GIUSTIZIA

Giustizia Amara

Giustizia Amara

L’ombra di Eni sonnecchia dietro il pirotecnico scandalo della (presunta) loggia Ungheria. Non solo perché Piero Amara, protagonista del caso, era l’avvocato che ha avuto per anni incarichi milionari dalla compagnia petrolifera. Ma anche perché il suo comportamento processuale è strettamente legato alle indagini (transitate da Trani a Siracusa fino a Milano) sul cosiddetto complotto che avrebbe egli stesso ordito per infangare i nemici di Eni e rallentare e intorbidare le indagini milanesi sulle tangenti di cui Eni era accusata per affari in Algeria e in Nigeria (per cui la compagnia è stata infine assolta).

Amara era contemporaneamente indagato e testimone, regista di complotti e possibile denunciante delle manovre e dei depistaggi di cui era stato autore: in proprio (come ripete Eni), o per conto di autorevoli mandanti (come sostiene, forse con qualche intermittenza, Amara, indicando i vertici del Cane a sei zampe)?

Rebus per ora senza soluzione. In questa storia il vero e il falso sono sempre abilmente miscelati, perfino con un pizzico di voluttà, secondo un’antica tradizione italiana. Come trattare, allora, un tale centauro? Come valorizzare le sue accuse, se vere, ma ripulendole dal fango? Su questo si sono slabbrati e poi lacerati i rapporti tra magistrati valenti, Paolo Storari da una parte, Francesco Greco, Fabio De Pasquale e Laura Pedio dall’altra.

Nelle ultime ore, sono scesi in partita anche gli altri inquilini del Palazzo di giustizia milanese, il presidente del Tribunale, Roberto Bichi, e il procuratore generale, Francesca Nanni. Questa ha chiesto al procuratore Greco una relazione sulla vicenda Amara, in nome del suo “potere di vigilanza” sull’attività della Procura. Bichi ha invece acquisito nei giorni scorsi dalla Procura di Brescia gli atti di un fascicolo che ha a che fare proprio con Amara e con Eni.

A farlo aprire erano stati Greco e Pedio, che erano andati a portare al procuratore di Brescia Francesco Prete, competente sulle toghe milanesi, uno piccolo stralcio dei verbali di Amara ora diventati caso nazionale: quello in cui l’avvocato sosteneva di aver saputo (de relato, da voci interne a Eni) che due autorevoli avvocati della compagnia, Paola Severino e Nerio Diodà, ritenevano il presidente del processo Eni-Nigeria, Marco Tremolada, giudice al quale potevano “avere accesso”.

Poi, il 5 febbraio 2020, i pm del processo Eni-Nigeria, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, avevano chiesto direttamente al Tribunale presieduto da Tremolada di sentire Amara, su “interferenze di Eni su magistrati milanesi in relazione al processo”. Tremolada aveva rigettato la richiesta. E nel dicembre successivo la Procura di Brescia aveva archiviato l’indagine, senza aver iscritto alcun nome sul registro degli indagati.

Il Fatto quotidiano, 5 maggio 2021
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