Grattacielo selvaggio: l’indagine non è affatto sgonfiata. Ecco perché
Scambiare i desideri con la realtà (nella Milano glam si dice: wishful thinking): è lo sport di quelli che, dopo la decisione di un Tribunale che ha annullato due arresti, hanno gridato soddisfatti che l’indagine Grattacielo selvaggio sull’urbanistica milanese è finita, smontata, bruciata, sgonfiata, distrutta, rasa al suolo. È vero? Proviamo a ragionare. Innanzitutto i fatti. Un collegio del Riesame ha in effetti rigettato per due su sei arrestati l’ipotesi corruzione (avanzata dai pm e confermata da un giudice delle indagini preliminari).
Nel collegio era presente la stessa giudice che all’inizio dell’inchiesta milanese aveva sostenuto che il cortile di piazza Aspromonte – atto primo dell’indagine – non era un cortile. Poi fu smentita dalla Cassazione, ma non è questo il punto: è normale dialettica processuale di un sistema penale pieno di garanzie come quello italiano. Non è rilevante neppure il fatto che quel collegio abbia scritto: “Svilente la tesi dei pm”, senza che questa volta abbia protestato nessuno di quelli che si lamentano ogni volta che pensano di trovare “valutazioni” o “giudizi” negli atti scritti dai magistrati d’accusa.
Ma andiamo al sodo. L’indagine Grattacielo selvaggio ha due piani. Il primo riguarda reati urbanistici, abusi edilizi, lottizzazioni abusive. Ha un centinaio di indagati tra costruttori, progettisti e dirigenti comunali. Le tesi d’accusa sono sempre state confermate dai giudici finora intervenuti (gip, gup, Riesame, Cassazione) e sono già approdate al dibattimento per quattro casi (Torre Milano di via Stresa, cantiere di via Fauchè, Bosconavigli di Stefano Boeri, Park Towers di via Crescenzago).
Questo livello è il cuore dell’inchiesta: le costruzioni fuorilegge di Milano, permesse dal Rito ambrosiano, che contro le norme urbanistiche ed edilizie permetteva di costruire nei cortili, di tirar su grattacieli senza piani attuativi, di considerare “ristrutturazioni” le nuove costruzioni, di fare ingiustificati sconti del 60% agli operatori immobiliari. Questo è il nucleo del Modello Milano (ossia piena deregulation per ottenere “attrattività”, generando però lesioni dei diritti dei cittadini meno forti, disuguaglianza, diminuzione dei servizi urbani, crescita dei costi dell’abitare). Averlo individuato e bloccato è e sarà il grande merito dell’inchiesta milanese.
Il secondo livello nasce dal fatto che i pm, mentre indagavano sugli abusi edilizi, si sono accorti che sul Modello Milano si è incistato anche un Sistema Milano, con facilitatori che ottenevano dal Comune permessi che i loro colleghi non riuscivano a ottenere, ma anche professionisti double face, pubblici ufficiali che decidevano lo sviluppo immobiliare della città e intanto erano a libro paga degli operatori di cui approvavano i progetti.
Per alcuni di questi (meno di una ventina) i pm hanno ipotizzato il reato di corruzione. Sarebbe stato più agevole contestare prima il reato di abuso d’ufficio, ma la politica lo ha appena abolito proprio per salvare politici e colletti bianchi. No, non è facile dimostrare in un’aula di giustizia la connessione tra un sì dato a un progetto da un pubblico ufficiale e un incarico o una consulenza poi ottenute dall’operatore a cui si è detto sì. Siamo a una sorta di “dazione ambientale” 2.0.
Sul reato decideranno i giudici nei dibattimenti. Per ora siamo tre a due: due corruzioni annullate (i pm ricorreranno in Cassazione) e tre confermate, pur riqualificando la corruzione su singoli atti contrari ai doveri d’ufficio (articolo 319) in corruzione per l’esercizio della funzione (articolo 318). Ma tutto ciò appartiene al piano giudiziario e sarà deciso tra molti anni. Intanto restiamo sul piano politico: reato o non reato, è comunque evidente che lo sviluppo di Milano è stato affidato a procedure fuori dalle regole e a progettisti e sviluppatori privati che si sono sostituiti alla pubblica amministrazione. Tornare alle regole e alla guida pubblica della città: questa è la posta in gioco. Non potranno farlo i magistrati, deve farla la politica. Se ha ancora dignità.
