L’uomo dal sorriso carnivoro
» Massimo De Carolis
Una visita a Palazzo Marino
«Ho chiesto 200 milioni; venticinque li ho già ricevuti, ma devo rientrare degli altri entro la fine di aprile…». Con una frase come questa, rivolta seccamente al faccendiere residente a Montecarlo Luigi Sirna, Massimo De Carolis è entrato da protagonista nell’ennesima vicenda di tangenti milanesi e ha aperto un altro capitolo della sua lunga, lunghissima storia politica e professionale. Democristiano di destra, combattente anticomunista, leader della Maggioranza Silenziosa, avvocato di Michele Sindona, iscritto alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli (tessera numero 1815). Infine, dopo un periodo di quaresima, risorto alla politica sotto le bandiere di Forza Italia e subito voluto da Silvio Berlusconi (tessera P2 1816, un numero in più di quella di De Carolis) alla presidenza del Consiglio comunale di Milano. Questo ultimo capitolo è cominciato (almeno per il pubblico) alle 9.30 di venerdì 12 marzo 1999, con una scena da film.
Gherardo Colombo si presenta con cinque poliziotti in borghese al portone di Palazzo Marino, sede del potere municipale a Milano. «Ma scusi, dottore, lei ha un appuntamento?», chiede al magistrato il capo di gabinetto del sindaco. Colombo, cercando dentro di sè i toni più mansueti a disposizione quella mattina, risponde: «Ma sa, per certe cose non c’è bisogno di appuntamento…». Le «certe cose» sono, questa volta, la perquisizione dell’ufficio di De Carolis. Accuse: rivelazione di notizie riservate e corruzione. Non era mai successo. Un magistrato dentro Palazzo Marino non era mai entrato, neppure nel biennio di fuoco di Mani Pulite, tra il 1992 e il ’93. Eppure il giorno dopo i giornali sono sobri (Mani Pulite non è più di moda, non fa più titolo), danno molto spazio all’autodifesa di De Carolis («Sono tranquillo, non ho alcun ruolo nella vicenda su cui Colombo sta indagando»). Ed è bastato qualche giorno perché la storia fosse dimenticata o comunque confinata in striminziti colonnini nelle pagine di cronaca milanese. Eppure è una storia che viene da lontano.
Ciccio di Nonna Papera
Nasce a Firenze, questa indagine, dove i magistrati e la Dia (la Direzione investigativa antimafia) stanno da anni seguendo tutte le piste attorno alle bombe che Cosa Nostra fece scoppiare nel 1993 a Firenze, a Roma e a Milano, quando i corleonesi decisero di fare la guerra allo Stato. Uno dei personaggi seguiti e intercettati dalla Dia di Firenze è Ezio Cartotto. Qualcuno la chiama «Ciccio di Nonna Papera», sostenendo che ricorda il personaggio di Walt Disney, eppure Cartotto è stato in anni cruciali uno dei consiglieri politici di Berlusconi. Democristiano, della corrente di Base, già dagli anni Settanta aveva aiutato il Cavaliere a orientarsi nel labirinto dei gruppi e potentati dc (intanto, però, non disdegnava di passare notizie su Berlusconi a Licio Gelli). Nel 1992, il salto: Marcello Dell’Utri, che preme (contro il parere di Gianni Letta e Fedele Confalonieri) affinché il Cavaliere «scenda in campo», chiama Cartotto a dargli man forte. Così «Ciccio di Nonna Papera» diventa, fino al 1994, consulente di Berlusconi, con tanto di contratto (5 milioni al mese, poi lievitati fino a 15).
Nel 1997 lo interrogano i magistrati di Palermo, che stanno indagando sulla nascita del nuovo partito e su eventuali contatti con la mafia. E lo tengono d’occhio anche i magistrati di Firenze che, tra un discorso e l’altro, captano anche certi ragionamenti di Cartotto su affari a Milano e su una tangente di 250 milioni per un appalto a cui si starebbe interessando Massimo De Carolis.
