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Trieste, il risveglio della vecchia signora

Trieste, il risveglio della vecchia signora

La vecchia città asburgica, porto dell’impero, piccola Vienna senza reggia ma con il mare, si avvia alle elezioni comunali discutendo e dividendosi, come sempre. Qui non è condiviso il passato, drammatico, e il presente galleggia sulle antiche ferite della memoria a cui s’aggiungono sempre nuovi conflitti. Vecchia signora in disarmo, abituata ai tempi morbidi dei suoi caffè, ora Trieste ha però ripreso a guardare in faccia il futuro, a tentare la riscossa.

L’industria – Trieste è stata anche città operaia – ormai qui produce meno del 10 per cento della ricchezza cittadina. La Ferriera di Servola – 435 addetti – oggi è più un problema ambientale che un’impresa economica. Le Generali, imponente compagnia assicurativa di livello europeo, erede del grande passato triestino, da anni si sta progressivamente sganciando dalla città in cui è nata, diventando sempre più milanese. La disoccupazione pesa, la crisi si è sentita anche qui, tanto che, per esempio, la comunità serba, 12 mila persone che fornivano molta manodopera per l’edilizia, negli ultimi anni si è dimezzata. Resta la splendida chiesa ortodossa di San Spiridione, accanto alle chiese, alle sinagoghe, ai circoli culturali, ai giornali, ai cimiteri che testimoniano l’antica presenza a Trieste di tante comunità, serbi, greci, croati, sloveni, austro-tedeschi, armeni…

Il declino però ora si è fermato, giurano gli analisti. È ripreso il turismo, nella città piena di tracce di Joyce e di Rilke, di Svevo e di Saba, di Boris Pahor e di Samuel David Luzzatto. Sono aumentate le grandi navi da crociera che riversano stranieri sulle Rive. Il parco scientifico e tecnologico triestino incrocia università e aziende private, il sincrotrone Elettra, la Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati), il Centro internazionale di fisica teorica. Il porto di Trieste è per traffico merci il primo d’Italia e il decimo in Europa.

Resta una delle città con la popolazione più vecchia d’Italia. Ma ha accumulato una ricchezza antica, ha le pensioni mediamente più alte del Paese e un consistente livello di risparmi. Ora si aprono due nuove partite: lo sviluppo del porto nuovo; e la progettazione dell’area del porto vecchio. Due grandi affari che dovranno essere gestiti dal prossimo sindaco.

Il porto vecchio

Sono 600 mila metri quadrati di magazzini, hangar e impianti affacciati sul mare, un tempo adibiti ad attività portuale. Sono stati via via abbandonati a partire dagli anni Settanta. Ora sono inutilizzati e inutilizzabili, perché demaniali, cioè dello Stato. Dopo anni di tentativi falliti, il senatore Pd Francesco Russo è riuscito a far approvare la “sdemanializzazione” dell’area: vuol dire che quell’enorme porzione di città torna nella disponibilità del Comune di Trieste che dovrà decidere che cosa farne. Potrebbe essere il volano della rinascita di Trieste, l’occasione per ripartire. No, dicono i gruppi indipendentisti locali (tra cui il Movimento Trieste Libera) che protestano contro lo spostamento da quest’area dei privilegi del Porto Franco: “Si risolverà tutto”, dicono, “in un ridimensionamento di quegli antichi benefici, a vantaggio di altri porti italiani”.

C’è anche il pericolo d’infiltrazioni mafiose, in una città già ad alto rischio criminalità: su questo ha alzato le antenne il nuovo procuratore della Repubblica, Carlo Mastelloni. L’amministrazione comunale ha già messo le mani avanti e ha coinvolto nei controlli l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone, onnipresente parafulmine del malaffare italico. Il problema però ora è: che cosa fare in quell’area? È stato affidato alla Ernst&Young l’incarico di advisor per il “Piano strategico di valorizzazione del Porto vecchio”. Giovedì 18 febbraio il sindaco Roberto Cosolini è volato a Roma dove ha incontrato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi. È tornato a casa con la promessa di 10 milioni per cominciare il risanamento dell’area compresa tra Molo Terzo e Quarto; e di altri 8 milioni per realizzare al Magazzino 26 un grande Museo del Mare. Ma la trasformazione del Porto Vecchio è il dopo-Expo di Trieste: ci vorranno anni, forse decenni, per sapere come andrà a finire.

Il porto nuovo

Il porto nuovo resta il primo in Italia per movimento merci, anche grazie al petrolio che da qui parte verso il centro Europa con l’oleodotto transalpino. Oggi soffre della concorrenza dei vicini porti di Koper-Capodistria (Slovenia) e Rijeka-Fiume (Croazia). “Ma il futuro dovrebbe essere la collaborazione tra questi porti”, sostiene Claudio Boniciolli, ex presidente dell’Autorità portuale e gran conoscitore della storia di Trieste, dei suoi uomini e dei loro vizi e virtù.

