GIUSTIZIA

Eni-Congo. Verso la conclusione delle indagini per i manager

Eni-Congo. Verso la conclusione delle indagini per i manager Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Roma Economia Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Claudio Descalzi (ad Eni) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Rome (Italy) Tv program "In Mezz'Ora" In the photo Claudio Descalzi (ceo Eni)

di Gianni Barbacetto e Stefano Vergine/

Chiuso, con un’assoluzione in primo grado, il processo per la presunta corruzione internazionale in Nigeria, resta aperto per Eni il procedimento per le corruzioni in Congo. Già sanata la posizione della società: uscita dall’inchiesta nel marzo 2021 con un patteggiamento che ha comportato il pagamento di 11,8 milioni di euro e il cambiamento del reato contestato, da corruzione internazionale alla più lieve “induzione indebita internazionale”. Nelle prossime settimane la Procura di Milano chiuderà l’indagine a carico delle persone fisiche, tra cui l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.

La società. “Non deve essere pronunciata una sentenza di proscioglimento… esistendo sufficienti elementi circa la sussistenza del fatto”: così scrive la giudice Sofia Fioretta nella sentenza di patteggiamento. Il “fatto” è che quattro persone, tra cui l’ex numero due di Eni, Roberto Casula (oggi uscito dal gruppo), hanno “ottenuto da pubblici ufficiali congolesi quote di permessi di sfruttamento petrolifero a favore di Eni, dopo essere stati indotti a corrispondere ai predetti pubblici ufficiali utilità consistite nel consentire l’ingresso di società private, riconducibili ai medesimi pubblici ufficiali, nei permessi di sfruttamento petrolifero”.

Dunque Eni, “a condizioni estremamente più vantaggiose rispetto alle condizioni contrattuali e tributarie precedenti”, ha ottenuto dal consigliere petrolifero del dittatore congolese Sassou Nguesso, Denis Gokana, il rinnovo di quattro licenze petrolifere (Marine VI e Marine VII, Southern Sector e Madigno). In cambio, la società di Stato italiana ha ceduto parte delle sue quote in questi giacimenti (per un valore di 77 milioni di dollari) a due piccole imprese private appartenenti al cerchio magico del dittatore: la Aogc, fondata dallo stesso Gokana, e la Petro Kongo, appartenente a Gokana e ad altri due soci.

Una parte di queste quote (per il valore di 23 milioni di dollari) è stata poi retrocessa a uomini Eni, a Casula e ai suoi soci privati (l’italiana Maria Paduano; il britannico con cittadinanza monegasca, Alexander Haly; il francese con residenza israeliana, Gad Cohen) tramite la società Wnr Ltd. Per mesi i pm Sergio Spadaro e Paolo Storari hanno aspettato dai colleghi del Principato di Monaco la risposta alla rogatoria internazionale per poter analizzare i conti correnti di Haly, che oltre a essere socio di Casula lo è stato anche (in un’altra società, la Petroservice, per anni fornitrice di Eni) di Marie Madeleine Ingoba, la moglie congolese di Descalzi.

La risposta non è mai arrivata e la Procura ha concordato il patteggiamento con Eni, modificando l’imputazione. “Secondo la nuova ipotesi di reato”, si legge nella sentenza, “non vi è stato alcun accordo corruttivo alla pari ma, al contrario, Eni (…) è stata vittima e persona offesa di quella che oggi viene qualificato come reato di induzione indebita o meglio di concussione per induzione”.

I manager. Ora toccherà al pm Giovanni Polizzi (che ha ereditato l’indagine dopo l’astensione di Storari, coinvolto nel conflitto scoppiato alla Procura di Milano in seguito all’uscita dei verbali segreti di Piero Amara) chiudere l’inchiesta e decidere se derubricare l’accusa, da corruzione internazionale a induzione indebita, anche alle persone fisiche, Casula e i suoi coindagati.

Di certo appare arduo considerare una multinazionale come Eni e i suoi manager di vertice concussi e intimiditi come fossero un piccolo imprenditore in balìa di un potente amministratore: Eni ha un fatturato (44 miliardi di euro) quasi cinque volte superiore al pil del Congo-Brazzaville (10,88 miliardi di dollari); Descalzi ha fatto una parte importante della sua carriera proprio in Congo; e sua moglie, “Madò” Ingoba, fa parte dell’élite di potere congolese, è amica del dittatore Sassou Nguesso e socia in affari di sua figlia.

