Alessandra Dolci: queste “riforme” della giustizia sono cattivi segnali per la legalità

Alessandra Dolci, che coordina la Direzione distrettuale antimafia di Milano, segnala “un calo di attenzione della società civile” verso la lotta alla criminalità organizzata, ma mostra preoccupazione soprattutto per “i cattivi segnali mandati dalla politica” con riforme della giustizia che finiscono per influire anche sul contrasto alle mafie.
A che punto è l’antimafia, dopo le riforme della giustizia del governo Meloni e a 30 anni dalla fondazione di Libera, il movimento antimafia guidato da don Luigi Ciotti?
L’antimafia delle istituzioni, dei magistrati, della polizia giudiziaria, ha fatto significativi passi in avanti, qui al Nord, a partire dall’indagine Infinito-Crimine, nel 2010. Dopo anni di negazionismo, in cui perfino un prefetto di Milano diceva che al Nord la mafia non c’era, si è presa coscienza del problema e contrastato le mafie che all’epoca commettevano soprattutto reati di sangue, moltissimi omicidi, grandi traffici di stupefacenti e controllavano soprattutto le attività illecite.
E oggi?
Dal 2010 a oggi sembra passato un secolo. Oggi è prevalente la dimensione economica delle mafie. La criminalità mafiosa si è adeguata alla criminalità economica, usando gli stessi modelli comportamentali. In sostanza risponde a una domanda diffusa di evasione fiscale, di conquista di fette di mercato in violazione delle regole della concorrenza. È successo anche nell’ultima indagine, “Hydra”, in cui abbiamo individuato una associazione di stampo mafioso con la compresenza di soggetti che fanno riferimento alla ’Ndrangheta, alla Camorra, a Cosa nostra.
C’è a Milano o al Nord una sorta di super-gruppo delle mafie?
Non è una super-mafia, è un’associazione che noi abbiamo qualificato di stampo mafioso e che secondo il Tribunale del riesame esprime una “mafiosità immanente”, con soggetti che fanno riferimento alle tre mafie tradizionali. Si occupano di affari, mettono in comune un reticolo di società che si occupano di evasione fiscale, quindi di fatture fittizie e commercializzazione di crediti d’imposta.
Non c’è più la mafia che spara?
Il fatto che le organizzazioni criminali si occupino di reati economici non significa che i mafiosi abbiano in assoluto rinunciato al ricorso alla violenza. Li ascoltiamo nelle intercettazioni dire che è meglio ridurla al minimo. Dicono che le pistole devono essere messe da parte, “e lo hanno capito anche i siciliani”. Ma questo non significa che abbiano perso la vis mafiosa, semplicemente vi ricorrono solo se e quando è assolutamente necessario. C’è un processo di mimetizzazione: meno cerimonie di affiliazione o di conferimento delle “doti”. Lo dicono loro stessi, intercettati: “È meglio che non facciamo le mangiate, altrimenti ci danno il 416 bis”. E quelli che sono stati scarcerati dopo aver espiato la pena sono diventati tutti imprenditori, mentre quando li avevamo arrestati, anni fa, si occupavano di droga. Settori preferiti, la logistica, la ristorazione e da ultimo è emerso il loro interesse per il mondo del calcio, il mondo ultrà. Certo, resta anche la droga: Milano è rimasta un crocevia dei traffici di droga, come e più di prima.
L’antimafia della società civile la sentite presente, 30 anni dopo la fondazione di Libera?
I movimenti antimafia ci sono e sono preziosi. Certo che la tensione nell’opinione pubblica è calata rispetto a 30 anni fa, al periodo delle stragi. È quindi importante proseguire l’opera di sensibilizzazione e soprattutto di conoscenza del fenomeno mafioso. Devo dire che anche gli organi di informazione non è che siano proprio così sensibili a questi temi.
Le riforme della giustizia avviate dal ministro Carlo Nordio vi aiutano o vi frenano?
La legislazione sulle indagini antimafia non è stata cambiata, eppure i cambiamenti introdotti non aiutano. La mafia di oggi si combatte contrastando i reati economici. Se le nuove regole indeboliscono le indagini, per esempio riducendo a 45 i giorni delle intercettazioni, è chiaro che questo non giova alle investigazioni anche sui reati di mafia. Perché non sempre è configurabile fin dall’inizio l’aggravante mafiosa, spesso le nostre indagini partono da spunti investigativi rappresentati semplicemente da un reato economico, un fatto di bancarotta, di evasione fiscale.
E l’eliminazione dell’abuso d’ufficio?
È raro che venga contestato nelle indagini antimafia. Ma quello che pesa è il segnale che con queste riforme viene mandato: che non sono poi così rilevanti né socialmente riprovevoli i reati contro la pubblica amministrazione o quelli fiscali. Così vengono di fatto agevolate le mafie che sono riuscite a colonizzare il nostro territorio proprio perché hanno trovato terreno fertile, hanno offerto una serie di servizi a un mondo imprenditoriale già insofferente al rispetto delle regole minime di correttezza fiscale e del libero mercato. Le ultime riforme della giustizia mandano un segnale anche simbolico che è pesantissimo.