AFFARI

Energia, otto anni buttati. Dal 2014 l’Italia blocca le rinnovabili

Energia, otto anni buttati. Dal 2014 l’Italia blocca le rinnovabili

di Marco Palombi /

Mercoledì 9 marzo 2022, in Parlamento, Mario Draghi s’è detto stupito: la quota di gas importata dalla Russia “è aumentata molto negli ultimi 10-15 anni”, ma “guardando i dati degli ultimi anni quello che trovo incredibile è che sia aumentata anche dopo l’invasione della Crimea: dimostra una sottovalutazione del problema energetico ma anche di politica estera”. Capita quando l’unica cosa che conta è il prezzo del bene, lo status quo dei rapporti di potere e delle cointeressenze economiche, l’invito agli Stati a stringere la cinghia che, in Paesi come l’Italia, ha desertificato gli investimenti pubblici.

Ora si scopre, improvvisamente, che l’interesse nazionale è avere quanta più autonomia energetica possibile per non dipendere da Paesi tipo la Russia (ma il discorso vale, mutatis mutandis, per Algeria, Egitto, Qatar eccetera). E qui converrà tornare al fatale 2014 citato da Draghi, perché quell’anno è successo qualcosa: l’Italia (vedi il grafico, costruito da Legambiente su dati Terna) ha smesso di investire in rinnovabili.

Mettiamola in metri cubi di gas. Terna ha confermato in audizione in Parlamento che il piano da 60GW da rinnovabili in tre anni proposto da Enel, A2A e altri rivenditori è in grado di sostituire 15-20 miliardi di metri cubi di gas (l’Italia ne consuma circa 75 l’anno, nel 2021 dalla Russia ne abbiamo importati 29 miliardi).

Ecco, se avessimo continuato dopo il 2014 a installare solare, eolico etc. al ritmo del periodo 2008-2013 (cioè 4,6 GW l’anno) oggi avremmo nel nostro mix energetico circa 30 GW da rinnovabili in più, cioè quasi il doppio della potenza installata finora (34 GW) e un fabbisogno di 7,5-10 miliardi di metri cubi di gas in meno, oltre a un prezzo medio dell’energia inferiore. Per capirci, sapete quanto “valevano” le costose (e peraltro ancora ferme in Francia) 4 centrali nucleari bloccate dal referendum del 2011? Meno di 8 GW.

Ancor più grave è che la gelata sulle rinnovabili sia avvenuta quando, anche per motivi geopolitici, sarebbe stato necessario semmai accelerare su quel fronte, magari creando – con incentivi pubblici come oggi si fa con la gigafactory di Stellantis – una filiera nazionale delle rinnovabili che non abbiamo e investendo nella rete elettrica. E invece il loro peso nel mix energetico nazionale è passato dal 43,2% della potenza installata del 2014 al 38% del 2021: nello stesso lasso di tempo è aumentato invece il peso del gas (dal 33,5% a oltre il 48%), sottratto tanto alle rinnovabili che al petrolio.

È così che ci siamo trovati a dipendere dalla Russia per un bel pezzo della nostra energia che oggi non sappiamo come sostituire: una dipendenza frutto anche di specifici accordi politici, tipo le 28 intese commerciali e i 7 accordi intergovernativi, anche sull’energia, firmati dal “non equidistante” Enrico Letta col “criminale” Putin a fine 2013.

Il sostanziale stop alle rinnovabili iniziato un decennio fa è stato una decisione politica assai poco lungimirante: a seguito di diverse scelte dei governi Monti, Letta e Renzi, l’istallazione di nuove rinnovabili cala del 92% tra 2011 e 2015 e lì resta, agonizzante, fino ad oggi. Tra il 2012 e il 2013, ad esempio, si decise di chiudere il “conto energia”, gli incentivi diretti (che peraltro finivano anche al fossile) – sostituiti da sgravi sul costo dell’impianto – arrivando a modificare retroattivamente per decreto anche quelli già concessi.

Il costo totale dal 2005 al giugno 2013 (dati Enea) era di 10,8 miliardi di euro: per farvi un’idea pensate che, prima della guerra, l’aumento dei prezzi su base annua per famiglie e imprese valeva 40 miliardi. Nel frattempo, comunque, il costo dell’energia prodotta da eolico e (soprattutto) solare è sceso vertiginosamente, rendendole un proficuo investimento: è tanto vero che – dice Terna – a fine ottobre 2021 giacevano inevase richieste di installazione per oltre 150 GW potenziali, alcune bloccate da anni.

Gli scarsi investimenti in rinnovabili sono di fatto una scelta politica, a cui contribuiscono frammentazione decisionale, burocrazia, nulla capacità di progettazione generale e di coinvolgimento dell’opinione pubblica locale, la mano libera lasciata al mercato nell’indirizzare il processo.

Per capirci, lo spazio aggiuntivo dell’idroelettrico non è molto, geotermia e biomasse pesano poco, restano solare ed eolico: non sono la soluzione a tutto e certo esiste un rischio paesaggistico che va tenuto da conto, proprio per questo Stato, Regioni ed enti locali – oltre a rispondere in 6 mesi a chi presenta un progetto, come prevede la legge – dovrebbero guidare la transizione, non esserne spettatori infastiditi: zone industriali, tetti, autoconsumo, progetti cuciti sul territorio, tutto serve e serve ora.

di Marco Palombi, Il Fatto quotidiano, 14 marzo 2022
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