I rapporti tra Eni e Congo sono tanto buoni che ancora nell’ottobre 2021 – sei mesi dopo il patteggiamento – la compagnia petrolifera italiana ha firmato un ennesimo accordo con il presidente Sassou Nguesso per “lo sviluppo congiunto delle materie prime agricole per la bioraffinazione”.

Eni concussa e intimidita? Ha un fatturato cinque volte superiore al pil del Congo. Descalzi in Congo è di casa. E sua moglie è socia d’affari della figlia del dittatore congolese

Polizzi dovrà ora valutare le posizioni dei suoi indagati, per ora ancora accusati di corruzione internazionale: Casula e ai suoi sodali (Maria Paduano, Andrea Pulcini, Alexander Haly) sono secondo la Procura tutti “soggetti collegati a Eni spa”. Casula si è autosospeso dalla compagnia soltanto dopo le perquisizioni subite nella primavera del 2018. Pulcini è stato, dal 1994 al 2005, direttore generale di Agip Trading Services Uk, società londinese del gruppo Eni.

Paduano, legata sentimentalmente a Casula, è una sua prestanome, tanto che nel marzo 2016 firma il preliminare d’acquisto di un attico da 200 metri quadri nel centro di Roma (valore dichiarato 1,1 milioni di euro) e nel giugno del 2017 cede il preliminare a Casula, che diventa proprietario del superattico. Tre mesi dopo, Paduano viene assunta dall’Eni. E in una email sequestrata dalla Procura di Milano, “Marinù” Paduano scrive a un avvocato: “Non fare menzione del fatto che sono un prestanome”.

Haly era sospettato dai pm milanesi di essere invece il prestanome della coppia Descalzi-Ingoba. Ma ora Descalzi ripete di aver rotto i rapporti con la moglie e di non sapere nulla dei suoi affari. E il Principato di Monaco continua a bloccare la rogatoria che potrebbe far chiarezza sui rapporti Haly-Ingoba-Descalzi.

Conflitto d’interessi. L’inchiesta milanese riguarda anche l’accusa di omessa comunicazione di conflitto d’interessi a carico di Descalzi, per non aver comunicato gli affari che la moglie aveva con Eni. “Madò” Ingoba controllava infatti alcune società (attraverso la lussemburghese Cardon) che negli anni hanno incassato da Eni almeno 300 milioni di dollari per servizi logistici. Un insuperabile conflitto d’interessi, che Madò ha tentato di sciogliere vendendo (l’8 aprile 2014, sei giorni prima che Descalzi fosse designato ad di Eni) la sua quota di Cardon all’amico Haly; e Descalzi dicendo di non sapere nulla degli affari della moglie, intanto iscritta nel registro degli indagati anche per corruzione internazionale.

Questa parte dell’inchiesta è a rischio, perché Storari, prima di lasciare il fascicolo, non ha chiesto la proroga delle indagini di cui erano scaduti i termini*: Polizzi dovrà ora decidere se archiviare, oppure procedere con i soli atti d’indagine già presenti nel fascicolo che ha ereditato.

 

*Aggiornamento
Con riferimento all’articolo “Congo: l’Eni pagò, ma fu costretta” A rischio l’indagine su Descalzi&C., pubblicato sul Fatto quotidiano il 18 gennaio 2022, a seguito di verifiche, che si sono rese possibili solo qualche giorno fa, precisiamo che, quando il Dott. Paolo Storari ha trasmesso gli atti del procedimento “Eni-Congo” al Dott. Fabio De Pasquale che lo ha assegnato al Dott. Giovanni Polizzi, i termini per la richiesta di proroga delle indagini non erano ancora scaduti, sebbene fossero trascorsi già diversi mesi dalla precedente ed ultima richiesta di proroga. Ci scusiamo con i lettori e con l’interessato. (24 marzo 2022)

