Le altre indagini del sindaco Sala
Gli incontri ravvicinati di Giuseppe Sala con la magistratura milanese sono stati tanti e non senza brividi, prima di quest’ultimo sul Sistema Milano che lo vede indagato insieme al suo assessore Giancarlo Tancredi e al principe degli immobiliaristi Manfredi Catella.
Il primo riguardava una dimenticanza dell’allora amministratore delegato di Expo: nel febbraio 2015 non aveva dichiarato in modo chiaro e completo le sue proprietà e le sue attività economiche e finanziarie, com’è obbligatorio per i manager pubblici. La firma di Sala appariva sotto la frase: “Sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero”. Ma in verità aveva fatto qualche pasticcio.
Aveva dichiarato di possedere un “terreno” a Zoagli, in Liguria, che in realtà era una villa, e per di più sistemata dagli architetti Michele De Lucchi e Matteo Gatto, che lui aveva fatto lavorare (ben remunerati) per Expo. Aveva anche dimenticato di dichiarare una casa a Pontresina, in Svizzera, nei pressi di Sankt Moritz. E non aveva segnalato le sue aziende: il 20% di Kenergy Spa in Italia e il 18% di Tunari Real Estate in Romania. “Semplice dimenticanza”, si scusò. E i giudici archiviarono.
Diventato sindaco, la Procura generale fa saltare quella che è stata chiamata “moratoria Expo” e che Matteo Renzi ha definito “sensibilità istituzionale” da parte della Procura allora guidata da Edmondo Bruti Liberati. È la Procura generale, infatti, che avoca le inchieste della Procura ritenuta “inerte”, iscrive Sala nel registro degli indagati e segnala ben dodici ipotesi di reato per il più grande appalto di Expo, quello sulla “piastra” dell’esposizione (272 milioni di euro).
Dopo indagini difficili, sopravvivono soltanto due ipotesi di reato: la turbativa della gara per l’acquisto degli alberi da piantare nell’esposizione; e il falso in atto pubblico per aver retrodatato il documento che nomina due commissari supplenti per la gara della “piastra”. Nel luglio 2019 Sala viene condannato in primo grado a 6 mesi di reclusione, trasformati in una multa da 45 mila euro, per falso ideologico e materiale.
Erano mesi in cui i politici e i giornali, di destra e di sinistra, erano scatenati contro la sindaca Cinquestelle di Roma Virginia Raggi. A Milano, nessuna polemica, nessuna accusa al sindaco condannato. Due pesi e due misure. Nell’ottobre 2020 la Corte d’appello dichiara prescritto il reato, ribadendo però “la pacifica falsità della data sugli atti oggetti d’imputazione”, e sottolineando che “il falso in oggetto non può neppure essere ritenuto innocuo e di conseguenza privo di rilevanza penale”.
Cadono, nel 2018, le accuse di turbativa d’asta e di abuso d’ufficio per lo strano affidamento degli alberi Expo. “Il fatto non sussiste”. Restano i fatti: Sala concorda con la società Mantovani, senza gara, la fornitura di alberi per 4,3 milioni di euro (circa 716 euro a pianta). La Mantovani li compra in un vivaio a meno di 1,6 milioni (266 euro a pianta). Un danno erariale di 2,2 milioni di euro, secondo una prima ipotesi della Procura della Corte dei conti. Archiviata rapidamente anche l’indagine (aperta dopo alcuni articoli del Fatto) sui ristoranti di Expo, affidati senza gara da Sala al grande amico e finanziatore di Renzi, Oscar Farinetti.
È finita con un’assoluzione – ma del direttore del Fatto, Marco Travaglio – la vicenda del finanziamento elettorale a Sala, 50 mila euro, erogato dal costruttore Luca Parnasi (tramite la madre) durante la campagna elettorale del 2016. Travaglio aveva scritto: “Il nome di Sala è nelle carte: 50 mila euro che ha preso da un costruttore che parlava con lui dello stadio del Milan in pieno conflitto di interessi e lo ringraziava dicendosi gratissimo con lui”. Poi Parnasi non costruì lo stadio del Milan e Sala querelò il direttore del Fatto. Assolto dalla Cassazione.
