SEGRETI

Confesso. Ho partecipato al Grande Complotto Usa contro Craxi

Confesso. Ho partecipato al Grande Complotto Usa contro Craxi PROCESSO A CRAXI CON DI PIETRO PROCESSO ENIMONT (Maurizio Maule, - 1993-01-31) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Confesso. Anch’io ho fatto parte del Grande Complotto degli Stati Uniti, dunque della Cia, per sovvertire l’ordine costituzionale, uccidere la Prima Repubblica, punire ed esiliare Bettino Craxi. Ho dato anch’io il mio contributo al Complotto, nel 1992, presentandomi più volte presso il consolato Usa di Milano. A vent’anni dalla morte del leader socialista, devo raccontare la verità.

È tornato di moda spiegare Mani pulite come complotto americano. Ha (ri)cominciato Bobo Craxi, dichiarando a Repubblica: “Alla fine della Guerra fredda bisognava ristabilire un nuovo ordine, in economia e in politica. E siccome non erano più tempi di golpismo militare, si scelse l’arma del golpismo giudiziario. L’ordine, se così si può dire, venne da chi aveva vinto la Guerra fredda, dagli americani”. Aggiunge Marcello Sorgi, nel suo ultimo libro, Presunto colpevole: “Che qualcosa ci sia stato, e il lavoro dei pm di Mani pulite abbia potuto essere monitorato dall’occhio attento degli osservatori Usa, questo è sicuro”. Ma monitorato o teleguidato? La seconda, dicono i craxisti ortodossi, che indicano come pupari il console generale Usa a Milano Peter Semler e l’ambasciatore a Roma Peter Secchia.

Lo suggerisce anche una scena del film di Gianni Amelio, Hammamet: quella in cui il nipotino di Craxi gioca sulla spiaggia e ricostruisce la scena di Sigonella con i soldatini americani che circondano un aeroplanino e i carabinieri italiani che circondano gli americani. Mani pulite come punizione degli Usa per lo sgarbo di Sigonella.

Ebbene, perdonerete il cronista che parla in prima persona, ma le confessioni si possono fare solo così. Io, dunque, nel 1992 in cui Mani pulite iniziò, fui chiamato al consolato americano di Milano e “intervistato” dai funzionari Usa. Allora ero un giovane giornalista appena assunto al settimanale della Rizzoli Il Mondo e avevo da poco pubblicato, nel 1991, il mio primo libro, Milano degli scandali, scritto con Elio Veltri, edito da Laterza e con prefazione di Stefano Rodotà. In quelle pagine, erano raccontate storie di corruzione della Milano da bere e delineato il sistema che sarà da lì a poco chiamato Tangentopoli.

Negli anni precedenti avevo contribuito a fondare il mensile Società civile, voce dell’omonimo circolo milanese fondato nel 1985 da Nando dalla Chiesa, che quel sistema raccontava da anni. Proprio su questi temi – la corruzione, il sistema dei partiti, il circolo Società civile, la nascita di Mani pulite – fui “intervistato” in consolato (se non ricordo male, da Sharon Marcurio, che poi divenne viceambasciatore in Norvegia), dopo essere stato contattato da Giuseppe Borgioli, che lavorava per il consolato e che mi spiegò che quello delle “interviste” era un metodo normalmente usato dalla diplomazia Usa per raccogliere opinioni sulla vita politica e culturale del Paese. In maniera trasparente, senza le buste gonfie di dollari che Giuliano Ferrara racconta di aver ricevuto dalla Cia.

Poi mi fu proposto di partecipare ai viaggi di studio negli Stati Uniti tradizionalmente organizzati dall’Usis (United States Information Office). Nulla di segreto: partì, nell’ottobre 1992, un gruppo di persone tra cui il sociologo Nando dalla Chiesa, il magistrato Antonio Di Pietro e il suo più stretto collaboratore, il capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. Visite e incontri istituzionali tra Washington e New York, Miami e Los Angeles. Per me la proposta del viaggio cadde, forse anche perché il mio secondo libro, Il grande vecchio, raccontava le stragi italiane sottolineando il ruolo degli Stati Uniti nella strategia della tensione.

Complotto, dunque? Piuttosto, legittimo monitoraggio di un fenomeno che stava cambiando la società italiana. Per aver visto da vicino com’è nata, so che Mani pulite è stata un’indagine giudiziaria avviata dopo innumerevoli tentativi dei magistrati italiani di perseguire, com’è loro dovere, la corruzione politica. Ci avevano provato più volte negli anni precedenti, ma erano sempre stati fermati, perché il sistema politico era forte e riusciva a controllare anche pezzi del sistema giudiziario. Nel mondo diviso in blocchi, il sistema dei partiti organizzato attorno alla Dc era improcessabile per motivi geopolitici.

Nel 1992 saltano i tappi. La Guerra fredda è finita, il blocco sovietico è imploso e gli Stati Uniti, che dal dopoguerra avevano sempre controllato, in nome dell’anticomunismo, il nostro Paese, osservano ciò che succede, forse cercano anche di condizionarlo, ma lasciano sostanzialmente l’Italia al suo destino. A determinare la fine di Craxi e degli altri leader della Prima Repubblica non è stata, dunque, la Cia, ma la loro voracità. La linea 3 della metropolitana milanese costa 192 miliardi di lire al chilometro, contro i 45 della metropolitana di Amburgo. Il passante ferroviario di Milano costa 100 miliardi a chilometro, quello di Zurigo 50. L’ampliamento dello stadio di San Siro costa oltre 180 miliardi, quello di Barcellona 45. Complotto della Cia?

Alcune personalità Usa, semmai, sembrano remare contro Mani pulite, usando gli stessi argomenti dei craxisti. “I magistrati di Milano hanno violato sistematicamente i diritti di difesa degli imputati”, dichiarò a Maurizio Molinari della Stampa l’ambasciatore Reginald Bartholomew, successore di Peter Secchia. Gli rispose l’ex procuratore Francesco Saverio Borrelli: “Se ci sono prassi poliziesche o carcerarie contrarie ai diritti dell’uomo sono proprio certe prassi seguite negli Usa”.

Prima, nella primavera del 1992, un avvocato, Franco Sotgiu, e un imprenditore già arrestato per tangenti negli anni Ottanta, Bruno De Mico, avevano tentato di avviare una nebulosa trattativa con il pool Mani pulite, evocando ombre americane e promettendo la consegna di uno dei cassieri di Craxi, il latitante Silvano Larini. Piercamillo Davigo e Borrelli sentono odor di bruciato, rifiutano l’offerta e informano il Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro. Fine della storia. Ma tutto torna buono, vent’anni dopo, nel tentativo di riabilitare, anzi santificare, il latitante di Hammamet.

 

Ps. Aggiungo un ulteriore elemento, prendendo in prestito le parole del collega Paolo Barbieri: “La cosa bella è che sostengono che Mani pulite sarebbe il frutto di un complotto della Cia e contemporaneamente che i magistrati del pool della Procura di Milano erano toghe rosse al servizio dell’ex Pci. Quindi gli americani, secondo questa logica, avrebbero organizzato Mani pulite per favorire gli ex comunisti. Chissà poi perché le prime elezioni dopo Mani pulite le ha vinte Silvio Berlusconi…”.

Il Fatto quotidiano, 14 gennaio 2020 (versione aggiornata)
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