CULTURE

Flores: “Contro il politicamente corretto”

Flores: “Contro il politicamente corretto”

Intervista al direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais. Come mai oggi c’è un risveglio d’interesse per il politicamente corretto?

L’occasione più recente e più drammatica è, ovviamente, l’assassinio di George Floyd e l’ondata di manifestazioni che ne sono seguite. Ma da parecchi anni, e anzi decenni, i temi del “politically correct” sono diventati sempre più cruciali nei campus degli Stati Uniti e nei movimenti per i diritti civili, per l’eguaglianza delle donne e delle diverse minoranze (razziali, di orientamento sessuale eccetera). In realtà sotto l’etichetta unificante “pc” si tratta di temi e rivendicazioni diverse, anche diversissime, il cui peso relativo muta costantemente. Nel frattempo si sono diffusi in altri paesi (da ultimo in Francia, con grande accelerazione).

Il “pc” è stato utile, in qualche modo o in qualche tempo o in qualche ambiente, per difendere le minoranze, le diversità, le debolezze?

È nato con le migliori intenzioni, quasi mezzo secolo fa, e certamente ha avuto un peso per l’accesso di neri e minoranze nei campus più prestigiosi. Tuttavia ha evidenziato subito due caratteristiche paradossali, che si sono volute occultare. Prima: se vieni facilitato nell’ingresso, poi devi esserlo nel corso di tutti gli studi, e poi nella professione (quote negli studi di avvocati, nelle specializzazioni di medicina eccetera), altrimenti la selezione per merito prima o poi ti colpisce. Seconda: gli studenti di origine asiatica stravincevano, per cui si cominciò a escluderli o addirittura a ipotizzare di penalizzarli!

Il “pc” stato importante anche per mettere al bando il linguaggio del disprezzo. Se “nigger” sottintende sempre sporco negro è sacrosanto renderlo impronunciabile. E così per i vari “frocio”, “recchione”. Poi però la logica dell’eufemismo ha preso la mano. Si sostituisce storpio con handicappato, questi con disabile, che diventa diversamente abile, alla fine diventano stilemi che solo a pronunciarli sono forme di ironia (il ladro “diversamente onesto” eccetera). Mentre le discriminazioni, talvolta anche violente, continuano. Si rischia la soddisfazione vicaria, glottologica, invece di misure per reprimere la cosa.

È la destra che tradizionalmente attacca il “pc”: un tentativo di avere mano libera (e linguaggio libero) per riaffermare le differenze, stigmatizzare le minoranze, attaccare le debolezze?

Le destre attaccano il “pc”, come qualsiasi altra cosa, a seconda delle circostanze e degli interessi. Per esempio, attaccano l’islam per via della sharia, il che è sacrosanto, ma poi sono gli stessi che vogliono imporre la morale cattolica per legge (cioè la stessa logica della sharia), in fatto di nascita, sesso, morte. Le loro critiche al “pc” sono di puro opportunismo. Le destre, in realtà, vogliono sempre e solo poter rivendicare con orgoglio il peggio. Sono omofobi, ma nelle loro fila gli omosessuali ci sono sempre stati a bizzeffe. Il guaio sono le “sinistre”, che regalano loro il terreno di critica al “pc” e alle sue censure, non praticandolo in prima persona, come per una sinistra dovrebbe essere ovvio. La sinistra americana nei campus nasce con le manifestazione per il  free speech, è folle che ora diventi la paladina della censura dei classici, perché politicamente scorretti. In Shakespeare trovi ovviamente quintali di antisemitismo, razzismo, misoginia, antidemocrazia, scriveva a cavallo di Cinquecento e Seicento, non oggi.

È possibile una critica del “pc” “da sinistra”? Come si differenzia da quella di destra?

Più che possibile, direi doverosa. Urgente. Improcrastinabile. Prendiamo il canone letterario. Che cosa ha di sinistra mettere una mediocre scrittrice di colore al posto di Shakespeare? Dante condanna Maometto all’inferno, va da sé. All’indice anche lui? L’Index librorum prohibitorum è uno strumento del Sant’Uffizio, come può venire in mente a qualcuno che sia compatibile con l’essere a sinistra, cioè battersi per “più libertà e più eguaglianza”, indisgiungibilmente? Si dimentica che la fatwa di morte di Khomeini contro Rushdie (tuttora valida!) nasce perché sarebbe intollerabile offendere centinaia di milioni di credenti. Pochi sanno che tale giustificazione fu accolta (aggiugendo che tuttavia la condanna a morte era troppo) dall’Osservatore romano, cioè il Corriere del Papa, e dal gran Rabbino di Gerusalemme. Ma criticare una religione, un’idea politica, una scelta morale, una visione estetica, è l’abc della democrazia, il suo presupposto. Se stabiliamo che non si può dire ciò che qualcuno trova offensivo, non si potrà dire più nulla, perché tanto più uno è fanatico tanto più trova offensiva ogni minima critica al proprio credo. In questo modo facciamo dei fondamentalisti i padroni di una nuova censura. La libertà di critica è, inesorabilmente, libertà di offendere l’altrui fede, l’altrui dottrina, l’altrui opinione.