“Oggi sono prevalenti le gelosie e i localismi. Invece dovrebbero vincere le alleanze: perché non costituire società comuni per i servizi di retroporto? Trieste e Capodistria, e in parte anche Fiume, hanno un bacino comune, dovrebbero collaborare per arricchire i servizi logistici che permettono alle merci che arrivano dall’Adriatico di risalire l’Europa, verso nord e verso est”.

La Ferriera

Il signor Ettore Bellanti, triestino, è in guerra con il cavalier Giovanni Arvedi, di Cremona. Bellanti è il primo firmatario di un appello in cui un gruppo di cittadini chiedeva che cosa fare della polvere nera che raccolgono nelle loro case, proveniente dalla Ferriera di Servola. Ha ricevuto una diffida dal gruppo Arvedi, attuale proprietario del grande complesso industriale nato nel 1896 per produrre ghisa per l’impero Austro-Ungarico. Il 31 gennaio 5 mila triestini hanno manifestato contro l’inquinamento della Ferriera. La chiamano l’Ilva di Trieste, da anni è una ferita nel cuore della città. “Destra e sinistra ci promettono da anni di azzerare l’inquinamento: promesse tradite”, dicono i cittadini dell’Associazione NoSmog, che chiedono la chiusura della fabbrica.

Qualcosa è stato fatto: si stanno spendendo oltre 170 milioni di euro per mettere in sicurezza gli impianti e ridurre le emissioni inquinanti. Resta il rumore, restano le nuvole nere che escono dagli impianti dell’area a caldo, che funziona a carbone. “I panni stesi ad asciugare li ritiriamo neri”, dice chi abita accanto alla Ferriera. Intanto, venerdì 19 febbraio, la Siderurgica Triestina, gruppo Arvedi, ha ottenuto la concessione per trent’anni della banchina di Servola: ormai più preziosa dell’impianto che produce ghisa e del laminatoio a freddo. È la piattaforma logistica che collega mare e terra, le navi che arrivano dalle acciaierie di Arvedi ai treni (700 nel 2015, raddoppieranno nel 2016) che portano la loro merce verso il nord.

La Coop Operaia fallita

Patrizia Rosso è una psicologa del lavoro. “Mi sono impegnata nel Comitato tutela soci Coop per assistere tanta gente disperata che temeva di aver perso i risparmi di una vita. Molti erano anziani, tanti ci avevano messo pochi soldi, ma erano tutti i loro soldi”. La Coop Operaia di Trieste aveva una lunga storia, 43 supermercati, 650 dipendenti, 126 milioni di fatturato, ma soprattutto 17 mila soci che avevano messo i loro denari (in totale 103 milioni di euro) nei libretti di risparmio della cooperativa, che come tutte le coop fa da banca senza esserlo, raccoglie il denaro dei clienti-soci offrendo un tasso superiore a quello concesso dagli istituti di credito. Lo chiamano “prestito sociale”. La gestione dei vertici non è stata certo oculata, gli investimenti (tipo il centro commerciale Gran Duino) sono stati almeno avventati, visto che la Coop è precipitata nel crac.

Nell’ottobre 2014 la Procura retta da Mastelloni chiede il fallimento e il Tribunale nomina l’avvocato Maurizio Consoli amministratore giudiziario. Subito bloccati ai soci i soldi dei libretti. Scene di rabbia e disperazione. Accuse feroci alla Regione, che deve vigilare sulle coop. La risposta è stata: “Noi abbiamo il compito di fare controlli sulla mutualità, non sulla contabilità”. Indovinate come l’hanno presa i 17 mila restati senza risparmi. Nei mesi seguenti, Consoli ha venduto 38 supermercati su 43 (a Coop Nordest, Conad, Despar, e sette ai dipendenti che ci lavoravano). Ora sta vendendo gli immobili. Ha raccolto finora un centinaio di milioni con cui ha già saldato il 43 per cento dei debiti ai fornitori e il 60 per cento di quelli dei soci. “Alla fine, conto di restituire l’81 per cento del prestito sociale”. Poteva andare peggio. Ma lo shock ha scosso Trieste. Peserà anche sul voto?

Gli immigrati

In una città di vecchi benestanti, la paura è sempre in agguato e pesa sulle scelte di voto. Così su Trieste, città di frontiera, aleggia il “pericolo immigrati”. Diminuiti gli sbarchi in Sicilia, è cresciuta la “rotta balcanica” dei disperati in fuga da guerre e povertà. Una parte cerca di entrare a Trieste. Sono soprattutto afghani e pakistani. Ora sono solo 800, ospitati in attesa che sia esaminata la loro richiesta d’asilo politico. Sono stati al massimo 1.400. Le statistiche dicono che a Trieste i reati sono in calo, eppure l’allarme mediatico alimenta la paura.

