A proposito di Silvio Berlusconi, aeroporti, aerei (e mafiosi)
di Giuseppe Pipitone /
Dal Falcone-Borsellino al Silvio Berlusconi. Sembra il titolo di un saggio sulle varie indagini antimafia che hanno coinvolto l’uomo di Arcore, ma sarà presto un itinerario di volo, stampato sui biglietti aerei delle centinaia di persone che ogni giorno partono dall’aeroporto di Palermo per raggiungere quello di Malpensa a Milano.
L’idea d’intitolare uno degli scali del capoluogo lombardo a Berlusconi era già cominciata a circolare dopo la morte dell’ex presidente del consiglio, durante quelle frenetiche settimane di beatificazione quasi bipartisan. E dire che solo qualche tempo fa dedicare uno degli aeroporti più importanti d’Italia a un politico pregiudicato, più volte sotto inchiesta e sotto processo, morto mentre era ancora indagato per concorso nelle stragi del 1993, sarebbe sembrata una provocazione ai limiti della fantascienza.
Adesso, però, l’idea originariamente lanciata da Gabriele Albertini diventa realtà, come ha annunciato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini: a Berlusconi sarà intitolato l’aeroporto internazionale di Malpensa, uno dei più importanti d’Italia.
Nessuna legge sull’aeroporto dedicato al fuorilegge. L’annuncio del leader della Lega è arrivato quasi con una battuta: “Proprio oggi il cda dell’Enac ha approvato la richiesta di intitolare a Silvio Berlusconi l’aeroporto di Malpensa. E siccome l’ultima parola è del ministro dei Trasporti, penso proprio che il ministro dei Trasporti darà l’ok”. Ad agevolare l’incredibile omaggio è stata una legge, anzi, la mancanza di una legge.
L’anno scorso, nei giorni successivi ai funerali, l’attuale primo cittadino del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, era riuscito a liquidare il pressing dei berlusconiani ricordando che, secondo le norme, occorre aspettare dieci anni di tempo prima d’intitolare una strada a un defunto. E una deroga non era stata chiesta neanche per Umberto Veronesi, uno “che aveva salvato migliaia di persone“.
Quella legge, però, vale per le vie, le piazze e i viali: non per gli aeroporti. Ecco perché l’ex sindaco Albertini aveva proposto d’intitolare a Berlusconi lo scalo di Linate. Un altro pregiudicato come Roberto Formigoni, però, non era d’accordo. “Se si scegliesse un aeroporto sarebbe più adeguato Malpensa, perché mentre Linate esiste da cent’anni, il moderno Malpensa lo abbiamo fatto io e Berlusconi, lui da presidente del Consiglio, io da presidente di Regione”, aveva detto l’ex governatore della Lombardia, che nel novembre scorso ha finito di scontare ai servizi sociali la sua condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione. Un auspicio che ora diventa realtà: lo scalo di Malpensa si chiamerà Silvio Berlusconi.
Alle origini di Milano 2. Per la verità, se proprio si devono superare i limiti del buon gusto, sarebbe stato più corretto accogliere la proposta di Albertini e quindi intitolare a Berlusconi lo scalo di Linate. Se non altro per una questione storica. Costruito tra il 1933 e il 1937 – dunque praticamente coetaneo dell’ex presidente del consiglio, che era del ’36 – l’aeroporto di Milano registra il boom del traffico aereo negli anni ’60: passa dai 35 decolli al giorno nel 1961 ai 75 del ’69.
È a quel punto che la Civilavia, cioè l’aviazione civile, decide di regolamentare i corridoi di decollo, in modo da evitare che i jet sorvolino i centri abitati di Segrate, San Felice, Vimodrone, Cologno e Brughiero, dove già all’epoca abitavano circa 100 mila persone. Le nuove rotte stabilivano che i velivoli dovevano passare sopra una zona verde e disabitata. Si trattava di un’area che all’epoca era stata appena ceduta dal conte Leonardo Bonzi alla Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani, cioè la cugina di Berlusconi.
Sono gli anni in cui il futuro uomo di Arcore (che ad Arcore non era ancora andato a vivere) progettava di realizzare il simbolo della sua carriera di costruttore: la città-satellite di Milano 2. Solo che la zona prescelta aveva tutta una serie di problemi, a cominciare dai jet che decollavano dal vicinissimo aeroporto di Linate.
