GIUSTIZIA

Milano, l’addio di Francesco Greco. Lascia una Procura divisa

Milano, l’addio di Francesco Greco. Lascia una Procura divisa

“Oggi finisce un ciclo”, sussurra Antonio Di Pietro entrando nell’aula magna del Palazzo di giustizia milanese. Affollata per il saluto a Francesco Greco, che lascia l’ufficio di procuratore della Repubblica e sabato va in pensione, dopo 43 anni passati nella Procura considerata la più avanzata d’Italia. La Procura di Mani pulite, che ha visto ieri riuniti tre dei magistrati del pool: Di Pietro, Greco e Gherardo Colombo.

“Io sono venuto apposta dal Molise, interrompendo la raccolta delle olive”, spiega Di Pietro, mentre su tre grandi schermi scorrono le immagini di Greco, con la toga, con l’immancabile sigaretta tra le dita, in aula, in ufficio, con i suoi predecessori Francesco Saverio Borrelli e Gerardo D’Ambrosio, con i colleghi Ilda Boccassini, Raffaele Cantone, Henry Woodcock e tanti altri. Nell’aula magna ci sono il presidente della Corte d’appello, il presidente del Tribunale, il procuratore generale, avvocati, giudici, ufficiali di polizia giudiziaria che con Greco hanno macinato centinaia d’inchieste.

Prendono la parola per un saluto, tra gli altri, Armando Spataro ed Edmondo Bruti Liberati, ex procuratori a Milano e Torino. Ma sono le assenze che pesano, in questo momento di divisioni interne alla Procura, dopo la vicenda dei verbali segreti sulla loggia Ungheria. Mancano alcuni sostituti procuratori e alcuni aggiunti, in polemica con Greco. Manca Paolo Storari, manca l’altro componente del pool Mani pulite, Piercamillo Davigo.

“Doveva venire qui anche lui, oggi”, dice Di Pietro che poi, chiamato di forza al microfono, tenta una riconciliazione impossibile. “Abbiamo sempre fatto il nostro dovere, pagandone anche le conseguenze, mai per motivazioni politiche ma con coscienza, per assicurare alla giustizia i delinquenti. Io all’inizio ci azzeccavo poco con Greco, ma lui ci ha dato spirito di squadra”.

Greco, al termine, ringrazia e saluta. “Non è la prima e non sarà l’ultima tempesta che l’Ufficio si trova ad affrontare”, dice. “Ma le regole devono essere rispettate in primis dai magistrati”. Poi ricorda di essere arrivato alla Procura di Milano il 29 gennaio 1979: il giorno in cui viene ucciso dai terroristi di Prima linea il pm Emilio Alessandrini. In 43 anni, Greco avvia indagini sulla corruzione quando ancora il termine Tangentopoli non era stato inventato: è il pm del processo Icomec, in cui fu arrestato Antonio Natali, padre politico di Bettino Craxi.

Era il 1985. Il crollo del sistema arrivò soltanto dopo il 1992: Greco nel 1994 prende il posto di Di Pietro come pm nel processo Enimont. Poi arrivano il crac Parmalat, le scalate dei “furbetti del quartierino”. Sul Sole 24 ore scrive: “Il mercato finanziario italiano è il Far West dell’Occidente”. Poi si occupa dei conflittuali rapporti con il fisco di Prada, Armani, Dolce & Gabbana e di multinazionali come Apple, Google, Amazon. Dello scandalo dei dossier Pirelli-Telecom. Del sequestro dell’Ilva. Della sanità lombarda e delle belle vacanze di Roberto Formigoni.

Diventato procuratore, la narrazione si sdoppia. Gli avversari interni sostengono che dopo essere stato inflessibile con i Fiorani, i Ricucci e i Consorte, pochi anni dopo sia diventato morbido con Unipol e Mediobanca. I sostenitori mettono in guardia dalle invidie ed enumerano i risultati: l’abbattimento dei processi giacenti (da 130 a 80 mila); le centinaia di milioni di euro recuperati ai grandi evasori; le indagini innovative come quelle sui diritti dei rider. Ma come dice Di Pietro, “oggi finisce un ciclo”. La Procura è divisa, il successore incerto.

La continuità del migliore “rito ambrosiano” sarebbe garantita dalla nomina da parte del Csm di Maurizio Romanelli, aggiunto a Milano, esperienza antimafia e antiterrorismo. Ma molti tifano per il papa nero, per l’arrivo a Milano di “esterni” come il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, il procuratore di La Spezia Antonio Patrono o di Bologna Giuseppe Amato.

Il Fatto quotidiano, 11 novembre 2021
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