POLITICA

E Milano votò (a porte chiuse) che Ruby Cocco è la nipote di Mubarak

E Milano votò (a porte chiuse) che Ruby Cocco è la nipote di Mubarak

Lunedì 27 febbraio 2017 è successa a Milano (città meravigliosa, il migliore dei mondi possibili) una cosa che non accadeva dal 1993: il Consiglio comunale si è riunito a porte chiuse e si è espresso a voto segreto. Bisogna tornare alla Milano di Tangentopoli, scossa dall’inchiesta Mani pulite, per trovare qualcosa di simile. Che vergogna. Il Comune “casa di vetro” è stato blindato per impedire alla stampa e ai cittadini di assistere al dibattito dei consiglieri eletti dai milanesi. Perchè? Per quale argomento sensibile? Per quale caso di coscienza? La dichiarazione dei redditi di un assessore.

Roberta Cocco, manager Microsoft in aspettativa, aveva rifiutato a lungo di renderla pubblica e quando lo ha fatto, dopo parecchi errori e correzioni, ha rivelato di essere anche azionista della multinazionale, con in tasca titoli per 3,6 milioni di euro. Una oggettiva, indiscutibile situazione di conflitto d’interessi, perché una manager e azionista di Microsoft si troverà a dover gestire gare milionarie che avranno Microsoft tra i partecipanti. Per questo le opposizioni hanno proposto una mozione di censura. Bocciata. Senza una crepa nella maggioranza, 27 no su 27 presenti. Come il Parlamento prese per buona che Ruby fosse la nipote di Mubarak, così il Pd milanese ha fatto finta di credere che il conflitto d’interessi di una manager Microsoft e azionista Microsoft, che darà appalti a Microsoft, non esista.

Lei, Roberta Cocco, ha fatto finta di non sapere che il conflitto d’interessi è una situazione oggettiva, non una propensione malvagia dell’essere. Se l’è presa con chi “scatena giudizi a priori su persone che hanno fatto dell’onestà un elemento fondante della loro vita”. Nessuno ha scatenato giudizi su nessuno, naturalmente. Qualcuno ha semplicemente constatato una situazione oggettiva. Di peggio hanno fatto i 27 che hanno fatto finta di non sapere, di non vedere, di non capire. Tante persone per bene, che strillavano quando il conflitto d’interessi era di Silvio Berlusconi e che ora dimenticano la loro storia e la loro dignità. Tutti a far quadrato attorno al sindaco Giuseppe Sala che ha blindato Cocco e non vuole disturbi e non tollera incrinature.

Tutti soldatini disciplinati, pronti a votare che la loro Ruby del marketing elettronico multinazionale è nipote di Mubarak. Anche persone con una storia gloriosa alle spalle, come Carlo Monguzzi, che ha partecipato a tante battaglie di libertà. Come David Gentili, che ha ben guidato la Commissione antimafia e ora si trova ad arrampicarsi sugli specchi con spiegazioni imbarazzanti. La “mozione di censura al comportamento dell’assessore Cocco” sarebbe, per Gentili, “superata dagli eventi, una volta pubblicati i dati”. In verità, i dati hanno provato e raddoppiato il conflitto d’interessi, mostrando che la manager era anche azionista. “Un errore prevedere nella legge una multa per chi decide di non rendere pubblici i propri redditi e il proprio patrimonio. Se è obbligo, questo non può essere monetizzato”. Quindi niente multa e niente sanzioni, oppure pena di morte?

Ma il meglio del Gentili-pensiero arriva ora: “Tutti possono avere un potenziale conflitto di interesse”. Ma di cosa farnetica? Giuliano Pisapia non aveva conflitti d’interesse, la sua giunta non aveva conflitti d’interesse. Possono averne Giuseppe Sala e il suo assessore-socio Roberto Tasca, ce l’ha certamente Ruby Cocco, ma non “tutti” (e dunque nessuno). Che tristezza vedere il Consiglio comunale di Milano trasformato in un consiglio d’amministrazione a porte chiuse. Che tristezza vedere persone per bene senza il coraggio di dire quello che pensano, sperando che le porte chiuse di Palazzo Marino si chiudano anche sulla loro coscienza.

Il Fatto quotidiano, 3 marzo 2017 (versione estesa)
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