GIUSTIZIA

Davigo indagato: “Nessuna diffusione illegittima di notizie”

Davigo indagato: “Nessuna diffusione illegittima di notizie”

Piercamillo Davigo non replica in alcun modo alla notizia (scritta ieri dal Corriere della sera) di essere indagato dalla Procura di Brescia per l’ipotesi di rivelazione di segreto d’ufficio, per cui è già indagato il pm di Milano Paolo Storari. L’avvocato difensore di Davigo, Francesco Borasi, risponde al Fatto solo per dire che si ritiene “sicuro della correttezza dei comportamenti del dottor Davigo. Sicuro con la S maiuscola, anzi, con la S di Esselunga”. Aggiunge: “Sono sconcertato: non c’è stata alcuna diffusione illegittima di atti”. Borasi non risponde alla domanda se Davigo abbia ricevuto una convocazione per rispondere alle domande dei magistrati bresciani che stanno indagando, il procuratore Francesco Prete e il sostituto Donato Greco.

La vicenda è quella dei verbali segreti in cui l’ex avvocato dell’Eni Piero Amara, interrogato tra il dicembre 2019 e il gennaio 2020 dal sostituto procuratore Storari e dall’aggiunto Laura Pedio, raccontava i rapporti e gli affari di una presunta “Loggia Ungheria”, in cui a suo dire sarebbero coinvolti magistrati, politici, imprenditori, generali delle forze dell’ordine.

Nell’aprile 2020, ritenendo che la Procura di Milano non stesse reagendo con celerità alle dichiarazioni di Amara, che a suo dire esigevano indagini immediate, Storari chiede aiuto a Davigo, allora componente del Consiglio superiore della magistratura. Gli racconta quella che ritiene l’inerzia dei suoi colleghi e, per fargli capire i temi in discussione, gli consegna un documento word con una copia (informale e senza le firme) dei verbali segreti. Davigo riceve quel documento e informa in maniera riservata alcuni componenti del Csm del conflitto in corso alla Procura milanese.

Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, quando ormai Davigo è uscito dal Csm dopo aver raggiunto l’età della pensione, quei verbali vengono recapitati in forma anonima a due giornali, Il Fatto e Repubblica, che ne informano le Procure di Milano e di Roma. Una copia arriva anche al consigliere del Csm Nino Di Matteo, che lo comunica formalmente al Csm e al procuratore di Perugia Raffaele Cantone.

Seguono indagini delle Procura di Roma, che ritiene di aver individuato la responsabile della diffusione dei documenti: la ex segretaria di Davigo al Csm, Marcella Contrafatto, che viene indagata per l’ipotesi di calunnia ai danni del procuratore di Milano Francesco Greco, dipinto nel messaggio anonimo a Di Matteo come un insabbiatore di inchieste.

Davigo ha già sostenuto di non aver commesso alcun reato e di non aver rivelato alcun segreto d’ufficio, perché questo non è opponibile al Consiglio superiore della magistratura e perché ha ricevuto quel documento in quanto consigliere del Csm. Poi ha provveduto a informare della vicenda alcuni componenti del Consiglio: in maniera riservata e non formale, perché un atto ufficiale avrebbe fatto conoscere a due consiglieri del Csm che i loro nomi erano stati inseriti da Amara tra quelli degli appartenenti alla presunta Loggia Ungheria.

Davigo, nelle settimane scorse, ha spiegato che Storari gli aveva “segnalato una situazione critica e dato il materiale necessario per farmi un’opinione, dopo essersi accertato che fosse lecito. Io spiegai che il segreto investigativo, per espressa circolare del Csm, non è opponibile al Csm”. Erano invece necessarie indagini rapide, perché “quando uno ha dichiarazioni che riguardano persone in posti istituzionali importanti, se sono vere è grave, ma se sono false è gravissimo: quindi, in un caso e nell’altro, quelle cose richiedevano indagini tempestive. Mi sembrava incomprensibile la mancata iscrizione” nel registro degli indagati.

Ha così informato “in maniera diretta e sicura i componenti del Comitato di presidenza del Csm, perché questo dicono le circolari”: dunque il vicepresidente David Ermini e gli altri due membri del Comitato di presidenza, presidente e procuratore generale della Corte di cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi. Ha poi parlato della vicenda ad altri consiglieri del Csm e al presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, per spiegare come mai aveva interrotto i rapporti con il consigliere Sebastiano Ardita, anch’esso indicato da Amara come vicino alla Loggia Ungheria. I pm di Brescia dovranno ora verificare se ci sono discordanze tra le dichiarazioni di Davigo e quelle dei consiglieri a cui Davigo ha parlato.

Il Fatto quotidiano, 18 luglio 2021
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