GIUSTIZIA

Eni, la Procura chiede l’appello: “Ecco le prove della tangente ignorate dal Tribunale”

Eni, la Procura chiede l’appello: “Ecco le prove della tangente ignorate dal Tribunale”

Sulla super-tangente di 1 miliardo e 92 milioni di dollari pagata (secondo l’accusa) da Eni e Shell per ottenere il campo d’esplorazione petrolifero Opl 245 in Nigeria, la Procura di Milano “ha offerto una prova solo indiziaria”? Così sostengono i giudici che in primo grado hanno assolto tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”. No, risponde ora il pm Fabio De Pasquale, chiedendo il processo d’appello (come lo Stato della Nigeria, per mano dell’avvocato Lucio Lucia).

L’accusa ha presentato “un’imponente mole di prove” di quella che continua a considerare una colossale corruzione internazionale: tra queste, email interne a Eni e Shell nel 2007-2011; un’intercettazione telefonica tra l’attuale amministratore delegato di Shell e il suo direttore finanziario in cui si parla espressamente di tangenti; ben 1.608 sms scambiati tra gli intermediari dell’affare e gli imputati Eni Claudio Descalzi (attuale amministratore delegato) e Roberto Casula; documenti bancari sui movimenti di denaro, pagato nel 2011 da Eni a Londra, con successivo tentativo di girarlo in Svizzera, fallito perché persino la banca Bsi si rifiuta di eseguire l’operazione.

Il miliardo viene infine trasferito in Nigeria, dove ben 500 milioni vengono convertiti in contanti. I soldi finiscono, secondo l’accusa, a pubblici ufficiali nigeriani, a ministri ed ex ministri, a politici e faccendieri. Non un cent resta nelle casse dello Stato della Nigeria. Eppure “il fatto non sussiste”, per i giudici di primo grado la corruzione non esiste. Ma per il pm d’accusa è invece provato che il ministro della Giustizia nigeriano, Adoke Bello, ha intascato una parte della super-tangente in “utilità patrimoniali” (e lo riconosce anche la sentenza d’assoluzione). E che mezzo miliardo di dollari sia finito in contanti: “indizio certamente grave della destinazione illecita del denaro” (ammettono gli stessi giudici che poi assolvono).

Sono i “due pilastri” dell’accusa, secondo la Procura, che il Tribunale non ha valorizzato, sminuzzando tutti gli elementi di prova senza vedere le loro connessioni. Ha così realizzato la “frammentazione e parcellizzazione degli elementi processuali”, ha messo in fila catene di “cortocircuiti logici” e “ragionamenti integralmente congetturali”. “In tutta la sentenza… il Tribunale non si è mai misurato col complesso delle prove documentali”. Ha anzi ripetutamente compiuto una “grave svalutazione della prova documentale”.

Per esempio non ha valorizzato le comunicazioni tra i manager Shell: “Comunicazioni schiette ed esplicite nel descrivere il lato criminale delle trattative” per Opl 245. “La svalutazione della prova documentale effettuata dal Tribunale ha nella sostanza spazzato via evidenze documentali di grande importanza ai fini dell’affermazione della responsabilità degli imputati”. Le email tra i manager Shell e tra questi e i dirigenti Eni raccontano, secondo il pm, la storia dell’accordo corruttivo.

Una storia iniziata non da segnalazioni di esperti internazionali di petrolio, ma dall’intervento di Luigi Bisignani (P2, P4, più volte indagato e condannato) che per primo propone l’affare in Nigeria al suo amico Paolo Scaroni, allora amministratore delegato di Eni. Ben “sette pagine” di messaggi tra gli anglo-olandesi di Shell e gli italiani di Eni – scrive il pm – “consentono una lettura sintetica e piana della vicenda”: “Si parla di tangenti all’inizio e se ne parla alla fine. Il governo è sempre dietro alla trattativa, anche nella fase in cui era una semplice compravendita tra Eni e Dan Etete”.

Il ricorso d’appello arriva in un momento difficile per la Procura di Milano, divisa al suo interno dopo la diffusione dei verbali segreti dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara e le indagini in corso sui due pm del processo Eni-Nigeria, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, accusati dal collega Paolo Storari di non aver consegnato ai giudici del processo Eni-Nigeria prove favorevoli a Eni. Falso, ribatte De Pasquale: il video che il Tribunale gli imputa di aver nascosto era addirittura già conosciuto dalle difese Eni.

Il Fatto quotidiano, 30 luglio 2021
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