Nostalgia di Silvio? Ecco i protagonisti del suo sistema criminale
A ogni censura, a ogni dichiarazione, a ogni inchiesta, oggi parte l’operazione nostalgia: ah come si stava bene quando si stava male, ah com’era meglio Berlusconi in confronto a questi qua di oggi. Pessima consigliera, la nostalgia. Fa perdere la memoria, fa dimenticare com’era davvero, il ventennio berlusconiano. Forse anche perché i nostalgici di oggi erano pronti a chiudere un occhio già ieri, quando era Berlusconi a fare le censure, a lanciare gli editti bulgari, a compiere reati e quando erano i suoi uomini a finire sotto inchiesta e dentro una cella.
Ora l’arresto, seppur domiciliare, è toccato a Giovanni Toti, che per una fase fu il delfino di Silvio – uno dei tanti bruciati dalla troppa vicinanza all’uomo che aveva il sole in tasca. Ma era Marcello Dell’Utri “meglio di questi qua di oggi”? Uomo pieno di ottime relazioni, riceve nel suo ufficio boss di Cosa nostra come Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e perfino il capo dei capi Stefano Bontate (1974), va a cena a Milano alle Colline Pistoiesi per festeggiare il compleanno del boss catanese Nino Calderone (1977), partecipa a Londra al matrimonio di Girolamo Fauci detto Jimmy, narcotrafficante palermitano con base in Gran Bretagna (1980). Condannato a 7 anni per concorso esterno a Cosa nostra, Dell’Utri è stato il collegamento tra l’organizzazione mafiosa e Berlusconi.
Altro stile, nessuna esibizione di libri antichi, per Denis Verdini, macellaio di successo prestato alla politica, ma sempre con grande passione per gli affari. È finito dentro una serie infinita d’inchieste, dalla P3 alla P4, dalla Consip alla Loggia Ungheria, per poi finire ospite intermittente del carcere di Solliciano, dopo le condanne definitive per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino (6 anni), per il fallimento della Società toscana edizioni (5 anni e 6 mesi), per il crac di una società edile fiorentina (3 anni e 10 mesi).
Che il sistema berlusconiano si avvalesse di consulenti degni di un sistema criminale è confermato anche dalla storia di Cesare Previti. Un avvocato di cui, più che le arringhe, si ricordano frasi del tipo “A Rena’, te stai a dimentica’ questa”, riferita a una busta gialla piena di soldi, preparata per il giudice Renato Squillante al circolo Canottieri Lazio. Riuscì a fare solo pochi giorni a Rebibbia, malgrado le condanne definitive per corruzione giudiziaria nei processi Imi-Sir (6 anni) e Lodo Mondadori (1 anno e 6 mesi) per aver ottenuto con i soldi di Berlusconi, invece che le sue arringhe, sentenze favorevoli al più illustre dei suoi clienti.
Aldo Brancher è cresciuto con la Fininvest, ma è inciampato nel 1993 in Mani pulite, arrestato per falso in bilancio e illecito finanziamento ai partiti. Berlusconi lo premia e lo porta con sé al governo nel 2001 e nel 2010. L’anno dopo ci ricasca e viene infine condannato a 2 anni per ricettazione e appropriazione indebita nella vicenda delle scalate bancarie dei “furbetti del quartierino”.
Per Roberto Formigoni, berlusconiano riluttante, la detenzione presso il carcere di Bollate è durata solo 5 mesi, malgrado la condanna per corruzione a 5 anni e 10 mesi. Lui la racconta come “una sentenza politica senza colpa e senza prova”. Per i giudici, invece, da presidente della Regione Lombardia ha sottratto alle casse pubbliche circa 200 milioni di euro, concessi alla Fondazione Maugeri con delibere su misura. In cambio, Daccò, l’amico faccendiere, gli ha restituito 6 milioni: in viaggi, vacanze, yacht, cene, regali, uno sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna.
Le sponde al Sud di Berlusconi sono state, in Sicilia, Antonio D’Alì, senatore di Forza Italia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per i rapporti con Cosa nostra, e Totò Cuffaro, condannato a 7 anni per favoreggiamento di persone appartenenti a Cosa nostra. In Calabria, Amedeo Matacena, 5 anni per concorso esterno alla ’ndrangheta. In Campania, Nicola Cosentino, 10 anni per concorso esterno in Camorra.
Al Nordest, ci ha pensato Giancarlo Galan, uomo di Publitalia diventato presidente del Veneto, ma poi travolto dall’acqua alta delle inchieste per corruzione sul Mose di Venezia. Al Nordovest, Claudio Scajola, ras della politica a Imperia, ha regalato all’Italia un topos che resterà nella storia: case e tangenti pagate “a sua insaputa”.