanti a un altro giudice perché io credo di avere ragioni che possano essere apprezzate da qualunque giudice, in qualunque sede”. L’ex magistrato di Mani pulite ha invece contestato all’accusa la duplice interpretazione delle sue condotte: “Mi viene contestata come rivelazione di segreto d’ufficio l’aver informato il vicepresidente del Csm, ma non mi viene contestato di aver detto le stesse cose al primo presidente della Corte di cassazione: perché è lecito se lo dico a Curzio ed è illecito se lo dico a Ermini? Questo pubblico ministero avrebbe il dovere di spiegarmelo. Vorrei sapere perché comportamenti identici sono considerati in un caso reato e in un altro no”.

Al termine delle dichiarazioni spontanee, il giudice Spanò ha risposto richiamando Davigo: “So che è difficile sfilarsi la toga, ma la invito a calarsi nella parte dell’imputato”. Il processo proseguirà il 24 maggio quando verrà ascoltato Storari, che diede i verbali segreti a Davigo. Poi il 28 giugno, prima della sospensione estiva, sul banco dei testimoni arriveranno il vicepresidente del Csm Ermini e i consiglieri Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini e Ilaria Pepe. (Il Fatto quotidiano, 21 aprile 2022)

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Il Fatto quotidiano, 20 e 21 aprile 2022
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