Archiviata l’indagine su Greco, “la sua Procura non fu inerte”
La posizione di Francesco Greco, fino a novembre 2021 procuratore della Repubblica a Milano e indagato dalla Procura di Brescia per omissione d’atti d’ufficio, deve essere archiviata per “l’evidente insussistenza del fatto ipotizzato”. Dai fatti, “si staglia con evidenza la radicale infondatezza dell’originaria ipotesi d’accusa”. A scriverlo è il giudice bresciano Andrea Gaboardi, accogliendo la richiesta d’archiviazione della Procura e asfaltando, in 27 pagine, le accuse che erano state avanzate dal pm Paolo Storari di “non aver iscritto tempestivamente una notizia di reato a seguito delle dichiarazioni, a lui note, rese da Piero Amara”, l’avvocato esterno dell’Eni che tra il 6 dicembre 2019 e l’11 gennaio 2020 aveva rivelato allo stesso Storari e al procuratore aggiunto Laura Pedio “l’esistenza di una presunta loggia coperta denominata Ungheria”.
Il giudice Gaboardi ricostruisce i fatti, dalle dichiarazioni di Amara alla sua iscrizione nel registro degli indagati, il 12 maggio 2020, e conclude che non ci sono stati né inerzia investigativa, né opposizione alle indagini, né ritardo nell’iscrizione. Tenuto anche conto che l’11 febbraio 2020 Amara viene incarcerato per altre vicende e che dall’8 marzo al 1 maggio l’Italia intera si ferma per il lockdown.
A causa dell’“immobilismo dei colleghi”, Storari “nella prima decade del mese di aprile del 2020 si rivolgeva informalmente a Piercamillo Davigo, all’epoca componente del Consiglio superiore della magistratura”, fornendogli copia degli interrogatori segreti di Amara che poi, per altre vie, arriveranno al Fatto e a Repubblica. Solo “il 27 aprile 2020 Storari scriveva di nuovo alla collega Pedio, trasmettendole in allegato una proposta di scheda di iscrizione a carico di taluni nominativi (Caratozzolo Enrico, Caruso Luigi Pietro Maria, Giordano Francesco Paolo, Mancinetti Marco, Padalino Andrea, Patroni Griffi Filippo, Valori Giancarlo Elia e Vietti Michele Giuseppe)”.
Seguono interlocuzioni e incontri, fino all’8 maggio 2020, quando “Storari e Pedio, dopo ampio confronto tra loro e con il vertice dell’ufficio, si sarebbero determinati per l’iscrizione di alcuni nominativi”. Quelli di Amara, Giuseppe Calafiore e Alessandro Ferraro, “soggetti che si erano autoaccusati di aver fatto parte della loggia Ungheria e che erano stati inspiegabilmente ignorati nella scheda di iscrizione in precedenza predisposta dal sostituto Storari”.
Il giudice archivia anche perché comunque, “prima dell’iscrizione, occorreva verificare la complessiva attendibilità del dichiarante” e “delineare… le singole fattispecie oggetto di addebito”. “Orbene, a fronte di tali evidenti esigenze istruttorie, non può certo affermarsi che l’ufficio requirente milanese sia rimasto inerte”.
Il giudice rileva invece “l’arbitrarietà e l’evanescenza dei criteri adottati da Storari per selezionare i nominativi dei presunti correi nella scheda da lui abbozzata nell’aprile 2020. Escono, pertanto, smentite o comunque grandemente ridimensionate”, continua il giudice, “le propalazioni accusatorie di Storari (soggetto tutt’altro che disinteressato all’esito del presente procedimento) in ordine a presunti ritardi e/o inerzie dei vertici della Procura” e che ha “egli stesso indagato in prima persona (e in palese conflitto di interessi) sulla violazione del segreto investigativo emersa grazie alla denuncia di Massari” (il giornalista del Fatto che nell’ottobre 2020 aveva portato in Procura i verbali di cui si poteva ipotizzare la provenienza illegale).