La replica di Eni all’articolo
In merito all’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano con il titolo “Congo: l’Eni pagò, ma fu costretta. A rischio l’indagine su Descalzi&C”, Eni precisa quanto segue.
1. Consideriamo sconcertante il tentativo di accostare (nel titolo e nel testo dell’articolo), attraverso nessi fattualmente e giuridicamente inesistenti, l’AD di Eni alle indagini relative alle attività della società in Congo, nelle quali egli non è mai stato coinvolto. La locuzione “Descalzi&C” ha evidenti profili lesivi de-correlati da qualsiasi contesto e riferimento con il corpo dell’articolo (di cui non si comprende quale sia la notizia che intendete riferire al Vostro pubblico).
2. Non possiamo, infatti, non notare che il vostro giornale si occupa dello stato attuale di indagini nei confronti di persone fisiche che non hanno alcun legame con Eni o non sono da tempo più dipendenti a quasi un anno di distanza dal pronunciamento di un giudice. L’articolo presenta ancora oggi l’indagine come riferita alla corruzione internazionale quando ricordiamo che la derubricazione inerente ai fatti ed alla loro qualificazione giuridica (che ha escluso ogni ipotesi corruttiva) fu avanzata dai PM inquirenti. Eni vi aderì quindi solo e soltanto per evitare la prosecuzione di un iter giudiziario che avrebbe comportato un nuovo e significativo dispendio non recuperabile di costi e risorse, come nel caso dei procedimenti Opl245 e Algeria dei cui esiti pienamente assolutori siamo tutti a conoscenza. In seguito alla configurazione di un diverso reato, proposta dai PM ed accertata in sentenza (ora definitiva) dal giudice non si comprendono le perplessità (e quali siano i fondamenti giornalistici delle stesse) espresse nell’articolo e men che meno si capisce su quali basi le persone fisiche citate potrebbero mai rispondere di un reato diverso da quello accertato o perché mai associarne maliziosamente alcune ad Eni quando hanno lasciato la società oltre 17 anni fa o non ne hanno mai fatto parte. Ciò che è certo è che in relazione alle attività di Eni in Congo non vi fu alcun caso di corruzione internazionale.
3. In merito all’accusa di conflitto di interessi, rivolta all’AD di Eni rispetto alle attività della Signora Ingoba, Eni ricorda che furono svolte analisi approfondite affidate dai propri organi di controllo a consulenti terzi e indipendenti, e che tali indagini esclusero violazioni o condotte in favore e/o a danno di Eni, volte ad avvantaggiare i fornitori aggiudicatari dei servizi per ciò che atteneva alle circostanze oggetto di indagine. La stessa Signora Ingoba, per il tramite dei suoi legali, ha sempre respinto ogni accusa o illazione su ipotetici investimenti in conflitto con la carica ricoperta dal Dr Descalzi. Va invece notato che il requisito giuridico di sussistenza del reato posto alla base dell’ipotesi di incolpazione di omessa comunicazione di conflitto di interessi (la sussistenza di un danno alla società o terzi), delle cui indagini non si hanno più notizie da settembre 2019, non trova riscontro non soltanto nelle verifiche interne ma nemmeno nell’ipotesi di indagine.
Vi chiediamo cortesemente di pubblicare integralmente e senza indugio questa nostra precisazione.
UFFICIO STAMPA ENI

La risposta del Fatto

Ringraziamo Eni per la lezione di giornalismo, della quale non avvertivamo il bisogno. L’indagine sugli affari della compagnia in Congo, infatti, è tuttora aperta, dunque d’interesse giornalistico, dopo il patteggiamento che ha riguardato soltanto l’azienda, non le persone fisiche indagate, tutte comunque considerate dagli inquirenti “soggetti collegati a Eni spa”, a partire da Roberto Casula, Chief Development Operations & Technology Officer di Eni fino alla primavera del 2018, che si è autosospeso dall’incarico soltanto dopo la pubblicazione sulla stampa delle prime notizie sulla sua presenza tra i soci della Wnr Ltd. Il cambiamento della qualificazione giuridica del reato riguarda, finora, solo l’azienda e non le persone fisiche, su cui la Procura non ha ancora preso alcuna decisione, non avendo ancora formulato alcun capo di imputazione. Nella stessa indagine, è allo stato indagato anche Descalzi, seppur per una diversa ipotesi di reato. Nell’assemblea dei soci 2017, Eni aveva negato affari con Petro Services. In seguito li ha ammessi, dicendo che però non hanno arrecato danno economico all’azienda. Resta comunque un caso unico al mondo che sia tollerato – che sia o meno reato – che una moglie faccia affari attraverso sue società private con l’azienda di cui il marito è manager di vertice.
FQ

di Gianni Barbacetto e Stefano Vergine, Il Fatto quotidiano, 18 gennaio 2022 (versione ampliata)
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