GIUSTIZIA

L’agente segreto Contrada: voglio il risarcimento per gli anni in carcere

L’agente segreto Contrada: voglio il risarcimento per gli anni in carcere Bruno Contrada ritratto nel suo studio, Palermo, 14 aprile 2015. ANSA/FRANCO LANNINO

Lo Stato non deve risarcire Bruno Contrada per ingiusta detenzione. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Palermo che ha rigettato l’istanza presentata dai suoi difensori. Contrada, numero due del Sisde (il servizio segreto civile) e poliziotto attivo per anni a Palermo, nel 2007 è stato condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa: i giudici hanno stabilito che da poliziotto e da uomo dello Stato ha favorito e sostenuto dall’esterno Cosa nostra.

Contro questa sentenza, Contrada ricorre alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che nel 2015 condanna lo Stato italiano stabilendo che non doveva essere condannato: non già mettendo in dubbio i fatti di cui la sentenza lo riconosce colpevole, ma rilevando che all’epoca di quei fatti (tra il 1979 e il 1988) nell’ordinamento giuridico italiano ancora non era previsto il reato che gli era stato contestato, quello appunto di concorso esterno in associazione mafiosa. Nella sentenza, la Cedu non mette dunque in dubbio che abbia sostenuto dall’esterno Cosa nostra, ma sottolinea che “il reato non era sufficientemente chiaro, né prevedibile da lui”; quindi “Contrada non avrebbe potuto conoscere le pene in cui sarebbe incorso”.

La sua successiva richiesta di revoca della condanna ricevuta è stata prima respinta dalla Corte d’appello di Palermo, poi accolta nel 2017 dalla Cassazione, che ha stabilito non la sua innocenza, ma l’ineseguibilità della sentenza di condanna, “improduttiva di effetti penali”.

Da allora Contrada ha più volte tentato di ottenere un risarcimento dallo Stato per la detenzione che aveva scontato. Glielo aveva riconosciuto in prima istanza la Corte d’appello di Palermo, ma poi la Cassazione aveva annullato la decisione, ordinando un nuovo esame d’appello. Il risultato è arrivato ieri: respinta l’istanza, niente risarcimento.

Protesta il difensore, Stefano Giordano: “Apprendiamo senza stupore il verdetto della Corte a seguito di un procedimento svoltosi in maniera assai poco serena, e alle cui conclusioni mi sono rifiutato di prendere parte. Formuleremo tutte le nostre deduzioni in ordine al malgoverno della legge penale nel ricorso per Cassazione che verrà depositato ritualmente nei prossimi giorni. Da subito posso dire che l’ordinanza oggi depositata viola per ben due volte il giudicato della Corte europea, su cui il giudice interno non ha alcun margine di discrezionalità”. (Il Fatto quotidiano, 12 gennaio 2022)

La Cassazione annulla e chiede un nuovo giudizio

Nuovo colpo di racchetta nel lungo ping-pong giudiziario su Bruno Contrada, numero due del Sisde (il servizio segreto civile) e poliziotto attivo per anni a Palermo. Ieri la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del suo difensore, l’avvocato Stefano Giordano, e ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale la Corte d’appello di Palermo nel gennaio scorso aveva rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Contrada. Dunque la Corte palermitana dovrà riesaminare la questione e motivare meglio la sua decisione.

“Adesso puntiamo a che il risarcimento a favore di Contrada venga riconosciuto nei tempi più brevi, considerati l’età e lo stato di salute dello stesso”, ha dichiarato Giordano. Il ping-pong era iniziato nel 2007, quando l’agente segreto era stato condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, perché da poliziotto e da uomo dello Stato aveva favorito e sostenuto dall’esterno Cosa nostra.

Contro questa sentenza, Contrada era ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che nel 2015 ha condannato lo Stato italiano stabilendo che il funzionario non doveva essere condannato: non già mettendo in dubbio i fatti di cui la sentenza lo riconosce colpevole, ma rilevando che all’epoca di quei fatti (tra il 1979 e il 1988) nell’ordinamento giuridico italiano ancora non era previsto il reato che gli era stato contestato, quello appunto di concorso esterno in associazione mafiosa. La Cedu non mette dunque in dubbio che Contrada abbia sostenuto dall’esterno Cosa nostra, ma sottolinea che “il reato non era sufficientemente chiaro, né prevedibile da lui”, che quindi “non avrebbe potuto conoscere le pene in cui sarebbe incorso”.

La sua successiva richiesta di revoca della condanna ricevuta è stata prima respinta dalla Corte d’appello di Palermo, poi accolta nel 2017 dalla Cassazione, che ha stabilito però non la sua innocenza, ma l’ineseguibilità della sentenza di condanna, “improduttiva di effetti penali”.

Da allora Contrada sta tentando di ottenere un risarcimento dallo Stato per la detenzione che ha scontato. Glielo aveva riconosciuto in prima istanza la Corte d’appello di Palermo, ma poi la Cassazione aveva annullato la decisione, ordinando un nuovo esame d’appello che nel gennaio 2022 ha respinto l’istanza. Ora la Cassazione annulla anche quella decisione e chiede un nuovo e più motivato giudizio.  (Il Fatto quotidiano, 26 giugno 2022)

Il Fatto quotidiano, 12 gennaio 2022 e 26 giugno 2022
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