Il rumore era insopportabile: non certo un incentivo per i milanesi benestanti che, nei piani del futuro cavaliere, avrebbero dovuto comprare casa nel suo nuovo quartiere modello. Eppure, come ha ricostruito Giovanni Ruggeri nel libro Tutti gli affari del Presidente (Kaos Edizioni), Berlusconi del rumore degli aerei non sembrava preoccuparsi: nel 1970 l’edificazione della nuova cittadella sperimentale procede spedita, nonostante i boati continui.
Nel quartiere del silenzio il frastuono era continuo. “Il silenzio non ha prezzo, ecco il paradiso del silenzio“, c’era scritto sugli enormi cartelloni pubblicitari di Milano 2. Uno slogan che ancora nel 1971 sembra una barzelletta: l’intera aerea, infatti, è sorvolata continuamente dai velivoli, il frastuono è incessante. “Il silenzio non c’è. L’aeroporto di Linate è lì a un passo, ogni novanta secondi decolla un aereo, intollerabili le onde sonore, superiori a 100 decibel”, scriverà Camilla Cederna su L’Espresso, in quella che è la prima intervista rilasciata dal futuro presidente del consiglio.
Viene pubblicata nel 1977 quando il problema è già stato risolto. In che modo? Fondamentale è il fatto che, nel frattempo, la parabola berlusconiana incrocia quella di un altro personaggio destinato a diventare famoso: don Luigi Verzè. Secondo Cederna le cose andarono così: “L’Edilnord si muove a Roma, manovrando i ministeri, per ottenere il cambio delle rotte degli aerei. In quattro anni la Civilavia aveva già ordinato sei cambiamenti delle rotte degli apparecchi di Linate. Approfittando della vicinanza di un ospedale, il San Raffaele, diretto da un prete trafficone e sospeso a divinis, don Luigi Maria Verzé, manda ai vari ministeri una piantina in cui la sua Milano 2 risulta zona ospedaliera e la cartina falsa verrà distribuita ai piloti (con su la croce, simbolo internazionale della zona di rispetto), così la Civilavia cambia rotte, ancora una volta”.
Come racconta Marco Travaglio in B. come Basta (Paper First), a sostegno degli interessi del giovane imprenditore e del rampante sacerdote “trafficone” spuntano alcuni fantomatici comitati anti rumore, creati per l’occasione, che inviano una petizione al ministero dei Trasporti: chiedono di deviare le rotte per non disturbare gli abitanti di Milano 2 e i pazienti dell’ospedale. Che però all’epoca ancora non esistono: il nuovo quartiere di Berlusconi conta ancora solo 200 abitanti, mentre il San Raffaele è in costruzione.
Eppure nel 1972 Civilavia decide di spostare le rotte aeree, dirottandole verso Segrate e i comuni vicini, già densamente popolati. Ai piloti dell’Alitalia vengono effettivamente fornite strane carte di volo: l’intera area di Milano 2 diventa una grande chiazza nera con la H di Hospital, come se il San Raffaele occupasse tutta la cittadina residenziale di Berlusconi.
La condanna del dirigente dell’Aviazione. Ottenuto il silenzio promesso nel suo paradiso, l’uomo di Arcore passa all’incasso: i prezzi delle case e dei terreni di Milano 2 raddoppiano, da 200 a 400 mila lire al metro quadro. Nel 1974, però, il pretore di Monza Nicola Magrone condannerà il direttore generale di Civilavia Paolo Moci per il disturbo della quiete pubblica nei comuni limitrofi.
“Non può ignorarsi la perplessità suscitata in autorevoli organismi pubblici – si legge nella sentenza – dall’iniziativa di Milano 2… Le successive variazioni apportate alle rotte di uscita da Linate, soprattutto per il dimostrato costante collegamento con le vicende edilizie attorno all’aeroporto, giustificano da sole (un rimprovero all’imputato ndr) tanto più doveroso quando si pensi alle conseguenze disastrose di una scelta apparentemente imparziale tra ‘opposti diritti’, sostanzialmente espressione vistosa di un inammissibile cedimento del pubblico amministratore a pressioni settoriali, non controllate, non vagliate, non assoggettate a doverosa verifica, nemmeno sotto il profilo della verità dei fatti (vedasi Ospedale San Raffaele)”.
