GIUSTIZIA

Verbali di Amara. La segretaria di Davigo: “Facciamo scatenà la bomba”

Verbali di Amara. La segretaria di Davigo: “Facciamo scatenà la bomba”

Piercamillo Davigo spiega così ai magistrati di Roma come i verbali segreti dell’avvocato Piero Amara sulla presunta “loggia Ungheria” siano usciti dalla Procura di Milano: “Nella prima settimana di aprile 2020, il pm Paolo Storari venne da me a casa mia a Milano, riferendomi che a partire da dicembre del 2019 aveva raccolto da Amara dichiarazioni molto importanti riguardanti una loggia massonica coperta cui apparterebbero magistrati, alti ufficiali delle forze dell’ordine e imprenditori e che, nonostante le sue sollecitazioni, non si era proceduto a iscrizioni”.

Il suo verbale del 5 maggio 2021 è stato ora depositato dalla Procura di Roma a conclusione delle indagini su Marcella Contrafatto, assistente di Davigo al Csm, ritenuta colei che fece arrivare i verbali al Fatto, a Repubblica e al consigliere del Csm Nino Di Matteo. Davigo rassicura Storari dicendogli che “il segreto investigativo non è opponibile al Csm… In relazione a ciò, ho ricevuto da Storari copia dei documenti. Poco prima di andare via dal Consiglio, ho detto al collega Marra che gli avrei lasciato copia di quei documenti nel caso in cui fossero serviti al Comitato di Presidenza”.

Il 15 ottobre 2020, Contrafatto scrive via whatsapp alla collega Giulia Befera (non indagata), collaboratrice di Davigo al Csm: “Ma un grande titolo a effetto del Fatto quotidiano… di grande effetto… appunto prima di lunedì… potrebbe veramente cambiare le sorti del destino, no?”. “Facciamo scatenà la bomba”. Il lunedì seguente, 19 ottobre 2020, per Davigo è l’ultimo giorno al Csm, perché – malgrado ritenga che da consigliere del Csm sia tenuto a completare la sua consigliatura – è invece costretto ad andare in pensione. Il “titolo ad effetto” non arriva e Contrafatto il 29 ottobre porta i verbali al Fatto, che però non li pubblica, temendo che potessero essere falsi o che la pubblicazione potesse danneggiare un’inchiesta in corso.

Il 25 dicembre è Giulia Befera a scrivere alla collega: “La vuole far scoppiare o no sta bomba?”. Befera poi spiega, nel suo interrogatorio: “La Contrafatto mi rappresentò che sarebbe stato bello ed eclatante se avesse avuto clamore mediatico la vicenda relativa ai verbali, alla loggia e al fatto che Davigo sapesse e avesse informato la presidenza del Csm e il presidente della Repubblica, venendo ripagato con la mancata riconferma”. E ancora: “La mia percezione all’epoca era che Marcella stesse esagerando, perché è un soggetto sopra le righe. Io le dissi ‘andiamo carcerate’”.

Di Davigo dice: “Lui non voleva certo che tali notizie uscissero, dava sempre l’impressione di confidare nell’andamento della giustizia”. E poi: “So che anche la Contrafatto era a conoscenza dei verbali. Mi disse che sapeva dove erano collocati, cioè nella stanza di Davigo, in uno scaffale posto in basso”. La “bomba da far scoppiare” la spiega così: era un riferimento “all’atteggiamento di Davigo: mi domandavo perché continuasse a non far emergere pubblicamente ciò che sapeva su Ardita”. È Sebastiano Ardita, componente del Csm, il casus belli. Amara sostiene (senza prove) che faccia parte della presunta loggia. Davigo dichiara ai pm romani: a Contrafatto “avevo soltanto detto che Ardita non avrebbe dovuto avere accesso alla mia stanza per ragioni che non le potevo dettagliare, ma che attenevano al fatto che non lo ritenevo più affidabile”.

Gianni Barbacetto e Antonio Massari, Il Fatto quotidiano, 16 settembre 2021
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