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Uno/Gare impossibili, lo dice il patto con la Francia
Continua dentro il governo la fibrillazione sul Tav Torino-Lione. E fuori dal governo continua l’assedio delle opposizioni (Pd e Forza Italia) che si schierano con la Lega per il sì all’opera. L’analisi della commissione tecnica, che ha calcolato in -7 miliardi le differenze tra costi e benefici, è addirittura “una pagliacciata” per Alessia Rotta, vicepresidente vicaria dei deputati del Pd. Nessuno però presenta numeri alternativi capaci di dimostrare che il Tav serva davvero. E una richiesta di “supplemento d’indagine” da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte diventa incredibilmente sui giornali “la svolta di Conte sulla Tav”.
Il Mini-Tav non esiste.
Quello che appare comunque certo è che “il mini-Tav” non esiste: è presentato come il compromesso che sarebbe capace di mettere d’accordo tutti, ma il Tav è il tunnel di base (costo: 9,63 miliardi). O si fa, o non si fa. O serve, o non serve. Risparmiare qualcosa (in ipotesi: 1,7 miliardi) sulle linee d’accesso al tunnel, per realizzare il cosiddetto “mini Tav”, non solo cambia poco le cifre finali, ma è addirittura controproducente: una volta scavato il tunnel, è necessario avere una linea d’accesso adeguata, altrimenti si otterrà l’effetto Brebemi (la Milano-Brescia che è stata per anni un’autostrada velocissima ma deserta e difficile da raggiungere perché non raccordata né a Milano, né a Brescia). Qualcuno propone il trucco contabile di considerare, per ricalcolare i costi e i benefici, solo i costi italiani. Il risultato finale non cambia: restano superiori ai benefici di 3,5 miliardi.
È possibile bandire “gare senza seguito”?
Intanto l’11 marzo il consiglio d’amministrazione di Telt (la società italo-francese che deve realizzare il Tav) ha intenzione di far partire le prime gare d’appalto per il tunnel. Per il ministro italiano delle Infrastrutture Danilo Toninelli si può fare, “tanto in base alla legge francese si può sempre revocare la gara”.
Ma sarebbe un suicidio, argomenta il professor Sergio Foà dell’Università di Torino: “Anche se sul lato francese il Code de la commande publique consente le ‘procedure senza seguito’ per ragioni di interesse pubblico, l’applicazione di quella norma è difficile, perché impone di dimostrare che è sopravvenuta una situazione per la quale si interrompe la procedura. Ciò rischia di alimentare contenziosi da parte delle imprese interessate”.
Aggiunge l’Avvocato dello Stato a cui era stata chiesta dal ministero una Relazione tecnico-giuridica: “Uno stop unilaterale potrebbe non integrare il contenuto di un nuovo motivo di interesse generale”. Chiosano gli esperti della Commissione tecnica Torino-Lione: “Gli appalti Telt attualmente in questione sono di circa 2,3 miliardi di euro. Tenuto conto della concreta possibilità di ingenerare contenziosi e potenziali risarcimenti a diretto carico dello Stato, appare del tutto evidente che un lancio delle procedure d’appalto in queste condizioni avvierebbe un processo che porterebbe, di fatto, irreversibilmente all’aggiudicazione e all’avvio dei lavori di scavo del tunnel di base, senza alcuna reale possibilità da parte dell’Italia di retrocedere da tale decisione”.
Gare impossibili: la Francia non ha messo i soldi.
Ma c’è un documento di nove pagine che sta intanto girando sulle scrivanie del ministero delle Infrastrutture. Intitolato “Condizioni vincolanti per l’avvio dei lavori del tunnel di base” e redatto dai professori del Politecnico di Torino che fanno parte della Commissione Torino-Lione, arriva a una conclusione clamorosa: l’11 marzo il cda della Telt non potrà lanciare le gare, in forza di un articolo della convenzione tra Italia e Francia sulla Torino-Lione che riguarda i finanziamenti dell’opera.
La realizzazione della sezione transfrontaliera, cioè il tunnel di base, è regolata dagli accordi internazionali stipulati tra Italia e Francia a partire dal 2001. Le regole da applicare a ciascuna delle fasi di attuazione sono stabilite nell’Accordo italo-francese del 30 gennaio 2012, ratificato dal Parlamento italiano e da quello francese. Ebbene, l’articolo 16 dell’Accordo recita: “La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale”.
Questa condizione preliminare non si realizza, perché i finanziamenti non sono a tutt’oggi disponibili. L’Italia è in questa partita il giocatore più virtuoso, perché per il tunnel di base ha già stanziato 2,63 miliardi, assegnati dalla legge di stabilità 2013 (governo Monti) e approvvigionati in quote annuali nel bilancio dello Stato tra il 2015 e il 2027. L’Unione europea, dopo i finanziamenti per gli studi e i lavori preliminari, ha messo a disposizione per il tunnel 0,57 miliardi.
Lo Stato francese, zero: nessuna programmazione futura su base pluriennale da parte dell’agenzia pubblica Afitf, che ha pagato i lavori avviati finora. Dunque dei 9,63 miliardi di costi quantificati dal Cipe nel 2016, l’Italia ha messo a disposizione il 27 per cento, l’Unione europea il 6 per cento, la Francia nulla.