Per il pretore “la comparsa di nuovi centri residenziali” uno dei quali “sorprendentemente preceduto da un ospedale dai connotati molto ambigui (il San Raffaele ndr) non costituisce motivo sufficiente ad invalidare la scelta originaria (delle rotte aeree ndr) ed a far aprire la serie di ripensamenti sempre più univoci in danno della fascia nord”.
La vicenda delle rotte dirottate dai cieli di Milano 2 conquista l’attenzione della stampa già all’epoca. È il 1976 quando Giorgio Bocca si pone una serie di domande, destinate a rimanere irrisolte per lungo tempo: “Un certo Berlusconi costruisce Milano 2, cioè mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno. Chi glieli ha dati? Non si sa. Chi gli dà i permessi e dirotta gli aerei dal suo quartiere?”.
La P2, la Dc e i racconti di Cartotto. Per rispondere agli interrogativi posti da Bocca bisognerà aspettare più di quarant’anni. Nel 2014, quando Berlusconi è stato già espulso dal Parlamento dopo la condanna definitiva per frode fiscale, l’Espresso intervista Ezio Cartotto, ex esponente della Dc in Lombardia, il politologo ingaggiato in gran segreto da Marcello Dell’Utri per lavorare alla cosiddetta operazione Botticelli, cioè la creazione di Forza Italia.
“Fui io a suggerire un modo per spostare le rotte”, sosteneva in quei giorni Cartotto, che è morto nel 2021 di Covid. “A Roma – proseguiva il politologo – potevamo contare sull’appoggio di un deputato molto potente, Egidio Carenini, mentre in Lombardia avevamo quella che Marcora chiamava ‘la banda‘. Tra i membri di questa banda c’era proprio Gianstefano Frigerio”.
Deputato della Dc, sottosegretario all’Industria, Carenini era un personaggio molto influente nella Milano dell’epoca: anni dopo il suo nome figurerà tra gli iscritti alla P2 di Licio Gelli, gli stessi elenchi di cui faceva parte Berlusconi. Negli anni ’70, invece, Frigerio era presidente dell’ospedale Uboldo di Cernusco sul Naviglio, molto vicino a Segrate: poi sarà anche deputato di Forza Italia, dopo essere stato coinvolto in Tangentopoli e successivamente anche nelle inchieste sulle mazzette per gli appalti dell’Expo.
“L’idea era semplice – ricordava sempre Cartotto all’Espresso – Dovevamo chiedergli di scrivere una bella lettera da inviare a Carenini. Qualcosa del tipo: Salve, il mio ospedale conta circa trecento degenti. Le rotte degli aerei disturbano i malati. Per favore, intervenite per spostarle. Se le rotte fossero state spostate da Cernusco, il progetto della Edilnord sarebbe stato salvo”. Dopo un vertice romano, scriveva ancora il settimanale, ”a cui partecipano i rappresentanti di quattro ospedali, tra cui l’Uboldo di Frigerio e il San Raffaele di don Verze, nell’agosto 1973 il cielo di Milano 2 viene ripulito dal rombo degli aviogetti”.
Secondo Cartotto ”per fargli chiedere il dirottamento delle linee aeree da Milano 2, sicuramente Berlusconi ha ‘mazzettato‘. Su questo non ci piove”. Nel 2008, dopo aver vinto per la terza volta le elezioni, l’allora premier ricorderà i suoi esordi nell’edilizia con queste parole: “Io smisi di costruire a Milano, perché a Milano non si poteva costruire niente se non ti presentavi con l’assegno in bocca”.
I Buscetta e Berlusconi: il pilota in comune. L’infinita saga berlusconiana incrocia vicende relative all’aeroporto di Linate anche qualche anno dopo la vicenda delle rotte. È il 1980 e Marcello Dell’Utri, storico braccio destro dell’uomo di Arcore, incontra a Parigi Stefano Bontate e Girolamo Teresi, mafiosi della famiglia di Santa Maria di Gesù: sono gli uomini al vertice di Cosa nostra, prima di finire assassinati dai corleonesi di Totò Riina.
