AFFARI

Eni-Nigeria, il documento di JpMorgan: “Sospettiamo la corruzione”

Eni-Nigeria, il documento di JpMorgan: “Sospettiamo la corruzione” Foto Palazzo Chigi/Tiberio Barchielli/LaPresse 11-05-2017 Milano - Italia Politica Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni visita lo stabilimento ENI di Milano DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte ©LaPresse/Palazzo Chigi/Tiberio Barchielli

Ieri, 20 gennaio 2021, è stato il gran giorno delle difese di Eni. Al processo di Milano per corruzione internazionale sulla presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari (imputato, tra gli altri, l’amministratore delegato Claudio Descalzi), l’avvocato Nerio Diodà ha argomentato che quei soldi sono stati pagati dalla compagnia petrolifera sul conto JpMorgan a Londra del governo della Nigeria. Nessuna responsabilità di Eni, dunque, sui successivi passaggi del denaro, poi finito a pubblici ufficiali nigeriani e a mediatori internazionali.

Al termine dell’udienza, i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno chiesto al Tribunale di acquisire due documenti che indeboliscono la tesi difensiva. Sono due email raccolte con una rogatoria internazionale e che provengono dal processo civile intentato a Londra dall’attuale governo della Nigeria contro la banca JpMorgan.

In una delle due email, datata 23 giugno 2011, il responsabile dell’Antiriciclaggio della banca manifesta a un altro funzionario di JpMorgan tutte le sue preoccupazioni sui soldi versati da Eni: “Siamo sospettosi che tali fondi possano essere profitto di corruzione di pubblici ufficiali”. “Dobbiamo dunque cercare le strade per fare la cosa più appropriata”.

L’allora governo della Nigeria aveva dato disposizioni di trasferire i soldi su un conto svizzero della Bsi, che li aveva però rimandati indietro, per il coinvolgimento nell’operazione di Dan Etete, ex ministro del petrolio già condannato in Francia per riciclaggio.

Il responsabile Antiriciclaggio di JpMorgan, a questo punto, chiede se è il caso di rifiutare ulteriori trasferimenti o se “chiedere istruzioni a una autorità giudiziaria”, nigeriana, britannica o statunitense. Alla fine, i soldi saranno comunque trasferiti a un conto in Nigeria e lì distribuiti a politici e faccendieri.

Il Fatto quotidiano, 21 gennaio 2021
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