A questo punto, dunque, entrano in campo la Dia di Milano, poi i magistrati Gherardo Colombo e Ilda Boccassini, con la Squadra Mobile milanese che avvia un’indagine ad alto tasso di tecnologia, con pedinamenti, intercettazioni, fotografie che documentano incontri. Gli investigatori vanno a curiosare tra le carte di una realizzazione che i milanesi stanno aspattando da decenni: il depuratore delle acque. è incredibile, ma la capitale del Nord scarica le sue fogne nei torrenti, nei fiumi, alla fine nel Po.
Da almeno un decennio sui tavoli dei sindaci ballano progetti di depuratori (uno a Nosedo, il secondo al Ronchetto delle Rane, alla periferia Sud, un terzo più piccolo a est, a Peschiera Borromeo), ma ancora non si vede la fine della vicenda. Certo è che dopo la scorpacciata di terziario (e di tangenti) degli anni Ottanta, che ha portato a una indigestione di immobili per uffici a Milano, oggi la depurazione è uno dei business più promettenti. Per Nosedo l’appalto era stato vinto dal gruppo Acqua dei fratelli Pisante. Per il Ronchetto (un affare da 180 milioni più la gestione: in tutto 200, 250 milioni nei primi anni) la gara d’appalto era appena partita. Il 15 giugno scorso 13 gruppi d’imprese avevano chiesto di partecipare alla gara. Poi un paio erano stati esclusi, perché privi dei requisiti necessari. Ma alcuni faccendieri si erano già messi al lavoro. «Ciccio di Nonna Papera» Cartotto era sceso in campo con il compito di mettere in contatto De Carolis con quelli che nelle telefonate intercettate dalla polizia sono chiamati «i francesi»: gli uomini della Otv, azienda controllata dalla Compagnie Générale des Eaux. Un terzetto di ragazzi svegli, di faccendieri esperti: Luigi Franconi (tessera P2 numero 1778); Luigi Sirna, l’uomo d’affari residente a Montecarlo su cui De Carolis preme per avere il saldo dei soldi promessi; e il francese (vero, questo) Alan Maetz.
Nell’arco di sei mesi, i tre incontrano De Carolis più volte. A una riunione, nell’ufficio privato di De Carolis in via Manzoni 41, partecipa anche l’avvocato Marco Mazzarelli, consulente della Otv. Ma è a Maetz, secondo gli investigatori, che De Carolis fornisce la lista delle imprese partecipanti alla gara: pare che esista addirittura una fotografia del documento nelle mani del francese, appena uscito dal portone di via Manzoni 41. La rivelazione della lista è un atto che falsa la correttezza della gara, è un reato grave, secondo la legge Merloni, perché quella lista doveva restare segreta fino al 28 ottobre. Invece, sostengono gli investigatori, anche grazie alla «consulenza» di De Carolis la Otv si dà da fare. Nel gennaio scorso, per esempio, acquisisce il 51 per cento della Siba, un’altra delle aziende della lista. Scoppiata la grana, De Carolis, secondo gli investigatori, si rovina con le sue mani: non erano ancora finite le perquisizioni del 12 marzo (non solo dell’ufficio a Palazzo Marino, ma anche dell’abitazione e del suo ufficio privato di via Manzoni) e De Carolis si precipita a telefonare a Cartotto, a cui dà appuntamento subito in una piazza del centro di Milano: per concordare una linea comune?
L’uomo dal sorriso carnivoro
Le cose che gli piacciono di più, ha confessato in un’intervista degli anni Settanta, sono «i gioielli, i Caraibi, le auto di lusso, gli orologi. Quando voglio comprarne uno vado a cercare il più caro, il più bello, il più prezioso. Non mi importa quanto costa, le cose belle non hanno prezzo». Tempi di guerra, quegl’anni, che gli costarono anche una pallottola delle Brigate Rosse. De Carolis non si intimorì: continuò a dichiarare che Dario Fo e Franca Rame erano «gli organizzatori della marea montante dell’ultrasinistra». E che Camilla Cederna era «peggio dei brigatisti», la vera «mandante morale dell’assassinio di Calabresi». Camilla lo aveva ricambiato con uno dei suoi ritratti al veleno: «Lo sfollerei da Milano e lo manderei in Giappone o in America, non mi ricordo più, dove lui ha imparato a mangiare pesci crudi e a fare diete macrobiotiche, di cui è contentissimo. Il sorriso che ha è carnivoro, altro che pesci crudi. Sempre questo sorriso, qualunque cosa dica, anche tetra, con quella sua aria da bambino sapiente e testardo».