“Nell’attesa della positiva verifica della condizione preliminare della disponibilità del finanziamento”, conclude la Commissione tecnica, “in ottemperanza a quanto prescritto dall’Accordo 2012 all’art. 16, non è possibile avviare i lavori definitivi di realizzazione della sezione transfrontaliera”. Quindi Telt si deve fermare e il problema dovrà essere prima affrontato dalla Cig, la Commissione intergovernativa Italia-Francia. (Il Fatto quotidiano, 2 marzo 2019)
Due/Il governo non sa come fermare le gare
La partita sul Tav s’ingomitola ogni giorno di più, mentre s’avvicina la data fatidica dell’11 marzo in cui si riaprirà a Parigi il consiglio d’amministrazione di Telt, la società dei governi italiano e francese che ha l’incarico di costruire la Torino-Lione. Quel giorno il cda lancerà i primi due bandi di gara per la realizzazione del tunnel: riguardano l’intero tratto francese del traforo, i tre quarti dell’opera, 45 dei 57,5 chilometri totali, del valore di 2,3 miliardi di euro. Sarà la vera partenza del Tav: finora sono stati realizzati solo studi e scavi preparatori.
Per fare il miracolo, dopo vent’anni di studi, proteste, modifiche e rinvii, c’è voluto un governo con dentro i No-Tav e un ministro delle Infrastrutture Cinquestelle. Danilo Toninelli ha ribadito la sua personale contrarietà alla Torino-Lione, come il Movimento da cui proviene, che ha sempre ritenuto l’opera uno spreco ingiustificato. Le fredde cifre dell’analisi costi-benefici hanno confermato la non utilità del Tav.
E anche Davide Casaleggio, presidente dell’associazione Rousseau, ieri ha ribadito che “il tema è già stato dibattuto anni e anni con gli iscritti e la soluzione e il punto d’arrivo è sempre stato lo stesso. Penso che la base su questo tema abbia sempre espresso la propria opinione in modo univoco”.
Il Movimento 5 stelle ha smentito l’ennesima bufala circolata nei giorni scorsi, secondo cui Luigi Di Maio sarebbe preoccupato per un sondaggio riservato che rivelerebbe che la maggioranza degli elettori pentastellati sarebbe favorevole alla Torino-Lione. “Nessun dossier segreto, i due terzi degli elettori M5s sono contrari, solo il 18 per cento è favorevole”.
Eppure lunedì 11 partiranno i primi bandi. Toninelli si dice convinto che, secondo le norme francesi, gli appalti potranno comunque essere in seguito bloccati. Non sono dello stesso parere gli esperti consultati finora, che ritengono difficile fermare unilateralmente, adducendo “motivi d’interesse generale”, le gare una volta avviate. L’Avvocato dello Stato a cui era stata chiesta dal ministero una relazione tecnico-giuridica aveva sostenuto che uno stop da parte dell’Italia “potrebbe non integrare il contenuto di un nuovo motivo di interesse generale”.
E gli esperti della Commissione tecnica Torino-Lione avevano aggiunto che i rischi di contenziosi e le possibili richieste di risarcimenti a carico dello Stato rendono irreversibili le procedure d’appalto, dopo il loro lancio. Ora Toninelli sembra orientato a chiedere un nuovo parere all’Avvocatura dello Stato: sulla possibilità di bloccare gli appalti dopo aver lanciato le gare; e anche sul problema sollevato dalla Commissione tecnica Torino-Lione e raccontato ieri dal Fatto quotidiano: le gare non potrebbero essere bandite, in forza dell’articolo 16 dell’Accordo italo-francese del 30 gennaio 2012 ratificato dai Parlamenti italiano e francese.
Dice che “l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale” non può avvenire senza “una condizione preliminare”: la disponibilità del finanziamento per realizzare l’opera. La disponibilità non c’è: dei 9,63 miliardi di costi del tunnel, quantificati dal Cipe nel 2016, l’Italia ha messo a disposizione 2,63 miliardi, il 27 per cento, l’Unione europea 0,57 miliardi, il 6 per cento, ma la Francia non ha ancora deciso alcuna programmazione futura su base pluriennale per i finanziamenti che, finora, sono arrivati attraverso l’agenzia pubblica Afitf.
Più secca la posizione del ministero del Tesoro, il cui ruolo nella partita Tav è ancor più determinante, visto che è quello che ci mette i soldi. Ritiene che le gare non possano essere fermate, per non mettere a rischio i finanziamenti dell’Unione europea. Lo aveva ribadito seccamente il rappresentante della Commissione europea nel cda Telt del 19 febbraio: “Condizione per la conferma dell’intera contribuzione di 813 milioni di euro” è “la tempestiva pubblicazione dei bandi, mentre in caso contrario verrà applicata una riduzione di 300 milioni”.
In queste condizioni, dicono al Tesoro, i membri del cda Telt di nomina italiana (cinque su dieci) non possono bloccare le gare, con il rischio di essere domani chiamati a rispondere di danno erariale. Per fermare il treno degli appalti, concludono al Tesoro, ci vorrebbe una legge votata dal Parlamento italiano che faccia uscire ufficialmente l’Italia dalla partita Tav. Ma per questa legge i voti in Parlamento non ci sono: i Cinquestelle sarebbero soli contro tutti. (Il Fatto quotidiano, 3 marzo 2019)