CULTURE

Pereira sconfitto, la Scala dice stop ai sauditi

Pereira sconfitto, la Scala dice stop ai sauditi

Urlava, Alexander Pereira, il sovrintendente della Scala che voleva portare i sauditi del tempio mondiale della lirica. La Sala Gialla del teatro rimbombava delle sue parole che cercavano di difendere un’operazione che è stata invece bocciata. Seccamente. Completamente. Il consiglio d’amministrazione del teatro ha respinto, senza neppure il bisogno di metterla ai voti, la sua proposta di accettare il finanziamento del principe saudita Badr Bin Abd Allah (15 milioni in cinque anni) in cambio di un posto nel cda.

Aveva già pagato di tasca sua, il principe: il 4 marzo, sul conto di un notaio milanese indicato da Pereira, erano arrivati due bonifici, uno di 3 milioni, l’altro di 100 mila euro per finanziare una tournée a Riad. Saranno tutti restituiti al mittente.

“Non riportavano causale, non rispettavano le linee guida per le donazioni della Scala”, ha spiegato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che è anche presidente del cda della Scala. Una spiegazione molto formale, ma un poco ipocrita. Sull’Arabia Saudita pesa l’accusa di non rispettare i diritti umani e sul principe il sospetto di essere il mandante dell’eliminazione del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi. Ma Sala rassicura: “Il cda non reputa l’Arabia Saudita un Paese con cui non si può parlare. La cultura è uno strumento di relazioni con gli altri Paesi, non c’è alcuna preclusione verso i sauditi, non c’è una black list di Paesi con cui non si parla. Pereira ha agito a fin di bene, anche se con ingenuità”.

Più netto il giudizio degli altri membri del cda. Duro con Pereira, nei giorni scorsi, soprattutto Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, che in cda è rappresentata da Philippe Daverio. Ma più in generale l’aria era pesante: inaccettabile una donazione che esce dalle tasche di un principe saudita, che si è autonominato anche ministro della Cultura, e arriva al più importante teatro d’opera del mondo in cambio di un posto nel cda, con un’operazione fatta in sordina dal sovrintendente, senza coinvolgere né lo Stato italiano, né la Regione Lombardia, né il Comune di Milano, né il cda della Scala.

La Francia ha stretto un accordo con gli Emirati Arabi e ha portato il Louvre ad Abu Dhabi: ma ha concluso un’operazione da 1 miliardo di euro (non 15 milioni), preparata con incontri e accordi di vertice tra i due Stati, e senza “vendere” un posto nel cda del museo parigino. “La Scala è il Louvre della lirica”, si sussurrava nella Sala Gialla prima del cda, “può mai vendere un posto nel suo cda per un piatto di lenticchie, ricevuto oltretutto da un Paese che taglia a pezzi i dissidenti?”.

Pereira si giustifica dicendo di aver fatto incontrare il principe, alla Prima della Scala del 7 dicembre, sia al sindaco Sala, sia al ministro italiano della Cultura Alberto Bonisoli. Un incontro in smoking non è un colloquio per un accordo tra due Stati, ribattono gli altri membri del cda. Del resto, Bonisoli aveva espresso pubblicamente la sua perplessità circa l’ingresso di uno Stato estero nel cda della Scala.

Per questo il ministro aveva parlato con gli esponenti del governo nel consiglio d’amministrazione, con l’ambasciatore italiano a Riad, con il ministero degli Esteri e infine con il sindaco Sala. Lasciando però al cda la decisione finale. Che è stata unanime: no ai soldi sauditi, no al posto in cda per il principe, no anche al progetto di realizzare in Arabia Saudita un’Accademia della Scala come quella che a Milano prepara musicisti e cantanti: se ne dovrà occupare semmai la Fondazione dell’Accademia alla Scala. A difendere Pereira rimane solo il Pd, che attacca Fontana, e Sala: “Nessun licenziamento. Pereira resterà al suo posto fino al 2020”.

Il Fatto quotidiano, 19 marzo 2019
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