Di quell’incontro si parla nella sentenza definitiva che ha condannato Dell’Utri a sette anni di carcere per concorso esterno: l’ex senatore di Forza Italia chiede ai due mafiosi “20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“. Nello stesso periodo Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi che era legatissimo a Bontate, esce dal carcere in regime di semilibertà e decide di darsi alla latitanza. A raccontare quel periodo della sua vita sarà lui stesso, anni dopo, quando diventerà il pentito più importante della storia di Cosa nostra.
Don Masino va prima a Roma, ospite di Pippo Calò, poi a Palermo, accolto dagli amici Bontate e Teresi: con i due ha spesso condiviso lunghi periodi a Milano. Negli anni ’60, infatti, il boss dei due mondi soggiornava sotto la Madonnina: non si è mai capito, però, di cosa si occupasse. Anche perché Buscetta non racconterà mai i dettagli del suo periodo milanese, quando deciderà di saltare il fosso e collaborare con Giovanni Falcone.
Racconta, però, che tre giorni prima del Natale 1980, quando era latitante in Sicilia, si fa raggiungere dalla sua nuova famiglia brasiliana: la sua seconda moglie, Maria Cristina De Almeida, il suocero, un nipote, un figlio e due figlie.
Sono in totale sei le persone che si erano imbarcate a Parigi su un volo privato via Milano. Come hanno ricostruito Peter Gomez e Leo Sisti ne L’intoccabile (Kaos), alla cloche di quell’aereo c’era il pilota Tullio Tavolato, che almeno fino al 1989 sarà alla guida del “Falcon’’ della flotta Fininvest utilizzato da Berlusconi per tutti i suoi spostamenti a lungo raggio. Come mai Berlusconi e i parenti di Buscetta hanno condiviso lo stesso pilota?
I dubbi sull’aereo. Quel volo da Parigi a Palermo via Milano viene effettuato dalla Unijet International Srl per conto dell’Ata, una società di aerotaxi che appartiene a due imprenditori, Silvio Bonetti e Carmelo Gaeta: anni dopo finiranno entrambi a processo per associazione mafiosa.
“Si è già evidenziato come il Gaeta abbia, tra l’altro, dato un contributo personale alle vicende attraverso cui si svolgeva la guerra di Mafia, utilizzando la sua qualità di presidente dell’Ata per mettere a disposizione mezzi aerei, in particolare l’aereo I-Snaf personale di Silvio Bonetti, per consentire gli spostamenti di Tommaso Buscetta, all’epoca latitante, da e per Palermo… o per consentire la fuga del Salvo (i potenti esattori mafiosi ndr)… Non c’è dubbio che il Bonetti, in questo frangente, non potesse opporsi alle esigenze del Gaeta… pur essendo naturalmente preoccupato”, scrive il giudice istruttore Felice Isnardi nell’ordinanza-sentenza con cui li manda a giudizio.
Bonetti, però, contesta quella ricostruzione, sostenendo che l’aereo usato per i viaggi dei boss mafiosi e dei loro parenti non è solo suo, ma è in comproprietà con Renato Della Valle, un imprenditore molto noto a Milano, che è stato amico e socio di Berlusconi. Un’affermazione non riscontrata: “Pur prendendo atto di questa notizia, che si trasmette al Pm per quanto di sua eventuale competenza – scrive il giudice Isnardi – si osserva che comunque le dichiarazioni di Tullio Tavolato sono precise nell’indicare il Gaeta quale mandante di quei voli utilizzati dal Buscetta, dai suoi familiari o dal Salvo, e il Bonetti quale persona che lo autorizzava”.
Di sicuro c’è solo che quei viaggi coi mafiosi a bordo, con la cloche in mano al futuro pilota di Berlusconi, arrivavano a Punta Raisi, il vecchio nome dello scalo di Palermo: nessuno all’epoca avrebbe mai ipotizzato che un giorno sarebbe stato intitolato a Falcone e Borsellino.
Una scelta bocciata da Gianfranco Micciché, storico viceré di Forza Italia in Sicilia: “Io – disse – l’aeroporto di Palermo lo intitolerei ad Archimede o ad altre figure della scienza, positive. Così è una scelta di marketing sbagliata”. Si suppone che oggi per Micciché intitolare l’aeroporto di Malpensa a Berlusconi sia invece una scelta di marketing giusta.