Case popolari addio. Ora va di moda il “social housing”. Ecco perché non funziona
Quando sento l’espressione “social housing” mi viene da mettere mano alla pistola (che, a differenza del candidato sindaco Luca Bernardo, non ho). Dovrebbe significare “edilizia sociale”, case per chi non è ricco. Ma mi chiedo: vi fa così schifo l’altra espressione, quella antica: “case popolari”? La politica (soprattutto di sinistra) non parla più di case popolari, ma propone il “social housing”.
C’è stato, in questi anni, uno slittamento lessicale. Il novecentesco “case popolari” è quasi sparito, coperto dallo scintillio del più cool “social housing”. Ma a ben guardare il cambiamento non è soltanto terminologico: è di paradigma sociale ed economico. Le case popolari sono un investimento di welfare che va a beneficio di chi una casa non se la può comprare e non può neppure pagare un affitto a prezzi di mercato, tanto più in una città cara come Milano.
Il “social housing” offre case a prezzi calmierati, ma comunque sempre troppo alti per la fascia povera della popolazione. Ed è una parte del meccanismo finanziario con cui le città, Milano innanzitutto, stanno crescendo. Le banche e gli “sviluppatori” immobiliari mettono in conto che una parte delle loro realizzazioni saranno a rendimento più basso, ma compensato dal resto delle loro operazioni.
Per dirla con termini novecenteschi: le case popolari sono la risposta pubblica al bisogno abitativo inteso come diritto di tutti a una casa decente; l’housing sociale è uno dei diversi modi con cui la finanza si occupa del bisogno abitativo inteso come innesco per investimenti finanziari. Due concezioni opposte tra loro, che segnalano – tra l’altro – il cambiamento genetico della sinistra avvenuto negli ultimi decenni.
Le case popolari sono la risposta pubblica al bisogno abitativo inteso come diritto di tutti a una casa decente. L’housing sociale è uno dei modi con cui la finanza si occupa del bisogno abitativo inteso come innesco per investimenti
Milano ha un consistente patrimonio immobiliare di case popolari, in parte gestite (malissimo) dalla Regione, in parte controllate direttamente dal Comune (tramite Mm). Un’amministrazione autenticamente di sinistra, ma anche semplicemente socialdemocratica, attenta al welfare, avrebbe massima cura di questo tesoro. Lo curerebbe come il polmone prezioso per fare della città un luogo plurale, dove possano convivere i ricchi di via Boccaccio e i poveri di Quarto Oggiaro.
Invece il governo centrale e le amministrazioni locali hanno svenduto, a prezzi bassi, una bella fetta di case popolari, comprate da quegli inquilini che avevano la possibilità di sborsare comunque un bel malloppetto di euro. E Comune e Regione hanno lasciato nell’incuria interi quartieri, le cui abitazioni popolari senza manutenzione si sono ridotte a edifici fatiscenti.
Granelli di “social housing” spuntano qua e là come una decorazione di rucola sulla cotoletta della Grande Milano, o come un tocco di zenzero nel Moscow Mule dell’ape in via Lecco
Il sindaco Giuseppe Sala durante il suo primo mandato ha ripetuto più volte di essere “ossessionato dalle periferie”. Ha sostenuto che sarebbero state la sua priorità. Fatevi un giro nelle periferie milanesi e vedrete con i vostri occhi che i risultati di questa “ossessione” non si vedono. Ci sono due Milano: quella scintillante del centro e quella fatiscente delle periferie. E non basta qualche piazzetta e qualche orrido “arredo urbano” a “riqualificare” quartieri abbandonati.
Ora che i soldi del Pnrr pare che arrivino davvero, le due vere scommesse di un sindaco davvero “riformista” sarebbero la ristrutturazione radicale dei quartieri di edilizia popolare e un grande piano di edificazione di nuovi alloggi popolari. Per la prima, vedremo. Per la seconda, naturalmente, dovrebbe essere coinvolto anche il governo.
Ma mi pare che l’attenzione del sindaco uscente sia catalizzata da altri programmi: villaggi olimpici a Porta Romana, tanto cemento sugli ex scali ferroviari, grattacieli a San Siro, arene a Santa Giulia. Sì, qua e là spuntano granelli di “social housing”, come una decorazione di rucola sulla cotoletta della Grande Milano, o un tocco di zenzero nel Moscow Mule dell’ape in via Lecco. Case popolari, addio. Sala ora ha altre ossessioni.