GIUSTIZIA

La nuova legge bavaglio chiude la bocca a cronisti e pm

La nuova legge bavaglio chiude la bocca a cronisti e pm

La nuova legge bavaglio silenzia i giornalisti, ammutolisce i magistrati e toglie loro strumenti d’indagine. Sono gli effetti dello schema di decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza, approvato dal Consiglio dei ministri il 5 agosto 2021 e sviluppato in sei articoli. Titolo: “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (Ue) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.

Ce lo chiede l’Europa, ci ripetono come al solito: in realtà in Italia la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva è già scolpita nella Costituzione (all’estero è perlopiù limitata al primo grado) e assicurata dalle garanzie processuali scritte nei codici. I sei articoli del nuovo schema introducono invece norme che indeboliscono i magistrati che svolgono le indagini e imbavagliano la stampa.

Settimana prossima il decreto sarà votato in commissione Giustizia, alla Camera, che in questi giorni sta procedendo ad alcune audizioni. Non si sono presentati due degli organismi che erano stati convocati, l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa, il sindacato dei giornalisti: “Non siamo pronti, non ne abbiamo ancora discusso, non siamo riusciti ad approfondirne i temi”, si sono giustificati i vertici di Ordine e Federazione. Più reattivi i magistrati e i vertici dell’Anm (l’associazione nazionale magistrati), che stanno denunciando le limitazioni e le incongruenze che il decreto introdurrebbe nell’ordinamento italiano.

Il primo articolo del decreto fissa il tema: “Disposizioni integrative per il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza delle persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale”, in attuazione “della direttiva dell’Unione europea 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.

Non colpevoli. L’articolo 2 mette i primi paletti e impone i primi divieti. “È fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. I magistrati non devono dunque indicare come colpevoli i loro indagati prima che arrivi una condanna definitiva.

E potranno essere messi in croce dai loro indagati, che avranno il “diritto di richiedere all’autorità pubblica la rettifica della dichiarazione resa” (che dovrà essere data “immediatamente e, comunque, non oltre quarantotto ore dalla ricezione della richiesta, dandone avviso all’interessato”; in caso contrario l’indagato potrà chiedere l’intervento d’urgenza del Tribunale), oltre a chiedere eventuali “sanzioni penali e disciplinari, nonché l’obbligo di risarcimento del danno”. L’accusato si trasformerà in accusatore e il giudice in indagato.

Bavaglio. L’articolo 3 imbavaglia i magistrati, che potranno parlare “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”. Del resto, “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. I giornalisti non potranno più parlare con i magistrati e i cittadini saranno privati del diritto di conoscere correttamente procedimenti che riguardano personaggi pubblici, politici, membri del governo, uomini delle istituzioni, imprenditori e protagonisti del potere economico e finanziario. Sarà a rischio, se non addirittura impossibile, la trasparenza dei procedimenti che, una volta caduto il segreto sugli atti investigativi, è garanzia per i cittadini e diritto alla libera informazione.

Investigatori muti. Silenzio obbligatorio anche per la polizia giudiziaria, a meno che non arrivi l’autorizzazione dal vertice della Procura: “Il procuratore della Repubblica può autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria a fornire, tramite comunicati ufficiali oppure tramite conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato”.

Tranne che nelle sentenze, dice l’articolo 4, “la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Unica eccezione – bontà loro – gli “atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta a indagini o dell’imputato”. Ma con misura: “Nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza (…) l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”.

La punizione. Anche in questi casi, i giudici sono sottoposti al giudizio del loro indagato o imputato, che “può richiederne la correzione”, da fare “entro quarantotto ore dal suo deposito”. I giudici saranno dunque costretti a scrivere i loro provvedimenti con prosa cauta, burocratica, arzigogolata, tortuosa: per presentare indizi e prove di colpevolezza, che dovranno però essere raccontati presumendo l’innocenza di chi in quel momento è considerato colpevole. Giudici e pm saranno sempre a rischio di essere contestati dai loro imputati, con presumibili allungamenti dei tempi processuali.

Tabulati. Cambiano anche le regole per l’acquisizione da parte dei pm dei tabulati, dei dati telefonici e telematici: potrà essere disposta solo con un decreto motivato del giudice. In caso di urgenza, il pm potrà procedere, ma ci dovrà essere la convalida del giudice. Lo ha stabilito ieri il Consiglio dei ministri, con un decreto legge proposto dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Il Fatto quotidiano, 30 settembre 2021
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