SEGRETI

Pomarici: “Senza diritti, la lotta al terrore è un fallimento”

Pomarici: “Senza diritti, la lotta al terrore è un fallimento”

Ci portano la guerra in casa, dunque basta sottigliezze giuridiche, basta eccessi di garanzie, la lotta al terrorismo islamista va condotta senza pietà. Non è d’accordo Ferdinando Pomarici, già procuratore aggiunto a Milano e coordinatore di molte inchieste sul terrorismo.

Dopo gli attacchi di Bruxelles, c’è chi dice che i terroristi non meritano neppure il difensore.

Ma siamo impazziti? È una follia. Non è certamente privando dei diritti civili i presunti responsabili che si riuscirà a prevenire, individuare e punire i colpevoli. Non c’è alcuna connessione tra diritti di difesa e lotta al terrorismo.

Ma un eccesso di garanzie non indebolisce la lotta al terrore?

È un’idea che viene smentita dai fatti. Noi ci siamo occupati di terrorismo (quello delle Br) fin dagli anni Settanta e siamo riusciti praticamente a debellare il fenomeno, anche perché nel frattempo erano cambiate le condizioni sociali e politiche. Ma questo senza privare dei loro diritti nessuno di coloro che sono stati indagati, arrestati e poi condannati. Io ho avuto la soddisfazione di parlare con brigatisti di livello, come i responsabili della colonna Walter Alasia, che mi hanno detto, tutti, di essere stati molto colpiti e sorpresi dal fatto che i rappresentanti di quello che giudicavano lo Stato reazionario, quelli che avrebbero voluto uccidere, li avessero invece trattati in modo corretto, senza alcuna privazione di diritti.

Alcuni degli attentatori di Bruxelles erano noti alle autorità, eppure sono stati lasciati liberi di entrare in azione. C’è evidentemente qualcosa che non funziona.

Questo è un altro discorso, che non c’entra nulla con la privazione dei diritti. Bisogna incrementare lo scambio di informazioni, l’attività di prevenzione e repressione. Con gli strumenti che già ci sono e che vanno affinati e resi più efficaci.

Ma non si poteva bloccarli prima? Certo, non disponiamo degli stessi mezzi che aveva Tom Cruise nel film “Minority Report”, in cui arrestava gli assassini prima che commettessero un omicidio…

Sì, ma ci vuole la sfera di cristallo o i “Precog” del film. Invece nella realtà non esiste la possibilità di sapere prima chi commetterà un reato. Dobbiamo restare dunque nel campo più concreto della legge, altrimenti è la morte della democrazia e della libertà dei cittadini. E allora non avrebbero più senso le attività di prevenzione e di repressione, tanto varrebbe tornare alla difesa individuale che veniva praticata da ciascuno prima della formazione degli Stati.

Lei e il suo collega Armando Spataro avete indagato anche su Abu Omar. Una doppia indagine: sulle attività illegali dell’imam egiziano, che poi avete fatto condannare; ma anche sulla “extraordinary rendition” della Cia che l’ha sequestrato e poi portato in Egitto.

Proprio la vicenda Abu Omar ci insegna molto. L’imam era stato inviduato come sospetto partecipante a un’organizzazione sovversiva. Se avessimo potuto completare le indagini, con la nostra polizia giudiziaria – che è tra le migliori del mondo, lo riconosce anche l’Fbi – saremmo potuti arrivare alla condanna di Abu Omar (come poi è successo), ma anche all’individuazione della sua cellula. Invece la Cia, con l’appoggio del Sismi, lo ha sequestrato, comportandosi come un elefante in una cristalleria. Risultato: siamo stati ritardati di anni nell’arrivare alla condanna di Abu Omar; e abbiamo perso gli uomini della sua cellula che dopo la rendition sono andati chissà dove e hanno commesso chissà quali reati.

Che cosa risponde a chi dice: li conoscevate, ma non li avete fermati in tempo?

Rispondo che quello che bisogna fare è rafforzare le attività di coordinamento – sia a livello di prevenzione, sia a livello investigativo – che sono già previste sulla carta, ma nella realtà non funzionano. Poi è necessario anche un coordinamento legislativo: perché in Europa abbiamo legislazioni diverse, molto avanzata ed efficace quella italiana, non così quelle di altri Paesi europei. Il risultato è che alcune condotte che in Italia sono punibili altrove non lo sono. Questo è un problema, perché io in Italia non avrò alcuna collaborazione, investigativa e informativa, da Paesi che non riconoscono come reato comportamenti che da noi lo sono. Del resto, di collaborazione si parla molto in questi giorni, ma io penso, con il pessimismo dell’età, che passato il momento si continuerà a non fare nulla.

 

Il Fatto quotidiano, 26 marzo 2016
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