Pensi davvero che in democrazia non ci sia nulla da proibire? Che si possa fare l’apologia delle cose più immonde, più violente, più antidemocratiche?

Ci sono due limiti, che non contraddicono il principio generale, e anzi lo radicano. Il primo è che esiste il reato di istigazione a delinquere, che come tale è punibile. I contorni vanno definiti con la maggior precisione possibile, perché ovviamente un potere autoritario può pretestuosamente far passare per istigazione ciò che è solo critica, per quanto aspra, di una opinione religiosa o politica.

Il secondo limite è che vi sono alcune idee che in quanto tali devono essere considerate già un reato, perché sulla base delle tragiche repliche della storia è stato dimostrato in modo inaggirabile che portano con sé il delitto come la propria ombra: le idee razziste e fasciste. Il razzismo assume la negazione ontologica della precondizione assoluta della democrazia, che tutti gli appartenenti alla specie Homo sapiens siano eguali in dignità. Tale negazione è già crogiuolo di oppressione, uomini autorizzati a calpestare altri uomini. Ne va della stessa convivenza civile. Il razzismo va dunque sradicato con ogni mezzo possibile, educativo e repressivo, sarà solo questione di efficacia dosarli.

I fascismi hanno provato a distruggere le nostre libertà un secolo fa. Ci erano quasi riusciti. C’è stato un momento in cui la vittoria di Hitler (e del suo alleato/mentore Mussolini) sembrò la conclusione più probabile.  Se oggi godiamo di alcune libertà è solo perché milioni e milioni di uomini si sono sacrificati per sconfiggere quel male assoluto. Consentire che le idee che sono costate alla generazione dei miei padri, e dei nonni o bisnonni degli attuali lettori, oltre sessanta milioni di morti, e prima di loro carcere, esilio, tortura a chi provava ad opporsi al mostro nero e bruno, dal punto di vista democratico sarebbe folle masochismo.

E il comunismo, allora?

No. I crimini storici dei fascismi sono in assoluta coerenza con le loro idee programmatiche. Hitler non ha fatto che applicare il Mein Kampf. Un “fascismo dal volto umano” è una contraddizione in termini. I comunismi reali non sono invece la realizzazione degli ideali comunisti, certamente non quelli di Marx, o dei marinai di Kronstadt, o degli insorti di Budapest nel 1956. Il Gulag non è la necessaria conseguenza del Capitale, proprio come Torquemada non è l’inevitabile conseguenza dei Vangeli. 

Che cosa è cambiato, in tema di politically correct, in questi anni?

Moltissimo, e solo in peggio. Oggi se sei maschio non puoi scrivere un romanzo sulle donne, se sei donna bianca su donne nere o ispaniche, se sei etorosessuale su gay o lesbiche… Demenza pura. In un romanzo ci saranno sempre più personaggi, tanto per dire. E una donna Lgbtqi+ potrà scrivere solo raccontando di persone Lgbtqi+? Le opere di invenzione letteraria si chiamano fiction, non a caso. In teatro o al cinema un attore interpreta, per definizione. Una delle più memorabili interpretazione del Moro di Venezia la dobbiamo a Orson Wells, assolutamente bianco. Oggi lo vieterebbero. Hanno cambiato nome alla popolarissima squadra dei Washington Redskins, Obama lo aveva già chiesto nel 2013, la lista delle imbecillità “pc” dilaga a macchia d’olio.

Tu hai riflettuto sul “pc” fin dall’inizio dell’esperienza di MicroMega. Come mai?

Non sul “pc”, contro il “pc”. Nel secondo numero della rivista, primavera 1986. E poi in un intero capitolo di Etica senza fede, 1992 (Einaudi). Con doveroso accanimento polemico. Perché sinistra implica logica, coerenza, illuminismo, rifiuto delle autoghettizzazioni identitarie, spirito critico. Mi sembrava ovvio allora, mi sembra drammatico oggi: sinistra vuol dire rendere effettivamente di tutti quei valori universali di cui oggi godono nei fatti solo alcuni. Non disprezzarli, perché proclamati in origine da maschi bianchi molto colti.

Fq Millennium, settembre 2020
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