Nuovo bavaglio. Caselli: “La democrazia mutilata”
Un nuovo bavaglio, quello che vuole impedire la pubblicazione delle ordinanze cautelari: “I bavagli sono fatti apposta per favorire la sonnolenta tranquillità, antitesi di una buona informazione che voglia denunziare ogni ingiustizia”. Così commenta la proposta Gian Carlo Caselli, già procuratore della Repubblica a Palermo e a Torino. Alla riforma che vieterà di rendere pubblico, sia in versione integrale sia per estratto, il testo delle ordinanze di custodia cautelare, fino alla conclusione delle indagini, si sono opposti i giornalisti, che hanno proposto di disertare la conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Contrari anche alcuni magistrati, come il procuratori della Repubblica di Perugia, Raffaele Cantone, che l’ha giudicata “né utile, né opportuna”. Il procuratore di di Potenza, Francesco Curcio, ha osservato che “le ordinanze non sono secretate, la loro conoscibilità resta possibile”. Quello di Palmi, Emanuele Crescenti, ha dichiarato: “Voglio vedere se qualcuno oserà mettere sotto processo un giornalista perché ha pubblicato un fatto vero”. L’ex giudice della Corte costituzionale, Paolo Maddalena, l’ha definita “norma incostituzionale, se fossi il presidente Sergio Mattarella rimanderei indietro la legge alle Camere”. Nella stessa linea si muove anche Caselli.
Come giudica la nuova proposta di riforma della giustizia?
La giustizia italiana (parlo in particolare di quella penale, che dovrei conoscere meglio) non funziona. Arranca sempre più. Raramente riesce ad assolvere i propri compiti: garantire i diritti dei cittadini e il rispetto delle regole di convivenza civile. Le disfunzioni sono tante: un processo farraginoso e incomprensibile, costi e tempi elevatissimi, trattamenti diseguali tra “chi può” e chi no (e una disciplina della prescrizione inesorabilmente vincolata alla perpetuazione di questo schema).
Colpa dei magistrati?
Il non funzionamento della giustizia viene addebitato all’incapacità o all’ignavia della “casta” dei magistrati, i “manovratori” del congegno con i quali è fisiologico prendersela, soprattutto se nella stessa direzione soffia impetuoso, da Berlusconi fino ad oggi, un vento ostile sostenuto da massicce campagne condotte senza risparmio di uomini e media. Mi chiedo ancora una volta quanti siano nel nostro Paese a stracciarsi le vesti per l’inefficienza della giustizia, mentre in cuor loro tifano per una “inefficienza efficiente”, nel senso di funzionale al mantenimento dei loro privilegi al riparo da ogni controllo di legalità, parola questa che solo a pronunziarla gli viene l’orticaria.
Dentro il centrodestra si sostiene che non pubblicare le ordinanze di custodia è una protezione dei diritti degli accusati.
Oggi piove sul bagnato, con il bavaglio che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini. Non è solo un grave vulnus sul piano tecnico-giuridico (da contrastare anche perché potrebbe essere l’avvio di una slavina). È ben di più. La vera democrazia deve garantire spazi effettivi anche alle minoranze. Altrimenti, se la maggioranza si prende tutto, l’alternanza, che è il dna della democrazia, viene ridotta a simulacro e la vita sociale e civile ne esce mutilata. Tali spazi dipendono tra l’altro dall’effettività del controllo sociale e del controllo di legalità. Controllo sociale significa informazione pluralista e indipendente (e sul punto il bavaglio opera come moltiplicatore di tendenze già in atto, ben descritte da Antonio Padellaro nell’articolo Occupare potere ragione sociale di questa destra). Mentre controllo di legalità significa magistratura autonoma e indipendente, proprio quella che viene costantemente osteggiata quando vi siano in gioco interessi “sensibili” per chi può e conta.
Alcuni capi delle Procure italiane si sono detti contrari a questo bavaglio.
Gli ex colleghi magistrati che hanno annunziato che non rispetteranno il divieto, ritenendolo contra legem, hanno scelto la coerenza. Brutti tempi quelli in cui a un giudice – per far bene il suo mestiere – non bastano onestà e preparazione professionale, ma occorre anche dar prova di combattività e coraggio.
Anche alcuni giornalisti hanno annunciato la loro disobbedienza civile a questa legge.
Dedico loro una frase di una omelia di don Tonino Bello intitolata Buon Natale, recando disturbo: “La pace annunziata dagli angeli porti guerra alla sonnolenta tranquillità, incapace di vedere che – poco lontano di una spanna – si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si condannano popoli allo stermino per fame”. Ecco, la sonnolenta tranquillità è l’antitesi di una buona informazione che voglia denunziare ogni ingiustizia e i bavagli sono fatti apposta per favorirla.