GIUSTIZIA

Riforma Cartabia. Ci sarà un quarto grado di giudizio

Riforma Cartabia. Ci sarà un quarto grado di giudizio

di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli /

Una norma che introduce nell’ordinamento italiano un quarto grado di giudizio, che potrà mettere in discussione e ribaltare le condanne definitive, qualora siano state oggetto di un giudizio della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo. Così anche Silvio Berlusconi, la cui condanna definitiva per frode fiscale sarà discussa dalla Cedu a settembre, può tornare a sperare di azzerare quel verdetto che lo fece decadere da senatore. E perfino Bruno Contrada, l’ufficiale dei servizi segreti condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo contributo a Cosa nostra, potrà volere che sia riscritta, se non la sua sentenza, almeno la sua storia.

È l’effetto di un articolo della riforma Cartabia, che dispone di “introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, proponibile dal soggetto che abbia presentato il ricorso, entro un termine perentorio”.

Il tema è discusso da tempo: quali effetti devono avere le pronunce della Corte europea sulle sentenze italiane? Finora le condanne definitive restavano definitive, anche quando lo Stato italiano veniva condannato dalla Cedu. Così Contrada aveva mantenuto la sua condanna, anche se per effetto della Corte europea – che aveva rilevato che prima del 1994 il reato di concorso esterno non era chiaramente espresso nei codici italiani – gli erano stati annullati gli effetti della condanna.

Il problema della armonizzazione tra giustizia italiana e giustizia europea anima da anni il dibattito giuridico. Tanto che già nel 2011 la Corte costituzionale ha disposto che nei casi di condanna dell’Italia a seguito di sentenze Cedu per violazione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, il condannato definitivo possa chiedere la revisione del processo. Ora la legge Cartabia delega il Parlamento a intervenire per regolamentare questa materia. Indicando di “attribuire alla Corte di cassazione il potere di adottare i provvedimenti necessari e disciplinare  l’eventuale procedimento successivo”.

Al di là dei tecnicismi giuridici, la riforma Cartabia chiede al Parlamento una norma che permetta di riaprire i procedimenti che abbiano subìto una pronuncia della Corte europea difforme da quella dei giudici italiani. Con quali modalità è ancora tutto da stabilire e non è detto che debba avvenire in maniera automatica. Indicata una direzione, la strada è ancora tutta da costruire. Ma di certo d’ora in avanti le pronunce della Cedu peseranno di più nella situazione italiana. E qualche magistrato già teme che la sensibilità di chi giudica i fatti italiani da Strasburgo non sempre possa essere adeguata alla realtà di un Paese in cui la corruzione è altissima e ben quattro organizzazioni mafiose sono saldamente insediate nel tessuto economico e politico.

Di certo una norma come quella che viene ora prefigurata dalla Cartabia avrebbe cambiato la storia processuale del caso Abu Omar, rapito da uomini della Cia a Milano nel 2003. Gli imputati italiani, tra cui il capo del Sismi (il servizio segreto militare) Niccolò Pollari e il suo braccio destro Marco Mancini, furono prima condannati, ma poi prosciolti a causa del segreto di Stato. Una sentenza della Cedu nel 2016 ha condannato l’Italia sostenendo che “le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition cominciata con il suo rapimento in Italia” e che “l’Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e tale da assicurare che i responsabili del rapimento, della detenzione illegale e dei maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere delle loro azioni”.

di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli, Il Fatto quotidiano, 4 agosto 2021
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