SEGRETI

Mario Amato, lasciato solo e ucciso nel 1980 nero della P2

Mario Amato, lasciato solo e ucciso nel 1980 nero della P2 Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse18-06-2020 Roma, ItaliaPoliticaIl Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo inetrvento alla cerimonia commemorativa del quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato e Gaetano Costa e del trentennale dell’omicidio di Rosario Livatino.DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE

Lunedì 23 giugno 1980. È una mattina in cui le nuvole che si addensano nel cielo di Roma annunciano un temporale. Un uomo, solo, sta aspettando l’autobus per andare in ufficio, al palazzo di giustizia. Un giovane si avvicina e gli spara un colpo alla nuca. Muore così Mario Amato, il sostituto procuratore che aveva ricevuto dal suo capo, Giovanni De Matteo, tutti i procedimenti sull’eversione di destra a Roma. Giuliano Turone – che da giudice istruttore scoprì nel 1981 le liste della P2 – ha raccontato quella mattina di giugno in uno dei capitoli del suo ultimo libro, Italia occulta (Chiarelettere).

Chi uccide Amato, esattamente quarant’anni fa?

A sparare è Gilberto Cavallini, condannato in via definitiva insieme ai suoi complici dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari): Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, all’epoca minorenne, che accompagnò in moto Cavallini sul luogo del delitto. Durante il processo, rivendicano spavaldamente l’omicidio: “Il giudice Amato era particolarmente odiato nell’ambiente di destra”, dice Cavallini. Fioravanti: “Confermo… Io sono stato uno di coloro che hanno pensato e deciso l’uccisione di Amato”. Mambro: “Rivendico l’omicidio Amato”.

Perché viene ucciso?

Amato, quando nel luglio 1977 prende servizio presso la Procura della Repubblica di Roma, non ha ancora quarant’anni. Ben presto si trova a essere l’unico magistrato della Procura a doversi occupare di eversione di destra, per la decisione irresponsabile del procuratore De Matteo, che gli affida tutti i procedimenti sui “neri” rimasti aperti dopo che era stato ucciso il giudice Vittorio Occorsio. Dopo la morte di Amato, De Matteo sarà indagato a Perugia per omissione d’atti d’ufficio, ma con un’indagine scandalosamente lacunosa da cui uscirà senza neanche un rimbrotto.

Amato viene lasciato solo.

Si rende conto che, essendo l’unico a conoscere i risultati delle investigazioni sulla destra eversiva romana, la sua eliminazione rappresenterebbe un enorme vantaggio per i neofascisti indagati. Chiede ripetutamente per iscritto al procuratore di essere affiancato da altri colleghi. Invano. Chiede di essere protetto. Invano. Si rivolge due volte anche al Consiglio superiore della magistratura. Il suo ultimo appello al Csm è una commovente orazione civile. Non viene ascoltato.

Prima di Amato, il 6 gennaio 1980 era stato ucciso a Palermo Piersanti Mattarella. Poco più di un mese dopo l’uccisione di Amato, il 2 agosto 1980 esplode la bomba nella stazione di Bologna. Per Amato e Bologna, i responsabili sono gli stessi. Avevano progettato di uccidere, oltre ad Amato, anche il giudice di Treviso Giancarlo Stiz, il primo che nei primi anni Settanta aveva indagato sulla “pista nera” per la strage di piazza Fontana. Nel 1980 la scena eversiva era occupata dalla loggia P2 di Licio Gelli. Che rapporti ci sono tra i Nar e la P2?

I Nar erano legati ai servizi segreti (Sismi e Sisde), che all’epoca erano diretti da uomini affiliati alla P2, rispettivamente i generali Giuseppe Santovito e Giulio Grassini. Inoltre, godevano della protezione di settori dei carabinieri fedeli alla loggia e al sua sistema di potere occulto. Tanto per fare qualche esempio, in un covo dei Nar scoperto a Torino nel 1982 sono stati sequestrati tesserini di riconoscimento dell’Arma già predisposti per fungere da documenti falsi, con il timbro tondo “Legione Carabinieri Brescia” e con già apposta la firma del relativo comandante, il colonnello Giuseppe Montanaro, iscritto alla loggia P2, tessera numero 906. Dopo qualche mese, il latitante Gilberto Cavallini viene arrestato e viene trovato in possesso di uno di quei tesserini, con la sua foto e intestato a un ipotetico carabiniere fasullo e con tanto di firma del colonnello piduista. Quanto a Valerio Fioravanti, è stato ammesso alla Scuola allievi ufficiale, pur risultando già implicato in gravissimi reati che continuò a commettere anche durante il servizio: con il grado di sottotenente di complemento ha comandato un plotone fucilieri a Vacile di Spilimbergo dall’8 febbraio al 18 luglio 1978, ma il 28 febbraio era a Roma, a uccidere l’operaio Roberto Scialabba. E nel mese di maggio 1978 si è reso responsabile del furto di una settantina di bombe a mano Srcm, poi utilizzate in parte per attentati. Fioravanti non ha mai subito conseguenze penali per quel furto, pur essendo documentato che i servizi segreti fossero perfettamente al corrente che autore del furto era lui. E non fu fatto nulla neanche per recuperare le bombe.

Il Fatto quotidiano, 23 giugno 2020
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