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Eni, la bozza d’informativa non depositata dai pm? Era un documento poi smentito

Eni, la bozza d’informativa non depositata dai pm? Era un documento poi smentito

di Gianni Barbacetto e Antonio Massari /

Se avessero seguito le indicazioni del pm Paolo Storari, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro avrebbero depositato alle difese di Eni una bozza d’informativa (dunque provvisoria) della Guardia di finanza che conteneva informazioni errate. E non di poco conto. Nella bozza in questione, l’ex manager dell’Eni Vincenzo Armanna era accusato di aver tentato di corrompere dei testimoni.

Elemento ancor più sconcertante perché Armanna, nel processo in questione (quello sulla corruzione internazionale di Eni per l’acquisto del giacimento Opl 245 in Nigeria, che ha visto tutti assolti in primo grado) rivestiva il doppio ruolo di imputato e di testimone. Nella versione definitiva dell’informativa, la corruzione scompare. E si scopre che i 50 mila euro erano stati versati per acquisire un documento che Armanna voleva evidentemente depositare nel processo.

Nel frattempo, per questa e altre contestazioni nate dalle informazioni inviate da Storari, De Pasquale e Spadaro sono stati accusati di essersi rifiutati di depositare alle difese di Eni elementi che avrebbero dimostrato l’inaffidabilità di Vincenzo Armanna. Storari li aveva ricavati indagando su altre vicende e li segnala ai colleghi con mail tra il 15 e il 19 febbraio 2019. Tra questi elementi c’è la chat estrapolata dal telefono di Armanna e analizzata in tempi rapidissimi (parliamo di 64 mila elementi) dai finanzieri: emerge che ha corrisposto 50 mila dollari al nigeriano Timi Ayah e, per il suo tramite, a Isaac Eke, entrambi citati da Armanna come testi nel processo Nigera.

Dove peraltro l’hanno clamorosamente smentito. Eke doveva testimoniare di “aver visto alcuni italiani imbarcare trolley pieni di denaro contante costituente il prezzo della corruzione da parte di Eni”. Le chat sono contenute nella bozza d’informativa che Storari invia a De Pasquale e Spadaro – e che peraltro riporta anche le comunicazioni tra Armanna e il suo avvocato Michele D’Agostino sulle strategie difensive – e gli investigatori segnalano che Armanna voleva procurarsi testimoni dietro “dazioni di danaro”: in sostanza siamo a un tentativo di corruzione.

Questa l’accusa che De Pasquale e Spadaro avrebbero depositato agli atti del processo Opl 245, se avessero seguito le indicazioni di Storari. Salvo scoprire mesi dopo che la Finanza ha fatto dietrofront: nell’informativa definitiva la Gdf spiega che i 50 mila dollari versati da Armanna erano destinati all’acquisto di un file che voleva portare al processo come prova. Quindi dovremmo chiederci se questa prova, visto che Armanna i soldi li ha versati, esista oppure no. Nessuno l’ha mai vista, dunque ipotizziamo che Armanna sia stato truffato o addirittura che si tratti di un documento farlocco. Però questo documento, a quanto pare, esiste, se è vero, come sostiene la Gdf, che sarebbe stato destinato a una “donna” ed è un documento della Efcc, ovvero la polizia fiscale nigeriana.

Un documento per il quale – scrive Ayah ad Armanna il 14 aprile 2019, inoltrando il messaggio ricevuto da un terzo che chiede ulteriore denaro – “sai qual è il rischio che abbiamo corso. Per favore, se non viene inviato nulla dimentichiamolo”. Armanna di fronte alla richiesta di altri soldi spiega che non si tratta di soldi suoi e che “nessuno pagherà senza aver visto”: segno che i soldi sono destinati a un documento da visionare. Ayah gli inoltra un altro messaggio che ha ricevuto:  “Questo rischio vale molto più di un milione di dollari”. Se non bastasse, chi lo cerca, racconta di essere stato persino arrestato.

Il nesso tra i soldi e il file sembra quindi accertato ed è lo stesso Storari a confermarlo davanti al procuratore di Brescia, Francesco Prete, quando dichiara: “Io, il collegamento tra i 50 mila dollari e il file (…) l’ho visto nelle carte che io mi sono studiato attentamente… e infatti nelle mie memorie c’è questo collegamento”. E aggiunge di non aver disposto alcuna iscrizione per corruzione a carico di Armanna. Ma nella prima bozza d’informativa girata ai colleghi questo collegamento, noto anche a Storari per sua stessa ammissione, mancava. C’era solo un dato, nella prima versione che voleva inviare alle difese Eni: che Armanna era accusato di aver voluto pagare per procurarsi i testimoni.

Gianni Barbacetto e Antonio Massari, Il Fatto quotidiano, 26 ottobre 2021
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