Tra qualche settimana, la primavera porterà prevedibilmente un aumento degli arrivi di profughi che attraverso Slovenia e Croazia cercano di raggiungere l’Europa del nord. L’Austria ha già annunciato di voler porre un limite agli ingressi sul suo territorio e concederà asilo solo a 80 persone al giorno. La frontiera di Trieste diventerà dunque caldissima: e proprio quando la campagna elettorale sarà al suo culmine.

La politica.
Guerra in casa Pd,
divisioni nei Cinquestelle,
la destra spera di vincere 

Poi faranno anche loro la campagna elettorale tutti insieme appassionatamente – o almeno così promettono. Ma intanto si dividono, litigano ferocemente e se ne dicono di ogni colore. Succede nel Pd, qui a Trieste, diviso tra chi sostiene il sindaco uscente Roberto Cosolini e chi vuole invece candidare il senatore dem Francesco Russo. Ma anche nel Movimento 5 stelle c’è una frattura tra i sostenitori di Paola Sabrina Sabia e quelli di Paolo Menis. Chi gode, per ora, è l’autocandidato sindaco Roberto Dipiazza: ma anche lui non ha ancora incassato il sostegno di tutte le tribù del centrodestra triestino. Insomma: in attesa di combattere gli schieramenti avversari, ciascun dei tre poli in campo si allena combattendo una guerra in casa.

La più clamorosa è quella nel Pd. Cinque anni fa, Cosolini vinse le elezioni – a sorpresa, in una città in cui la maggioranza è tradizionalmente di destra. Restava il candidato naturale per il secondo mandato. Infatti così il partito lo presenta, il 6 febbraio, al Caffè San Marco. Ma sette giorni dopo, in un incontro pubblico nella galleria del Tergesteo, prende la parola il senatore Russo: “Cosolini è un sindaco perdente”. E sventola un sondaggio che lo dà sei punti sotto Dipiazza. “Dobbiamo fare le primarie. Io mi candido per Trieste”. Cosolini trasecola. Sbalordita anche Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia e vicesegretaria nazionale del Pd.

Russo se la prende anche con lei: “È una friulana ostaggio delle frange friulaniste”, proclama solleticando il triestinismo che da sempre oppone Trieste a Udine. Caos nel partito, ma alla fine il Pd cede: come si fa a dire no alle primarie? Si faranno anche qui il 6 marzo, Russo contro Cosolini. Circola il nome di un terzo concorrente: Mitja Gialuz, brillante presidente della Barcolana, la tradizionale regata di Trieste. Ma Gialuz si chiama fuori: “Le primarie sono un pasticcio. Io sto con Cosolini e non ho mai pensato di candidarmi”.

“Non xè un mal senza un ben”, dice il sindaco in carica, inghiottendo amaro. “Faccio un atto di generosità per il bene del centrosinistra”. Perché è vero, come dice Russo, che Cosolini, amministratore onesto ma che certo non brilla in tv, è dato dai sondaggi almeno 4 punti sotto Dipiazza (48 a 52). Ma quello che Russo non dice è che gli stessi sondaggi danno Russo più sotto ancora, addirittura di 10 o 15 punti. A Trieste, la città che vide la prima affermazione delle liste civiche e localiste (il Melone), il senatore Russo è visto ormai come “il romano”. Lui reagisce proponendo “la città metropolitana”: idea che solletica il triestinismo latente in città, ma che ha scarso significato, visto che Trieste ha solo 200 mila abitanti e una provincia inesistente (30 mila); e che sfascerebbe l’equilibrio che la tiene insieme a Udine.

Intanto il Movimento 5 stelle, che a Trieste se passa al ballottaggio potrebbe anche vincere, aveva già una sua candidata: Paola Sabrina Sabia, giovane attivista e moglie dell’europarlamentare Marco Zullo, incoronata il 4 settembre 2015 da un’assemblea con una cinquantina di persone. Ma quell’assemblea non aveva all’ordine del giorno la votazione del candidato sindaco, replica un altro gruppo del movimento che fa riferimento al consigliere comunale Paolo Menis: questi si appella ai vertici del movimento e inizia un percorso parallelo per scegliere le candidature. Ora tra i due deciderà il web.

E Dipiazza? Politico di lungo corso, è stato cinque anni sindaco a Muggia e poi dieci a Trieste. Era di Forza Italia, ma ultimamente si è avvicinato all’Ncd di Angelino Alfano: questo lo rende ora indigesto a Lega e Fratelli d’Italia. Prevarranno le divisioni? E sosterrà Dipiazza un grande vecchio del centrodestra triestino come l’ex socialista e poi berlusconiano Giulio Camber?

Il Fatto quotidiano, 21 febbraio 2016
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