Milano, il grande risiko dei treni per mangiarsi l’Atm
È iniziato il grande risiko dei treni in Lombardia. Personaggi e interpreti: Renato Mazzoncini, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato; Roberto Maroni, presidente della Regione, che controlla le Ferrovie Nord; Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che veglia su Atm, l’azienda dei trasporti pubblici milanesi. I primi due, attraverso Trenitalia e Ferrovie Nord Milano, sono già soci al 50 per cento in Trenord, che gestisce – tra le maledizioni dei pendolari – il trasporto ferroviario regionale. Ora hanno avanzato la propostona che dovrebbe ammodernare il sistema: una splendida fusione con Atm per far nascere una fantastica holding unica dei trasporti, che diventerebbe il principale player non soltanto nel trasporto su ferro nazionale, ma anche in quello locale. Con la realizzazione di un vero servizio integrato dei trasporti, all’altezza degli esempi internazionali.
Peccato che gli esempi internazionali ci insegnino cose ben diverse. Per esempio che trasporto metropolitano e trasporto regionale sono due servizi diversi, differenti e separati dappertutto: a Parigi c’è la Ratp (urbana) e la Rer (extraurbana); a Berlino la Bvk (urbana) e la Deutsche Bahn (extraurbana); a Londra gli operatori sono addirittura undici. Il progetto di fusione è presentato come la condizione per poter fornire un servizio migliore per gli utenti. Balle: dietro i proclami, i personaggi e interpreti hanno ben altre mire. Maroni non vede l’ora di liberarsi di Trenord, che con il suo servizio non proprio eccellente fa inferocire soprattutto i pendolari e gli fa perdere voti. Aveva già detto di sì a Mazzoncini quando questi gli aveva proposto di vendere a Fs il 50 per cento di Trenord posseduto dalla Regione. Ma Matteo Salvini lo aveva gelato: “Ma come? Vuoi vendere ai romani ladroni i treni della Padania? Mai!”.
Ora la proposta è più furba, perché di mezzo c’è anche Atm, così Salvini e i suoi hanno meno argomenti per mettersi di traverso. E Mazzoncini cosa vuole? Invece di pensare a far funzionare bene i treni locali che già gestisce – male – in tutta Italia, tenta operazioni di sistema per far crescere le dimensioni e non l’efficienza. A dirla tutta, quello che lo attira è il bocconcino Atm. A differenza di Trenord, funziona. E bene. Il presidente voluto da Giuliano Pisapia, Bruno Rota, ha fama di avere un pessimo carattere, ma intanto ha portato la storica azienda milanese a buoni risultati economici e di servizio. Ha un margine operativo lordo di 156 milioni contro i 57 di Trenord, 9.500 dipendenti contro 4.180 e soprattutto un patrimonio netto di 900 milioni contro 85. Ecco dunque che cosa fa brillare gli occhi a Mazzoncini e ai volponi di Trenord.
Il matrimonio Atm-Trenord sarebbe l’unione di un bel giovane con una racchia. Senza alcun vantaggio per gli utenti. L’integrazione tariffaria? La Regione può farla domani, anche mantenendo separate le due società. Trenord ci provò già due anni fa a fondersi con Atm, ma Pisapia si lesse i conti per una notte intera e poi disse: no grazie. Ora il gioco è diventato più raffinato: creare una holding unica con tre soci, Comune di Milano, Regione Lombardia e Ferrovie dello Stato, ciascuno al 33 per cento. Geniale: così Regione e Fs, già alleati in Trenord, avrebbero il 66 per cento; e il Comune, conferendo il gioiellino Atm, solo il 33. Più che un’integrazione, uno scippo. Oltretutto, Rota ha abituato Atm a una gestione trasparente, con gare pubbliche per ogni cosa; mentre Trenord-Fnm è sempre stata un feudo della politica e ha nella sua storia recente personaggi come Giuseppe Biasuz e Norberto Achille, protagonisti di grandi scandali. Sala è un sindaco-manager che dice di voler fare il bene di Milano. Gli crediamo: se è così, non potrà regalare Atm, che è un patrimonio della città, ai volponi del risiko dei treni.
Nella foto, il presidente di Atm Bruno Rota