POLITICA

Fuori dall’Antimafia chi difende i boss

Fuori dall’Antimafia chi difende i boss

Nella foto: Monica Forte, presidente della Commissione antimafia della Regione Lombardia.

La battuta che circola tra i ragazzi dei movimenti antimafia milanesi è impietosa: “Un difensore di mafiosi nell’antimafia è come Dracula alla presidenza dell’Avis”. Il caso è quello di Maria Teresa Zampogna, voluta da Forza Italia nel comitato antimafia della Regione Lombardia. La battuta, in verità, è vecchia e non dà piena ragione del fatto che il diritto alla difesa è costituzionalmente garantito a qualunque cittadino.

Ma qui il diritto alla difesa non c’entra nulla, né c’entra “l’attacco all’avvocatura penale”, tanto che il caso Zampogna è stato inizialmente segnalato proprio da alcuni avvocati del foro di Milano. Il problema è di opportunità e di buon senso: chi difende un violentatore è preferibile non sia nominato in un organismo contro la violenza alle donne.

“Lotta alla mafia e diritto alla difesa sono funzioni altrettanto importanti, ma diverse tra loro. Ed è bene che restino divise”, scandisce il professor Nando dalla Chiesa, nominato nello stesso comitato, ma che ritiene la sua presenza “non più utile in un organismo gravato da questa ipoteca”.

Monica Forte, M5S, presidente della commissione antimafia del Consiglio regionale della Lombardia, aggiunge: “Potrebbero scoccare casi di sovrapposizione di ruoli e di conflitto d’interessi: la commissione potrebbe trovarsi a chiamare in audizione le vittime dei mafiosi difesi dall’avvocato Zampogna”.

Chi puntava sul buon senso sperava in un passo indietro del legale che ha difeso, come raccontato il 4 agosto dal Fatto quotidiano, un capo di Cosa nostra come Salvatore Lo Piccolo, un uomo della ’ndrangheta come Carmine Valle, un funzionario pubblico legato alla mafia calabrese come Carlo Chiriaco. Niente da fare. Zampogna non coglie quanto sia inopportuna la sua presenza nel comitato antimafia.

Stila un lungo comunicato di smentita in cui non smentisce nulla. Conferma anzi di aver davvero difeso Lo Piccolo, arrestato nel 2007 dopo 25 anni di latitanza e considerato il capo di Cosa nostra a Palermo: “L’ho assistito a Milano soltanto per quanto concerne i diritti carcerari a Opera del 41 bis, ottenendo dalla Cassazione l’eliminazione della telecamera in toilette”.

Conferma di aver difeso Chiriaco, il potentissimo medico che si vantava delle sue imprese mafiose, da “colletto bianco” ma anche da “soldato” (intimidazioni, violenze e perfino un tentato omicidio): “Dopo averlo assistito per un mese dall’arresto”, precisa, “ho scelto di rinunciare al mandato”.

Nega invece di aver difeso Domenico Zambetti, diventato assessore in Lombardia grazie ai voti comprati dalla ’ndrangheta: è il politico che con il suo arresto ha fatto implodere nel 2012 la giunta regionale allora guidata da Roberto Formigoni. Ha ragione, l’avvocato Zampogna: non ha assistito il politico che comprava i voti, ma – peggio – il mafioso che glieli vendeva.

È Alessandro Gugliotta, calabrese impiantato ad Arona, figlio del boss di Oppido Mamertina e affiliato al clan Di Grillo-Mancuso. Arrestato insieme a Zambetti e processato con rito abbreviato, è stato infine condannato con sentenza definitiva a 9 anni e 10 mesi. Aveva portato a “Mimmo” Zambetti i voti che gli avevano permesso di diventare assessore alla Casa, in cambio di soldi e di appalti promessi a società legate alla ’ndrangheta.

E, già che c’era, Gugliotta si dava da fare in Lombardia partecipando anche a estorsioni nei confronti di imprenditori e commercianti ed è indicato nell’ordinanza d’arresto come uno dei partecipanti al sequestro-lampo di Mauro Galanti, rapito a Cornaredo e rilasciato dopo il pagamento di un riscatto.

A proposito di smentite che non smentiscono, anche l’avvocato Armando Veneto – ex senatore dell’Ulivo, amico di Marcello Dell’Utri e “maestro” di Maria Teresa Zampogna – ha inviato una letterina di protesta al Fatto che aveva ricordato la sua orazione funebre al funerale di Girolamo Piromalli, “don Mommo”, boss riconosciuto della ’ndrangheta della Piana.

“Andai al funerale di Piromalli perché lo avevo strenuamente difeso”, ammette il Pigmalione della Zampogna, che conferma pure di aver preso la parola, “per ringraziare gli intervenuti come ancora oggi si usa fare a Gioia Tauro”. Niente di preparato però, assicura, solo la risposta (positiva) alla richiesta di un parente, “al quale, data la circostanza, non potevo sottrarmi”. La richiesta fu esaudita: “Mi limitai a ringraziare a nome dei familiari”. Un’orazione funebre lampo e improvvisata.

Dal passato al presente, dal sud al nord, dalla Calabria del vecchio avvocato di Palmi alla Lombardia della sua discepola, Maria Teresa Zampogna, l’avvocato dei boss che oggi vuole a tutti i costi sedere nel comitato antimafia.

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Il Fatto quotidiano, 7 agosto 2018
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