Vedeva comunisti dappertutto, nella Milano degli anni Settanta. Da Capanna al sindaco Aldo Aniasi. Rossi anche i dirigenti della Scala, contro cui si scagliò perché avevano deciso di mettere in scena un’opera di Luigi Nono. Tra i pochi personaggi pubblici che salvava, c’erano Marco Pannella, Bettino Craxi, il democristiano Giuseppe Guzzetti. Craxi non ricambiava la stima, se sono veri i dossier segreti del gran capo dei servizi segreti civili Federico Umberto D’Amato (anch’egli come De Carolis iscritto alla P2), che nel fascicolo dedicato a «De Carolis Massimo» e datati 1974 riferivano che «fonte d’informazione fiduciaria attendibile riferisce» che Claudio Martelli, allora segretario milanese del Psi, era stato incaricato da Craxi in persona di svolgere un’inchiesta sui rapporti tra De Carolis, allora capogruppo Dc a Palazzo Marino, ed Edgardo Sogno. «Martelli ha dichiarato di essere in possesso di alcuni elementi che potrebbero provare la partecipazione di De Carolis alle trame di Sogno». Nel 1975, secondo i fascicoli, tenta di organizzare, in collegamento con Nencioni e Staiti, una Nuova Maggioranza Silenziosa, con il sostegno di personaggi dell’eversione di destra come Marco Ballan e Gilberto Cavallini e la protezione e i finanziamenti del padre padrone della Montedison Eugenio Cefis.
Una lunga storia
Già la Maggioranza Silenziosa prima maniera, quella messa insieme pochi anni prima con l’avvocato Adamo Degli Occhi, secondo il giudice Guido Salvini non era affatto un club spontaneo, un semplice movimento d’opinione, ma uno strumento pianificato dagli strateghi della tensione, pronto a scendere in campo dopo stragi e attentati (da addossare alla sinistra) per chiedere la restaurazione dell’ordine. Vecchie storie, da cui però De Carolis non ha mai mostrato di sentirsi imbarazzato. Come della tessera P2: «Perché solo i partiti con la patente devono poter fare politica?». L’avvocato con l’aria da bambino sapiente e testardo ha sempre avuto un vero amore per l’editoria: ha fondato un periodico, Il Settimanale, citato come esempio positivo da Gelli nel suo Piano di Rinascita Democratica; ma Il Settimanale resta marginale nel panorama della stampa italiana, dominata da settimanali «rossi». De Carolis punta più in alto, partecipando (come risulta agli atti della Commissione parlamentare sulla P2) al tentativo di conquista del Corriere della sera a opera del gruppo di Licio Gelli, di Roberto Calvi, di Bruno Tassan Din. Nel 1976 vola a New York per incontrare Michele Sindona (anch’egli iscritto alla P2), latitante dopo il crac delle sue banche. Si incontra anche con Giulio Andreotti, con cui a più riprese parla del piano di salvataggio del banchiere.
Dopo l’assassinio di Mino Pecorelli, il nome di De Carolis spunta anche in uno strano, misterioso appunto lasciato dal giornalista di Op e riportato nel volume 7, tomo 17 della monumentale relazione parlamentare sulla P2: «Edil Nord Berlusconi interessi in Svizzera, la Guardia di Finanza non è andata, D’Adamo (Mazzotta), collegato De Carolis, Marchese Moncada con Agnelli è in contatto, avventuriero, nemico di Marcora. Il bambino Svizzero rapito. Memo pagato 160.000 (così viene smentito Andreotti)». I veleni del passato non hanno mai tolto a De Carolis la sua sicurezza, figurarsi gli ormai frequenti dissidi con il sindaco di Milano Gabriele Albertini, che non perde occasione di mostrare la sua distanza dal compagno di partito. Anche dopo la visitina di Colombo al municipio, Albertini ha rilasciato dichiarazioni di sostegno ai magistrati, non al presidente del suo Consiglio comunale. De Carolis ha incassato e dopo molte polemiche ha finito con il doversi dimettere da presidente del consiglio comunale. Non ha perso però il sorriso carnivoro. E si prepara alla sua ennesima battaglia.
Gianni Barbacetto, da «diario della settimana», aprile 1999