Sala, tutti sapevano le sue “forzature”. Perché allora candidarlo sindaco?
Per capire che l’appalto Expo della “piastra” era pieno di lati oscuri, irregolarità, sprechi, forzature delle norme, non occorreva aspettare la Procura generale di Milano, che ora contesta a Giuseppe Sala un paio di reati, il falso ideologico e materiale (per un documento retrodatato) e l’abuso d’ufficio (per l’assegnazione senza gara della fornitura degli alberi). Bastava leggere l’audit sulla “piastra” (il mega-appalto da 272 milioni), affidato da Expo spa nel novembre 2013 a due società di consulenza, Adfor e Sernet, e consegnato nel giugno 2014.
Non è compito di un audit (che è la valutazione sulla correttezza delle procedure) individuare reati. Ma le irregolarità sì. E quell’audit (di cui il Fatto quotidiano scrisse già nel novembre 2015 ) di irregolarità, stranezze e anomalie ne elencò una quindicina. C’era anche la vicenda degli alberi, ora contestata dalla Procura generale come reato: comprati dalla Mantovani in un vivaio a 1,6 milioni di euro, sono stati pagati da Sala ben 4,3 milioni. “In tal modo procurando intenzionalmente alla Mantovani l’ingiusto vantaggio patrimoniale pari alla differenza tra i due importi” – scrivono ora i sostituti procuratori generali – e provocando un “danno di particolare gravità”.
Per il resto, chiedono l’archiviazione: l’ipotizzato reato di turbativa d’asta non si è verificato. Eppure tutta la storia della “piasta” è un balletto paradossale. Il manager Antonio Rognoni, amico del presidente Roberto Formigoni, pretende che la fornitura delle piante sia scorporata dall’appalto. Sala, invece di procedere come dovuto, accetta senza batter ciglio e, forte dei suoi poteri speciali di commissario, smonta l’appalto e fa in modo che la fornitura degli alberi vada, senza gara, alla azienda Peverelli, come vuole Formigoni. Così però, senza alberi, nell’appalto ci sono più soldi (pubblici): niente paura, Sala aggiusta tutto, li spalma su altre voci. Poi Peverelli si tira indietro, e allora Sala aggiunge altri soldi (pubblici) e li dà senza gara alla Mantovani, che riceve 716 euro per ogni pianta, comprata a 266 euro.
Nell’audit c’erano tante altre osservazioni pesantemente critiche. Sala, come amministratore delegato, aveva potere di spesa per 10 milioni. Ma “alcune determine a contrarre opere complementari superano nell’insieme” la soglia. “Nell’arco temporale ristretto di circa due mesi” – scrivono gli auditor – con sette determine tutte sotto i 10 milioni, Sala affida a Mantovani lavori per 34 milioni. Non solo. I lavori di Expo sono avviati senza i “documenti organizzativi” previsti dal codice degli appalti. Così “si è poi dovuto procedere con affidamenti diretti alla Mantovani per recuperare il tempo perduto, sopportando maggiori costi”, “per un importo di circa 40 milioni di euro” (soldi pubblici).
E ancora. Tutta l’organizzazione Expo era un disastro: “Si rileva l’assenza di specifici mansionari per le figure dell’ufficio, che faciliterebbero la chiara definizione di ruoli, compiti e responsabilità, nonché la tracciabilità delle attività svolte”. “Nessuno all’interno di Expo ha controllato il computo metrico di scavi e fondazioni, opere caratterizzate da alto rischio di azioni corruttive”. Sono state inoltre “adottate in modo illegittimo delle deroghe all’applicazione del codice appalti”. E c’è stata perfino una “inadeguata modalità di conservazione della documentazione di gara” che doveva invece essere accessibile soltanto ai commissari.
Ebbene: tutto ciò non lo dicono, ora, i magistrati della Procura generale, accusata dai legali di Sala di “attività persecutoria”. Lo dicevano nel 2014 i consulenti incaricati da Sala. E questo giornale lo scrisse nel 2015. Magari non sono reati. Magari anche dalle contestazioni giudiziarie Sala sarà assolto. Ma se questi erano i fatti, era proprio il caso di candidarlo sindaco?
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