GIUSTIZIA

La norma spiffera-inchieste. Spataro: una direttiva per tutelare il segreto investigativo

La norma spiffera-inchieste. Spataro: una direttiva per tutelare il segreto investigativo

Mentre il nuovo governo tenta di partire, c’è una norma già approvata che rischia di pesare sui futuri rapporti tra politica e magistratura. È quella che impegna la polizia giudiziaria che lavora per le Procure a informare i superiori gerarchici delle indagini in corso. La norma, contenuta nel decreto legislativo del 19 agosto 2016, entrerà in vigore il 1 gennaio 2017. E cade in una situazione politica in cui l’ossessione per le informazioni sensibili e gli apparati stava spingendo ad affidare la delega ai servizi segreti a Luca Lotti, fedelissimo di Matteo Renzi. Non è andata in porto, ma il tentativo c’è stato. “Torno a Pontassieve”, ha scritto il presidente del Consiglio dimissionario nel suo ultimo messaggio notturno e strappalacrime, “da semplice cittadino. Non ho paracadute. Non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l’immunità”.

Sì, ha evocato anche l’immunità, tanto utile per i politici che rischiano di inciampare in qualche pm che voglia indagare su di loro. Ancor più utile è poter conoscere in tempo reale eventuali indagini. I pm in Italia sono indipendenti dal potere politico e la polizia giudiziaria fa le indagini sotto la loro direzione: ma se deve informare in diretta i superiori gerarchici, che invece dipendono dai politici, c’è il rischio che le notizie investigative possano arrivare all’orecchio di chi non dovrebbe saperne nulla.

Nella maggior parte delle indagini non c’è alcun problema. Ma in poche, delicate inchieste che riguardano politici o personaggi di potere, il rischio di un corto circuito polizia-politica c’è. Il decreto legislativo d’agosto era fatto per integrare la Guardia forestale nei carabinieri, ma all’articolo 18, comma 5, dice testualmente: “Entro il 1 gennaio 2017 (…) il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”.

“Niente di sostanzialmente nuovo”, sostiene il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo. “Già ora la situazione è così. Come può un ufficiale di polizia giudiziaria spostare uomini per un’operazione disposta da un pm, senza informare il suo generale? E comunque i superiori non possono certo comunicare a un indagato di essere sotto indagine: se lo facessero commetterebbero un reato”.

Più preoccupato il procuratore di Torino Armando Spataro, che sta valutando l’opportunità di emettere una direttiva per i magistrati del suo ufficio “a tutela della segretezza investigativa”. Spataro, da pm a Milano, con il collega Ferdinando Pomarici condusse l’indagine sul rapimento di Abu Omar e mise sotto inchiesta i vertici del servizio segreto militare. In quell’occasione, fu la Digos di Milano a condurre le indagini, bagnando il naso agli 007 del Sismi che furono intercettati come dei pivelli. Allora i pm, anche per togliere dall’imbarazzo i poliziotti della Digos, consegnarono loro una lettera che ordinava specificamente di non informare i superiori.

Complicato indagare su politici o addirittura su alti ufficiali di polizia, carabinieri, guardia di finanza. Ai tempi di Mani pulite, il pool di Milano mandava all’allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli, richieste di rogatoria con omissis che coprivano il nome del capo politico di Martelli, Bettino Craxi. Restò intoccabile per anni il generale dei carabinieri Francesco Delfino. Travagliata fu l’indagine su un altro generale dei carabinieri, Giampaolo Ganzer, condannato per l’utilizzo della droga sequestrata ai trafficanti, ma poi riabilitato. Delicata invece l’inchiesta su Andrea Toschi, arrestato per la bancarotta Sopaf: intercettato, si vantava di avere come fratello Giorgio Toschi, generale della guardia di finanza (che di suo accettava con troppa leggerezza gli inviti del costruttore della “Cricca”, in seguito condannato, Riccardo Fusi). Poi Renzi ha scelto proprio Toschi come comandante della guardia di finanza. Insomma, già ora è complicato indagare sui potenti. Dal 1 gennaio potrebbe diventare ancor più difficile.

Il Fatto quotidiano, 13 dicembre 2016
To Top