GIUSTIZIA

Woodcock: condanne, altro che bolle di sapone

Woodcock: condanne, altro che bolle di sapone

Matteo Renzi (“Ci sono pm specializzati in indagini che arrivano al nulla di fatto”) è in buona compagnia. Il pm Henry John Woodcock? “È un pazzo”, aveva detto con la sua capacità di sintesi Maurizio Gasparri. “In un Paese normale avrebbe già cambiato mestiere”, sentenziava, prima di cambiare mestiere, Gianfranco Fini. “Fa le indagini con la Guida Monaci”, diceva ancora Gasparri, “tranne che della strage degli Ugonotti, s’è occupato di tutto”. Piero Ostellino: “Le sue inchieste sono bolle di sapone”. Gianfranco Rotondi: “Prende dai telegiornali le vittime della sua pirateria giudiziaria”. Roberto Calderoli: “Meglio fottersi una valletta che una banca” (ai tempi delle indagini di Woodcock su Vallettopoli). Fino a Vittorio Sgarbi (oggi): “L’inchiesta Consip? È una puttanata”.

Lui, Woodcock, cerca di non reagire, se non con qualche querela per diffamazione o causa civile (vinte quelle contro Gasparri, Sgarbi, Francesco Storace, Fabrizio Rondolino…). Madre napoletana, padre inglese che gli ha lasciato il cognome su cui hanno grevemente ironizzato Francesco Cossiga e Vittorio Feltri, Henry John arriva a fare il magistrato alla procura Potenza nel 1999. Dopo poche settimane, fa arrestare il potente dirigente della cancelleria del tribunale fallimentare che si vendeva le case e i beni dei fallimenti come fossero roba sua: confessa, patteggia, risarcisce. Poi fa arrestare un magistrato di Cassazione e un paio di potenti avvocati e fa condannare, oltre ai responsabili di alcuni omicidi, i dirigenti del liceo Fermi di Potenza che si erano inventati una classe fantasma, falsificando i registri e perfino i compiti in classe.

Condannati anche i funzionari della Motorizzazione locale che incassavano mazzette dagli automobilisti che arrivavano in Basilicata da tutta Italia a prendersi le loro patenti facili. Ma è nel maggio 2002 che il magistrato con nome inglese e accento napoletanissimo comincia a diventare noto anche fuori Potenza: siamo in Italia, dunque anche indagando sugli affari del posto più periferico del Paese, si finisce per arrivare ai livelli alti della politica. Così Woodcock, scoprendo le tangenti Inail, individua un gruppo misto di imprenditori e politici che ronzavano attorno ai soldi non soltanto dell’istituto, ma anche del petrolio lucano dell’Eni.

Arriva a far arrestare anche un generale dei carabinieri, già responsabile della sicurezza di Cossiga, accusato di aver rivelato agli indagati notizie sull’inchiesta. Apriti cielo. Sarà scarcerato e prosciolto. Intanto però i principali accusati patteggiano la pena e restituiscono migliaia di euro. Quello che rimane alle cronache, però, è il rumore delle proteste dei vip (politici, amministratori, giornalisti, personaggi dello spettacolo) coinvolti nelle indagini. Molti saranno alla fine prosciolti, anche se non è certo edificante lo spettacolo dei loro sotterfugi, richieste, raccomandazioni, regali, affari e affarucci documentati dalle intercettazioni telefoniche.

Nel 2004 chiude l’inchiesta sul clan mafioso dei Martorano di Potenza. Anche in questo caso ci sono politici, di destra e di sinistra, in relazioni con gli uomini della cosca. Il tribunale del riesame ridimensiona la parte politica dell’inchiesta. Ne approfitta l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli che invia i suoi ispettori a Potenza e apre un procedimento disciplinare, da cui Woodcock esce prosciolto.

Nel 2006 scoppia il caso Somalia, con un agente segreto e il faccendiere salernitano Massimo Pizza coinvolti in una indagine su truffe e affari nel Paese africano, in un balletto di politici, imprenditori e barbe finte. Di affare in affare, arriva fino a Vittorio Emanuele di Savoia. Infine ai protagonisti di Vallettopoli, inchiesta su foto, affari e ricatti, con coinvolti modelle e giornalisti, Lele Mora e Fabrizio Corona (che sarà condannato).

Dal settembre 2009 Woodcock si trasferisce alla Procura di Napoli. Qui indaga il “sistema informativo parallelo” – la stampa lo chiamerà P4 – del deputato Alfonso Papa e del faccendiere Luigi Bisignani (che patteggerà poi una pena per associazione a delinquere, favoreggiamento, rivelazione di segreto e corruzione). Con Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli scopre i fondi e i maneggi – che provocheranno la fine politica di Umberto Bossi – del tesoriere della Lega Francesco Belsito (condannato). Nel 2013, inchiesta napoletana su Valter Lavitola (condannato per bancarotta, tentata estorsione, truffa aggravata e corruzione) e Silvio Berlusconi (condannato per corruzione).

Passato alla Direzione distrettuale antimafia, scopre i responsabili dell’omicidio di Genny Cesarano, il giovane ucciso al quartiere Sanità. E nell’indagine sulla “Paranza dei bambini” fa arrestare e condannare 50 giovani camorristi. Infine, con Celeste Carrano, apre l’indagine sulla Consip che poi passa in gran parte a Roma per competenza territoriale. Anche qui ci sono appalti, tangenti, mediatori, ma pure padri, politici e generali che forse parlano troppo. Puntuale, come a ogni sua indagine dal 2002 a oggi, riparte il circo degli attacchi al magistrato delle “bolle di sapone”.

Il Fatto quotidiano, 10 marzo 2017
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