GIUSTIZIA

Indagati i pm del processo Eni

Indagati i pm del processo Eni Milan, ITALY: Italian Prosecutor Fabio De Pasquale arrives for the Berlusconi-Mills tax fraud trial at the Milan courthouse 21 November 2006. The trial of and his British lawyer David Mills was adjourned today to next week after the defense demanded the recusal of one of the judges. The defense argued that Judge Edoardo d'Avossa ruled in other trials involving Berlusconi, notably the "Medusa" case in which he was acquitted of false accounting after initially being sentenced to 16 months in jail. AFP PHOTO / Paco SERINELLI (Photo credit should read PACO SERINELLI/AFP/Getty Images)

Prima sconfitti nel processo che ha mandato assolti tutti gli imputati Eni e Shell per l’affare nigeriano Opl 245; ora anche indagati dalla Procura di Brescia, con addirittura i computer dei loro uffici in Procura perquisiti per acquisire tutte le loro email: il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il sostituto Sergio Spadaro, che rappresentavano la pubblica accusa nel processo Eni-Nigeria, sono accusati di aver nascosto prove a discarico degli imputati.

Un video depositato in ritardo, ma soprattutto chat artefatte di Vincenzo Armanna, uno degli imputati di Eni-Nigeria diventato grande accusatore di Eni. Con quelle chat “aggiustate”, Armanna avrebbe voluto confermare le sue dichiarazioni conto Eni, il suo amministratore delegato, Claudio Descalzi, e il numero tre della compagnia petrolifera, Claudio Granata.

Avrebbe anche promesso 50 mila dollari a un poliziotto nigeriano, Isaak Eke, per indurlo a testimoniare al processo dicendosi “Victor”, l’addetto alla sicurezza della residenza del presidente nigeriano Goodluck Jonathan che gli avrebbe riferito che 50 milioni di dollari di supertangente Eni erano stati consegnati in contanti nel 2011 a Roberto Casula, responsabile Eni in Nigeria.

Il procuratore della Repubblica Francesco Greco risponde con un comunicato in cui garantisce “rispetto istituzionale” tanto all’“atto dovuto” del “procedimento aperto dalla Procura di Brescia”, quanto all’“assoluta professionalità dei due colleghi”.

A innescare l’iscrizione nel registro degli indagati di De Pasquale e Spadaro è stato un loro collega, il sostituto procuratore Paolo Storari. Indagato a Brescia per aver fatto uscire dalla Procura gli interrogatori segreti in cui l’avvocato esterno di Eni Piero Amara rivelava l’esistenza di una (per ora presunta) loggia segreta denominata “Ungheria”, Storari è stato su questo interrogato a Brescia una decina di giorni fa. In quella occasione, avrebbe allineato i motivi dei suoi contrasti con gli altri magistrati (De Pasquale, Storari e Laura Pedio) impegnati in indagini su Eni e sul “complotto” che l’avvocato Amara avrebbe messo in atto fra Trani, Siracusa e Milano, per intorbidare le inchieste milanesi sulla compagnia petrolifera.

Storari avrebbe dunque segnalato anche alcune chat consegnate da Armanna ai magistrati milanesi: conversazioni elettroniche modificate per validare le sue tesi. Questi elementi si aggiungono al video che le motivazioni della sentenza Eni-Nigeria sostengono sia stato nascosto ai giudici perché non sosteneva le ragioni dell’accusa.

Quanto alle chat falsificate, i due pm ora messi sotto inchiesta a Brescia potranno sostenere che queste non sono mai state usate, né fatte entrare tra gli elementi di prova nel processo milanese. Il video, invece, è la lunga registrazione di un incontro a cui partecipavano Amara, Armanna, l’imprenditore Ezio Bigotti e altri. A realizzarlo, all’insaputa di Armanna, è Amara, quando ancora non era diventato un teste anti-Eni, ma voleva anzi dimostrare che Armanna complottava contro Eni. È il 28 luglio 2014, due giorni prima che Armanna si presentasse in Procura a Milano dicendo di voler collaborare.

Nel video, il manager preannuncia di voler far arrivare “una valanga di merda” e “un avviso di garanzia” ai dirigenti di Eni. Per Eni – e per i giudici nella sentenza Opl 245 – è la prova dell’intenzione di “ricattare i vertici della società petrolifera preannunciando l’intenzione di rivolgersi ai pm milanesi”.

Del video si era ampiamente parlato in aula nell’udienza del 23 luglio 2020. De Pasquale aveva spiegato che l’accusa non lo aveva depositato perché lo riteneva irrilevante: “Amara dice che aveva avuto l’incarico di registrarlo qualora Armanna dicesse qualcosa di utile per incastrarlo… Detto questo, non ho nessuna difficoltà al deposito, però non posso giuridicamente farlo senza avere il consenso dei colleghi che stanno gestendo quell’indagine”.

Ossia i colleghi Pedio e Storari. Poi il video fu depositato. Gli unici manager Eni evocati per nome da Armanna in quella registrazione erano Donatella Ranco e Ciro Pagano, che non sono mai stati oggetto di accuse da parte di Armanna e comunque non sono mai stati indagati (Ranco) o lo sono stati solo molto tempo dopo (Pagano).

Il Fatto quotidiano, 11 giugno 2021
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