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A Milano regalano i dati sanitari a Ibm Watson, a Londra bloccano Google Deep Mind

A Milano regalano i dati sanitari a Ibm Watson, a Londra bloccano Google Deep Mind

L’accordo per regalare a Ibm i dati sanitari degli italiani prosegue il suo cammino sotterraneo e silenzioso. Malgrado le perplessità del Garante per la privacy e le domande di qualche politico in Parlamento (Pierpaolo Vargiu) e nel Consiglio regionale lombardo (Chiara Cremonesi). Con una novità: un accordo di utilizzo dei dati sanitari, stretto con Google, in Gran Bretagna è stato rigettato dal National Data Guardian, l’agenzia governativa britannica che vigila sul trasferimento dei dati sensibili.

È di un anno fa la richiesta di Google Deep Mind Health, un programma di elaborazione dei dati sanitari simile a quello di Ibm Watson Health, di avere accesso ai dati di 1,6 milioni di pazienti del Royal Free Hospital di Londra, con la promessa di aiutare i medici a offrire un servizio più efficace nella cura alle malattie acute del fegato. Non si può fare, ha stabilito nei giorni scorsi la “national data guardian” Fiona Caldicott, senza l’esplicito consenso dei pazienti: il trasferimento di dati è illecito perché non è finalizzato a cure mediche dirette, ma ad altri scopi, come la ricerca, che esigono ulteriori autorizzazioni.

In Italia Ibm ha avviato un’operazione ben più ambiziosa: incamerare tutti i dati sanitari (dalle cartelle cliniche alle informazioni fiscali, dai registri dei tumori ai dati genomici, dai trattamenti farmacologici fino ai dati su costi e rimborsi) di 9 milioni di cittadini della Lombardia, in cambio dell’apertura a Milano, sui terreni Expo, del centro europeo di Watson Health. Il primo annuncio fu dato il 31 marzo 2016 dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi in visita alla sede Ibm di Boston: “Abbiamo convinto Ibm a venire a Milano”. Quel giorno fu firmato un Memorandum of understanding tra governo italiano e Ibm.

Il 15 febbraio 2017 il Fatto quotidiano rivela però che, in cambio, il governo si era impegnato a fornire gratuitamente a Ibm i dati sanitari di tutti gli italiani, a partire da quelli che vivono in Lombardia. Il 19 marzo il Fatto aggiunge che, oltre ai dati, Ibm avrebbe ricevuto anche 60 milioni di finanziamenti: dal ministero dello Sviluppo economico, attraverso l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti Invitalia, e dalla Regione Lombardia. Ibm aveva replicato che le finalità dell’iniziativa sono positive: “Generare strategie per cure appropriate e coordinate”, “migliorare la gestione di pazienti ad alto rischio e alto bisogno, riducendo i costi per il gestore del servizio e migliorando i risultati per il paziente”, dare a cittadini e imprese la possibilità di consultare più facilmente il patrimonio di informazioni della pubblica amministrazione; realizzare progetti di ricerca su malattie infettive, cura degli anziani, oncologia predittiva di precisione.

La Regione Lombardia ha comunicato di aver interpellato il Garante della privacy e di essere in attesa delle sue decisioni. Ma l’ufficio del Garante, interpellato dal Fatto, ha spiegato di essere intervenuto, subito dopo gli articoli del nostro giornale, inviando due richieste di chiarimenti sugli accordi con Ibm alla presidenza del Consiglio e alla Regione Lombardia. E di avere finora ricevuto solo due risposte generiche: è il Garante, dunque, che resta in attesa di informazioni più precise sugli accordi e sui dati che sarebbero ceduti.

Intanto sono partite le richieste di chiarimenti nelle sedi politiche. Chiara Cremonesi (consigliera regionale di Sel) ha chiesto informazioni al presidente della Lombardia Roberto Maroni: “Ho ricevuto una risposta interlocutoria e generica”. Pierpaolo Vargiu (deputato di Civici e Innovatori) ha chiesto invece al ministero della Salute notizie “sull’eventuale trasferimento a terzi di dati sanitari sensibili di pazienti italiani”, che “in assenza di specifico consenso individuale al trattamento parrebbe configurare una inquietante violazione dei diritti di libertà individuali”. Resta in attesa di risposta.

 

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Il Fatto quotidiano, 24 maggio 2017
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