L’ormai iconico urlo di trionfo del sindaco Giuseppe Sala al momento dell’annuncio che Milano (con Cortina) aveva vinto la gara per ospitare le Olimpiadi invernali 2026 si sta trasformando in un ghigno preoccupato. I lavori sono in ritardo, i costi sono già aumentati del 30 per cento, gli sponsor tardano ad arrivare, i privati intanto vengono a batter cassa, chiedendo soldi alle amministrazioni pubbliche, al Comune di Milano, alle Regioni Lombardia e Veneto, al governo. Un disastro annunciato. Che nei prossimi mesi è destinato a crescere.
Gli sponsor. Finora sono solo sei (ultimi arrivi: Eni e Grana Padano), con un impegno di circa 70 milioni. Ben lontano dall’obiettivo fissato, di oltre 500 milioni, necessario per coprire almeno un terzo del bilancio totale, di 1,5 miliardi (gli altri soldi dovrebbero arrivare per 500 milioni dal Cio, il comitato olimpico, e per altri 500 dal merchandising).
Gli impianti. Non si sa chi realizzerà la struttura per il pattinaggio di velocità, dopo la rinuncia del Comune di Baselga di Piné (Trento) spaventato dall’aumento dei costi, arrivati a 75 milioni. Del 30 per cento lievitati anche i costi per la ristrutturazione della pista di bob di Cortina. A Milano va anche peggio. L’hockey maschile dovrebbe essere ospitato dal Palaitalia, da costruire a Santa Giulia – secondo le promesse – con soldi privati (180 milioni da Risanamento spa e Cts Eventim). Ma i costi sono già cresciuti fino a 235 milioni e i privati cominciano a chiedere, come previsto, l’aiutino pubblico. Extracosti (10 milioni) anche per riadattare e ampliare il Palasharp di Milano, che dovrà ospitare l’hockey femminile.
Il villaggio olimpico. Sui terreni di Porta Romana si giocherà la partita più interessante (e remunerativa) delle Olimpiadi. Il Comune di Milano si è spogliato di ogni diritto a pianificare e organizzare gli interventi urbanistici: pieni poteri ai privati di Coima (Manfredi Catella), in alleanza con Prada e Covivio (Del Vecchio). Potranno fare quello che vogliono. Edificheranno il villaggio olimpico, ma i costi sono già ora lievitati a 150 milioni, con un aumento di oltre il 20 per cento. Indovinate la reazione di Coima-Prada-Del Vecchio? Forse attingere ai profitti fin qui incamerati anche grazie alla generosità delle pubbliche amministrazioni, Comune di Milano compreso? No. Chiedere invece soldi pubblici a Comune di Milano e Regione Lombardia, “tenuto conto della rilevanza del progetto per il Paese”. È il libero mercato alle vongole: quando c’è da fare profitti, viva l’iniziativa privata; quando arrivano le difficoltà, si bussa ai denari pubblici. Che cosa risponderà Sala?
I soldi. Poiché non basteranno, da qui al 2026, i privati andranno a batter cassa anche a Roma, al governo. Ci stanno già facendo un pensierino a proposito della “Foresta sospesa”, la passerella verde ciclo-pedonale collocata sopra la linea ferroviaria che dovrebbe unire piazzale Lodi a via Ripamonti. È il solito verde farlocco, decorativo e non profondo, con cui a Milano si tenta di coprire e abbellire il cemento. Ma era comunque un progetto per uso pubblico, che i privati dovevano realizzare a loro spese, per compensare i generosi regali ottenuti dall’amministrazione. Invece ora dicono che si tratta di “un’opera pubblica” e dunque invocano i soldi del Pnrr.
Il futuro. Costruire, costruire, costruire. Residenze, alberghi, uffici. È questa l’“attrattività” di Milano, che attira i ricchi e caccia poveri e ceto medio. Ma il mercato immobiliare si è fatto più difficile dalla metà del 2022, a causa dell’inflazione e del conseguente rialzo dei tassi di interesse, ma anche dello smart working che fa calare la domanda di uffici. I dati cominciano a mostrare le prime crepe, che dopo le Olimpiadi del 2026 potrebbero diventare voragini.
È il libero mercato alle vongole: quando c’è da fare profitti, viva l’iniziativa privata; quando arrivano le difficoltà, si bussa ai denari pubblici